Per un orribile momento, mentre tentavo di decodificare le sue parole, credetti che ai bambini fosse capitato qualcosa di terribile. — Come… e dove sono finiti? — balbettai.
— Oh… è andato a prenderli tuo fratello. Brian. Li ha portati a mangiare al cinese.
Che splendido e sconosciuto mondo mi si profilava davanti nella mia nuova esistenza di essere umano. Ora, per esempio, ero rimasto senza parole dallo stupore. Un’ondata di pensieri ed emozioni mi sommergeva: dalla rabbia, alla sorpresa, fino al sospetto, insieme a riflessioni multiformi, tra cui quali fossero le reali intenzioni di Brian, perché Rita gli dava sempre corda e che cosa avrebbero fatto Cody e Astor quando si fossero ricordati che detestavano mangiare cinese. Nonostante l’abbondanza e l’accuratezza delle mie riflessioni, dalla bocca non mi uscì nient’altro che un: — Uhk.
Mentre mi sforzavo di pronunciare suoni più comprensibili, Rita disse: — Oh. Devo andare. Lily Anne piange. Ciao. — E riattaccò.
Sono certo che restai solo pochi secondi in ascolto del nulla, ma mi parvero un’eternità. Infine mi resi conto di avere la bocca asciutta, visto che era rimasta spalancata, e le mani sudate, a furia di stringere il cellulare nel pugno. Allora chiusi la bocca, misi via il cellulare e partii verso casa.
Mentre mi dirigevo a sud, l’ora di punta era al suo apice, ma, stranamente, in tutto il tragitto non assistetti a nessun atto di violenza casuale, nessuna sbandata o agitata di pugno, e a nessuna sparatoria. Il traffico, come al solito, avanzava lento, ma nessuno sembrava preoccuparsene. Forse avrei dovuto leggere il mio oroscopo… magari avrei capito che cosa mi stava capitando. Era possibile che da qualche parte a Miami persone ben documentate sui fatti (druidi, per esempio) mormorassero a capo chino: “Ahhh, Giove è in opposizione a Saturno”, versandosi l’ennesima tazza di tisana e ciabattando nelle loro Birkenstock. Oppure c’entrava quel gruppo di vampiri a cui Deborah stava dando la caccia, non so se definirli gregge, banda o simili. Forse se tutti si fossero fatti affilare i canini, una nuova era di armonia si sarebbe affacciata per tutti noi. O quantomeno per il dottor Lonoff, il dentista.
Trascorsi una tranquilla serata domestica, guardando la TV e reggendo in braccio Lily Anne. Dormiva parecchio, soprattutto quando la tenevo con me, perciò non la mollai un istante. Da parte sua, equivaleva a un forte senso di fiducia nei miei confronti. E se da un lato mi auguravo che la mia bambina crescesse priva di tale sentimento, perché non è mai saggio fidarsi troppo degli altri, dall’altro lato la cosa mi sorprese piacevolmente spingendomi ad abbracciare la risoluzione di proteggerla da tutti gli altri mostri notturni.
Spesso mi ritrovavo ad annusare la sua testolina; comportamento assai strano, senza dubbio, ma da quel che mi parve di capire totalmente in sintonia con il mio nuovo sé. L’odore era notevole, diverso da qualunque altro. Non sapeva quasi di nulla, e non si poteva definire né dolce né antico, anche se li ricordava entrambi, e molto di più. Continuavo ad annusarla, senza posa, solo perché mi andava, quando all’improvviso un nuovo odore si materializzò dalle parti del pannolino, e questo fu abbastanza facile da identificare.
Cambiare un pannolino non è così male come sembrerebbe, e a me non dava affatto fastidio. Certo, non lo farei come mestiere, ma almeno nel caso di Lily Anne non avevo alcun problema; anzi, in un certo senso provavo persino piacere, perché facevo qualcosa di utile e specifico per lei. Un’ulteriore soddisfazione la ricevetti quando vidi Rita piombare in picchiata come un bombardiere, con il timore che facessi danni, per poi accorgersi della mia pacata competenza. Che gioia quando sollevò la bambina dal fasciatoio e disse soltanto: — Grazie, Dexter.
