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In ogni caso, per quanto fosse interessante vedere un vero gigante, non bastò a monopolizzare la mia attenzione e diedi un’occhiata dall’altra parte della radura. Di fronte al gruppetto di poliziotti c’era una zona sgombra in cui si aggiravano diversi detective. Li raggiunsi e posai a terra il mio kit, riflettendo. Sapevo che una giovane donna era scomparsa, e conoscevo qualcuno che la cercava e che sarebbe stato molto interessato a confrontare i fatti. Ma come dovevo comportarmi? Non sono affatto un animale politico, anche se di politica me ne intendo… si tratta semplicemente di un sistema per praticare il mio vecchio hobby con coltelli metaforici anziché reali. Comunque non la trovavo per niente divertente. Tutte le manovre strategiche e quelle pugnalate alle spalle erano così prevedibili e prive di senso, e non portavano a nulla di eccitante. A ogni modo, sapevo quanto fossero importanti in un ambiente strutturato come il dipartimento di polizia di Miami. Anche Deborah non era molto tagliata per la politica, sebbene riuscisse spesso a imporsi con la giusta dose di talento e durezza.

Ultimamente, però, mia sorella non sembrava più se stessa. Era diventata musona e vittimista e non so se sarebbe stata in grado di reggere un confronto che avrebbe potuto mettere a dura prova le sue abilità diplomatiche. Questo caso, infatti, era stato affidato a un altro detective e forse non sarebbe riuscita a strapparglielo neanche ai tempi in cui era in forma. Ritenevo comunque che una bella sfida avrebbe potuto aiutarla a tornare in sé. Forse la cosa migliore sarebbe stata chiamarla e dirglielo… sciogli i mastini da guerra e come deve essere, sia. Come metafora era piuttosto incisiva, e per questo la trovai ancora più convincente, così mi allontanai dal gruppetto di poliziotti ed estrassi il cellulare.

Suonò a vuoto diverse volte; anche questo comportamento non era da mia sorella. Rispose proprio mentre stavo per riattaccare. — Che ce? — disse.

— Sono nelle Everglades sulla scena di un crimine.

— Buon per te.

— Debs, credo che la vittima sia stata ammazzata, cucinata e mangiata pubblicamente.

— Oh, ma è tremendo — commentò con finto entusiasmo, il che mi irritò leggermente.

— Te l’ho detto che la vittima sembra essere una giovane donna? — Per un po’ non sentii nulla. — Debs? — feci.

— Sto arrivando — disse, e colsi un po’ dell’antica fiamma bruciare nella sua voce.

Richiusi il cellulare soddisfatto. Non feci in tempo a intascarlo e a mettermi al lavoro che udii un urlo alle mie spalle: — Merdaaa! — e una raffica di proiettili esplose in mezzo a noi. Mi buttai a terra, tentando di ripararmi dietro al mio kit per le analisi, il che non fu facile, visto che era delle dimensioni di un beauty case. Cercai comunque di proteggermi il più possibile, e intanto di sbirciare in direzione della sparatoria. Quasi mi aspettavo un’orda di guerrieri maori precipitarsi addosso a noi con le lance in pugno e le lingue di fuori. Ma quel che vidi non fu esattamente la stessa cosa.

Gli agenti che fino a un momento prima chiacchieravano vicino a me erano ora sdraiati a terra in posizione di tiro e sparavano con frenesia contro un cespuglio. Contrariamente a quanto prescritto dalle procedure, i loro visi non erano freddi e spietati, ma sembravano sconvolti e impauriti. Uno dei detective aveva appena gettato via un pacchetto di caricamento vuoto e armeggiava disperato per inserirne uno nuovo, mentre gli altri continuavano a sparare con accanimento.

