— Sembri a pezzi, sorellina — dissi.
Annuì. — È stata una lunga giornata.
— Hai controllato gli altri nominativi sull’elenco del dentista? — domandai, e lei annuì un’altra volta. Per spingerla fuori dalla sua asocialità, aggiunsi: — Insieme al tuo socio, Deke?
Si voltò di scatto e mi fulminò con un’occhiata. — Quel cazzo di idiota — disse, poi alzò le spalle e tornò a stravaccarsi.
— Che cos’ha fatto?
Alzò di nuovo le spalle. — Niente — disse. — Nei compiti di routine non è poi così male. Fa tutte le domande standard.
— Allora perché quel muso lungo, Debs?
— Mi hanno sottratto il mio sospetto, Dexter. — Ancora una volta il suo tono consapevolmente vulnerabile mi colpì. — Il figlio di Acosta sa qualcosa, ne sono certa. Forse non tiene nascoste le ragazze, ma sa chi le ha rapite e vuole impedirmi di trovarlo. — Fece un gesto di rabbia all’indirizzo del corridoio. — Mi hanno pure accollato quel coglione di Deke a farmi da babysitter perché non importuni il consigliere.
— Be’ — opinai. — Bobby Acosta potrebbe non c’entrare nulla.
Deborah mi mostrò i denti. Se non fosse stata così depressa, l’avrei scambiato per un sorriso. — Cazzo se è colpevole — disse, indicando la cartella. — Ha una fedina penale che non t’immagini… e senza contare tutto quello che hanno insabbiato quand’era minorenne.
— In questo caso quello che ha commesso da minorenne non c’entra — osservai.
Deborah si protese verso di me e per un attimo ebbi paura che mi volesse colpire con il fascicolo di Bobby Acosta. — Col cazzo che non c’entra — fece. Fortunatamente per me, anziché sbattermi la cartella sulla testa, l’aprì. — Aggressione. Aggressione con intenzione criminosa. Aggressione. Furto d’auto aggravato. — Mentre pronunciava le parole “furto d’auto” mi fissò contrita, poi tornò a leggere il fascicolo. — È stato arrestato ben due volte perché presente sul posto durante la morte di persone in circostanze sospette. Come minimo avrebbe dovuto trattarsi di omicidio colposo, ma entrambe le volte il suo vecchio l’ha tirato fuori dai guai. — Chiuse la cartella con una manata. — C’è molto di più — continuò. — Ma va sempre a finire nel solito modo, con Bobby colpevole e il paparino che gli salva il culo. — Scosse il capo. — Questo ragazzo è un fottuto bastardo, Dexter. Ha ammazzato almeno due persone e sono sicura che sa dove sono finite le studentesse. Se non le ha già uccise.
Forse Deborah non aveva torto. Non perché aver compiuto in passato episodi criminosi equivalesse a essere colpevoli nel presente, ma perché avevo percepito un debole e sonnacchioso interesse risvegliarsi nel Passeggero, un suo interiore inarcarsi di sopracciglia, mentre mia sorella leggeva il fascicolo. Il vecchio Dexter avrebbe aggiunto senza indugi il nome di Bobby Acosta al libricino nero dei suoi potenziali compagni di gioco. Ma Dexter 2.0 non avrebbe mai fatto una cosa simile, ovvio. Mi limitai dunque ad annuire benevolmente. — Forse hai ragione — dissi.
Deborah alzò di scatto la testa. — Niente forse — fece. — Ho ragione. Bobby Acosta sa dove sono quelle ragazze, e io non posso torcergli un capello per colpa del suo vecchio.
— Be’ — dissi. Ero fortemente conscio di pronunciare una frase fatta, ma non mi veniva nient’altro di meglio. — Contro la burocrazia non c’è nulla da fare, lo sai.
Mia sorella mi fissò per un istante, totalmente inespressiva. — Complimenti — fece. — Questa l’hai pensata tu?
— Avanti, Debs — dissi, ammetto un pochino offeso. — Lo sai che cose simili possono succedere, e succedono… allora perché ti danno ancora fastidio?