Mentre Rita allattava Lily Anne, assistetti per qualche minuto a una partita di hockey alla TV. Fu deludente; innanzi tutto perché i Panthers erano in svantaggio di tre reti, e poi per gli scontri. In passato, quello sport mi aveva attratto per la lodevole e schietta sete di violenza dimostrata dai giocatori. Ora, invece, pensai che avrei dovuto disapprovare simili cose. Il Nuovo Me, il Delicato e Domestico Dexter, era strenuamente contrario alla violenza e non poteva di certo amare uno sport come l’hockey. Forse sarei dovuto passare al bowling. Lo trovavo terribilmente noioso, ma non c’era di mezzo il sangue, e senza dubbio era più eccitante del golf.
Prima che potessi prendere una qualsiasi decisione, Rita tornò con Lily Anne. — Ti andrebbe di farle fare il ruttino, Dexter? — disse, con un sorriso da Madonna, quella dei quadri, ovviamente, non la cantante.
— Non aspettavo di meglio — risposi, e stranamente non stavo mentendo. Mi sistemai un piccolo asciugamano sulla spalla e vi appoggiai la testa della neonata. E ancora una volta non mi dispiacque affatto quando Lily Anne fece i suoi rumorini, depositando qualche bollicina di latte sull’asciugamano. Mi ritrovai a complimentarmi silenziosamente con lei per ogni singolo ruttino, finché non crollò addormentata. La voltai in posizione frontale, la strinsi al petto, e la cullai delicatamente.
Ero proprio in questa posizione quando Brian riportò a casa Cody e Astor, intorno alle nove. Teoricamente, non aveva rispettato del tutto le regole, perché quella era l’ora di andare a letto e adesso i ragazzi avrebbero tardato almeno di quindici minuti. Ma Rita non sembrò farci caso, e da parte mia farlo notare sarebbe stato sgarbato, visto che tutti si erano divertiti. Persino Cody stava quasi sorridendo. Mi ripromisi di scoprire in quale diavolo di ristorante Brian li avesse portati per suscitare tali reazioni.
La presenza di Lily Anne tra le mie braccia mi rendeva impedito, ma intanto che Rita si affaccendava a far mettere il pigiama e a far lavare i denti ai fratelli più grandi, ne approfittai per andare a scambiare due chiacchiere amichevoli con Brian.
— Be’ — gli dissi, mentre se ne stava davanti alla porta con un’aria di placida soddisfazione — sembra che si siano divertiti.
— Oh, sicuro — fece, con quel sorriso orribilmente finto. — Sono due bambini notevoli.
— Gli involtini primavera li hanno mangiati? — chiesi, e per un istante Brian mi parve del tutto assente.
— Gli involtini… Oh, sì, hanno sbranato tutto quello che gli ho messo davanti. — Lo disse con un’allegrezza talmente sinistra che fui certo che non stavamo parlando di cibo.
— Brian — esordii.
Ma non riuscii a finire che Rita entrò come un fulmine. — Oh, Brian — esclamò, rubandomi Lily Anne dalle braccia. — Non so che cosa tu abbia fatto, ma i bambini sono stati benissimo. Non li ho mai visti così.
— È stato un vero piacere — rispose lui, mentre piccoli ghiaccioli mi spuntavano sulla spina dorsale.
— Vuoi accomodarti un attimo? — lo invitò Rita. — Posso farti un caffè, o se preferisci un bicchiere di vino…
— Oh, no — disse lui allegro. — Ti ringrazio davvero, incantevole signora, ma devo proprio andare. Non ci crederete, ma stasera ho un appuntamento.
— Oh! — Rita arrossì imbarazzata. — Spero di non averti… cioè, con i bambini di mezzo, fatto perdere… Non era il caso…
— Ci mancherebbe — rispose Brian, come se avesse colto il senso del confuso monologo di Rita. — Ho tempo da vendere. Ma ora mi devo gentilmente congedare.
— Be’ — continuò lei — se non fai complimenti… Non so proprio come ringraziarti, perché…
— Mami! — chiamò Astor dal corridoio.
— Oh, cara — fece Rita. — Scusate, ma… ancora grazie mille, Brian. — Si sporse verso di lui e lo baciò sulla guancia.
— È stato un vero piacere — ripeté mio fratello.
Rita sorrise e si allontanò per andare da Astor e Cody.
Io e Brian ci scrutammo per un istante. Avevo un mucchio di cose da dirgli, ma non sapevo come cominciare. — Brian — dissi di nuovo, e mi fermai.
Lui mi rivolse quell’orribile e finto sorrisetto d’intesa. — Lo so — replicò. — Ma ho proprio un appuntamento. — Si voltò per aprire la porta e mi lanciò un’occhiata. — Sono dei bambini notevoli, davvero — disse. — Buona notte, fratello.