Il cespuglio che a prima vista stavano tentando di far fuori cominciò a dibattersi scompostamente, lasciando intravedere un luccichio giallo argentato. Brillò per un istante alla luce del sole, poi se ne andò, ma gli agenti continuarono a sparare ancora per qualche secondo, finché non accorse il tenente Keane, intimandogli di smetterla. — Che cazzo vi prende, idioti? — gridò.

— Tenente, in nome di Dio… — fece il primo.

— Un serpente! — esclamò il secondo. — Un enorme, fottuto serpente!

— Un serpente? — disse Keane. — Ve lo devo andare a schiacciare?

— Non so se lei ha dei piedi così grossi — replicò il terzo. — Perché si tratta di un pitone birmano, lungo quasi sei metri.

— Oh, merda — sbottò Keane. — Sono una specie protetta?

Mi accorsi di essere ancora accovacciato e, quando vidi arrivare il tipo dell’FDLE, mi tirai su.

— In realtà stanno pensando a una taglia per questi pistoleri — disse — sempre che uno dei nostri Wyatt Earp sia stato abbastanza fortunato da centrarlo.

— L’ho centrato io — dichiarò il terzo, acido.

— Palle — disse un altro. — Tu non sei nemmeno capace di centrare una merda con la scarpa.

Il gigante scuro si avvicinò per vedere tra i cespugli, poi tornò dov’era, scuotendo il capo. Anch’io, visto che il divertimento era finito, presi il mio kit e mi diressi nuovamente ai resti del falò.

Mi aspettava una quantità sorprendente di macchie di sangue e, dopo pochi minuti, ero già al lavoro per cogliere il senso di quell’orribile spettacolo. Il sangue non era ancora del tutto secco, forse per via dell’umidità e, visto che non pioveva da un po’, ne era penetrato parecchio nel terreno. Dunque, nonostante l’aria fosse piuttosto umida, il suolo era relativamente asciutto. Presi un paio di campioni significativi da portare in laboratorio per le analisi e provai a farmi un quadro dell’accaduto.

Gran parte del sangue era concentrato in una zona, intorno al falò. Controllai se le tracce si allargavano in cerchi sempre più ampi, ma le uniche che vidi si trovavano circa due metri più in là e sembravano trascinate da un paio di scarpe. Evidenziai le impronte con la vana speranza che qualcuno fosse in grado di identificarle e tornai alla macchia principale. Il sangue era colato dalla vittima, non schizzato via come avrebbe potuto succedere se fosse stata presa a coltellate. Intorno non si scorgevano tracce secondarie, il che voleva dire che c’era stata un’unica ferita, come se fosse stato dissanguato un capriolo… nessuno nel gruppo si era messo ad accoltellarlo o ferirlo. Si trattava di un omicidio lento e deliberato, una vera e propria macellazione, messa in atto da un’unica persona, molto attenta ed efficiente; seppur con riluttanza, non potei fare a meno di apprezzarne la professionalità.

Sapevo bene che non era facile agire in condizioni simili, in più davanti a un pubblico ebbro che magari ti incita e ti offre rozzi consigli. L’operato mi impressionò e gli dedicai l’attenzione che meritava.

Ero in ginocchio che stavo finendo di esaminare un’ultima, probabile impronta, quando percepii voci concitate, insieme a minacce di intimi e sgradevoli smembramenti e imprecazioni assortite relative a impossibili anatomie. La causa poteva essere una sola. Mi alzai a guardare in direzione del sentiero e la mia ipotesi fu ovviamente confermata.

Deborah era arrivata.

15

Lo scontro non fu niente male, e si sarebbe concluso molto più tardi se non fosse intervenuto un tipo dell’FDLE chiamato Chambers che conoscevo di fama. Si piazzò letteralmente tra Deborah e l’altro detective, un omone di nome Burris; mise una mano sul petto di Burris e, educatamente, una nel vuoto davanti a Deborah, e disse: — Dateci un taglio.

Burris si zittì all’istante. Debs prese fiato per dire qualcosa, e Chambers la fissò. Lei si trattenne, limitandosi a espirare in silenzio.