Trasse un profondo sospiro, poi incrociò le mani sulle ginocchia e le fissò, il che fu peggio della sfuriata aggressiva che mi sarei aspettato. — Non so — disse. — Forse non è solo questo. — Voltò le mani e ne osservò il dorso. — Forse è… non so. Tutto.
Se tutto infastidiva mia sorella, allora non era difficile comprendere la sua terribile sofferenza; essere costretti a sopportare tutto doveva costituire un fardello estenuante. Ma nella piccola esperienza che mi ero fatto con gli esseri umani, avevo imparato che quando dicono di essere oppressi da tutto, di solito vuol dire che la causa è una sola e molto specifica. Pensai che la cosa valesse pure nel caso di mia sorella, sebbene lei si fosse sempre comportata davvero come se le toccasse sopportare tutto: Debs aveva dentro qualcosa che la rodeva e la spingeva ad agire così. Ripensai a quel che mi aveva detto riguardo al suo convivente, Kyle Chutsky, e ipotizzai che il punto dovesse essere quello.
— È per Chutsky? — domandai.
Alzò di scatto la testa. — Come… credi che lui mi prenda a botte? O che mi stia imbrogliando?
— No, certo che no — feci, e ritirai la mano quasi volesse mollarmi un pugno. Sapevo che il suo compagno non si sarebbe mai permesso di imbrogliarla, e il solo pensiero di qualcuno che prendeva a botte mia sorella mi faceva ridere. — Mi riferivo a quel che mi dicevi l’altro giorno. Riguardo a quel… tic tac biologico, hai presente?
Si accasciò un’altra volta e contemplò le mani che teneva in grembo. — Ah-ah. Ho detto quello, vero? — Scosse lentamente il capo. — Be’, è abbastanza vero. E quel dannato Chutsky… non ne vuole neanche parlare.
Guardai mia sorella, e ciò che provai ammetto che non mi fece onore. Infatti la mia prima, consapevole reazione allo sfogo di Debs fu: “Wow! Sto davvero provando empatia nei confronti di un’emozione umana!”. Perché la sua inarrestabile trasformazione in una gelatina vivente di autocommiserazione mi aveva profondamente colpito, nel mio nuovo e profondo livello umano, attivato di recente da Lily Anne, e mi ero accorto che la mia memoria non aveva più pescato frasi fatte da vecchie fiction televisive. Provavo davvero qualcosa, e questo mi impressionò.
Così, senza neanche starci troppo a pensare, mi alzai e le andai vicino. Le posai una mano sulla spalla, le diedi una strizzatina leggera e dissi: — Mi dispiace, sorellina. C’è qualcosa che posso fare?
Ovviamente Deborah si irrigidì e scostò bruscamente la mia mano. Si alzò e mi guardò con un’espressione che ricordava soltanto lontanamente il suo solito ringhio. — Smetterla di fare il santarellino, tanto per cominciare — saltò su. — Gesù, Dex. Che cosa ti è successo?
E prima che potessi pronunciare anche solo una sillaba di diniego, si precipitò infuriata fuori dal mio ufficio e scomparve in corridoio.
— Lieto di aiutarti — dissi al vuoto.
Forse, essendo ancora un novellino nel provare emozioni, non ero in grado di capirle a fondo e di comportarmi di conseguenza. O forse dovevo solo lasciare a Debs un po’ di tempo per abituarsi al nuovo, pietoso Dexter. In ogni caso si faceva sempre più strada in me la sensazione che qualche persona incredibilmente cattiva stesse avvelenando le risorse idriche di Miami.
Stavo quasi per andarmene dal lavoro, quando quell’impressione di stranezza si fece ancora più forte. Squillò il cellulare. Sul display comparve il nome di Rita. — Pronto? — risposi.
— Dexter, ciao… uhm… sono io.
— Lo so, certo — dissi, incoraggiante.
— Sei ancora al lavoro?
— Stavo per uscire.
— Oh, bene… cioè, che non sei ancora andato da Cody e Astor — fece. — Perché stasera non devi andare.
Una rapida equazione mentale mi fece capire che per qualche motivo non dovevo passarli a prendere. — Oh… e come mai? — chiesi.
— Perché è che… non ci sono più — spiegò.