I sentimenti umani mi erano nuovi, ma non la curiosità, così mi protesi in avanti a guardare. Per capire che cazzo di roba era, non mi ci volle un esame approfondito.
Erano soldi. In gran quantità.
A giudicare dallo strato superiore doveva trattarsi di mazzette da centinaia di dollari, strette in fascette di banca. La valigia ne era stracolma, al punto che non si capiva come Spanos avesse fatto a chiuderla, a meno che Codino non ci si fosse seduto sopra.
— Mezzo milione di dollari — spiegò l’uomo. — In contanti. Non tracciabili. Da consegnarle dove lei desidera. In una banca delle isole Cayman o dove preferisce.
— Per che cosa? — domandò Debs, secca.
Se il signor Spanos l’avesse conosciuta come la conoscevo io, avrebbe avuto di che preoccuparsi.
Ma non la conosceva. Infatti gli parve di essere entrato in confidenza per il solo fatto che lei avesse domandato “per che cosa?”, e sorrise, non con allegria, ma per mostrare che era ancora capace di farlo. — Praticamente per nulla — disse. — Soltanto per questo. — Agitò il dito per aria. — Quando troverà quelle bestie che hanno ammazzato la mia bambina… — La voce gli si incrinò, e si interruppe. Si tolse gli occhiali, li pulì con la manica. Se li rimise, si schiarì la gola e tornò a guardare Deborah. — Quando troverà quei bastardi, lo dica a me per primo. Ecco tutto. Dieci minuti prima di fare qualunque altra mossa. Lei mi telefona. E quei soldi sono tutti suoi.
Deborah lo fissò. Lui ricambiò lo sguardo. E per qualche istante non sembrò più un piagnucolone, ma un uomo che conosceva il fatto suo e sapeva esattamente come ottenerlo.
Scrutai il denaro nella valigia aperta. Mezzo milione di dollari. Una sommetta niente male. Non mi sono mai fatto abbagliare dai soldi: dopo tutto, non ho studiato da avvocato. Ho sempre ritenuto il denaro un modo che gli uomini utilizzano per apparire migliori degli altri. Ma adesso quei mucchi di banconote impilati nella valigia non mi parvero più astratti simulacri per accumulare prestigio. Volevano dire lezioni di danza per Lily Anne. Studi universitari assicurati. Ore di equitazione, vestiti nuovi, l’apparecchio per i denti, e passeggiate in cerca di conchiglie sulle spiagge delle Bahamas. E tutto racchiuso in quella valigetta zeppa di banconote che mi strizzavano l’occhio, ammiccanti, e dicevano: “Perché no? Che cosa c’è di male?”.
Mi accorsi in quel momento che il silenzio durava da troppo tempo per non considerarsi imbarazzante, così misi da parte il pensiero della futura felicità di Lily Anne e guardai Deborah. A quanto sembrava, né lei né Spanos avevano cambiato espressione.
Alla fine, comunque, mia sorella posò a terra la valigia con un profondo sospiro e si rivolse a Spanos. — Se li riprenda — disse, spingendoli verso di lui con un piede.
— Sono suoi — insistette l’uomo, scuotendo il capo.
— Signor Spanos — dichiarò Debs. — Offrire tangenti a un pubblico ufficiale è considerato reato.
— Quale tangente? — replicò lui. — Si tratta di un omaggio. Lo accetti.
— Li riprenda, e se ne vada — disse mia sorella.
— Mi basta una semplice telefonata — protestò. — Le sembra un crimine?
— Sono davvero spiacente per la sua perdita — scandì Debs, lentamente. — Se li raccoglie e se ne va all’istante, mi dimenticherò dell’accaduto. Ma se quando rientrano gli altri detective quei soldi sono ancora qui, allora la sbatterò dentro.
— Capisco — fece Spanos. — Non dica più nulla adesso; siamo d’accordo. Ma prenda il mio biglietto da visita e mi chiami quando li trova: il denaro sarà suo. — Le porse il biglietto.
Ma Deborah si alzò in piedi e lo lasciò cadere sul pavimento. — Se ne vada a casa, signor Spanos — disse. — E porti via quella valigia. — Si diresse alla porta e la spalancò.
— Mi basta una chiamata — insistette l’uomo.
Ancora una volta la moglie si mostrò maggiormente dotata di senso pratico. — Non fare l’idiota — lo apostrofò. Si chinò ad afferrare la valigia e riuscì a richiuderla con uno spintone un istante prima che Deke e Alvarez rientrassero con i due culturisti. Porse la valigia a quello rasato e si rialzò. — Andiamo — disse al marito.
Lui la guardò, quindi si voltò verso Deborah che era sulla porta. — Mi telefoni — disse.
— Arrivederci, signor Spanos — fece mia sorella.
L’uomo la guardò ancora per qualche secondo, infine la moglie lo prese per il gomito e lo trascinò fuori.
Deborah chiuse la porta con un profondo sospiro e tornò a sedersi. Alvarez la scrutò, ridacchiando. Non fece in tempo a ricomporsi che mia sorella lo guardò.
— Fottutamente spassoso, eh, Alvarez? — ringhiò Debs.
Entrò Deke e si piazzò nello stesso posto in cui si trovava prima di uscire. — Quanto? — le domandò.
— Come? — fece Deborah, sorpresa.
Deke strinse le spalle. — Ti ho chiesto, quanto — ripeté — Quanto c’era nella valigia?
Lei scosse il capo. — Mezzo milione.
Deke grugnì. — Robetta — disse. — Un tipo a Syracuse al mio collega Jerry Kozanski ne aveva offerti due, di testoni, ed era solo uno stupro.
— Questo è niente — intervenne Alvarez. — Qualche anno fa un narcotrafficante mi ha offerto tre milioni per il tossico che gli aveva rubato la macchina.
— Tre milioni e non li hai presi? — fece Deke.
— Be’, perché puntavo ai quattro — replicò Alvarez.
— Okay — disse Debs. — Abbiamo perso abbastanza tempo con queste cazzate. Torniamo al caso. — Indicò Alvarez. — Non me ne frega niente delle tue stronzate. Voglio Bobby Acosta. Portamelo qui.
Mentre Alvarez si precipitava fuori, riflettei che in fondo mezzo milione di dollari non erano poi così tanti, non per una figlia mangiata viva. Ma proprio perché si trattava di una cifra così bassa, accettarla dagli Spanos in cambio di una futile telefonata sarebbe stato un buon affare. Eppure Deborah non ne era stata tentata, neanche per un istante, e Deke ci aveva scherzato sopra.
Ma, a quanto sembrava, a Debs andava bene così. Mi guardò dritto negli occhi. — Non ci pensiamo più — disse. — Voglio saperne di più su quella roba… su quella coppa da punch. Quella che devono avere usato nelle Everglades. Insieme al sangue, conteneva dell’altro che potrebbe fornirci una pista. Datti da fare.
— Va bene — dissi. — E tu e Deke di che cosa vi occupate?
Mi lanciò uno sguardo che era il bis di quello da limone inacidito che aveva rivolto a Deke. — Noi — esordì con una vena di disgusto — ci occuperemo degli altri tre nominativi nell’elenco del dentista. Quei tipi con i canini da vampiro. — Guardò il socio e poi nel vuoto, stringendo i denti. — Qualcuno di quei ragazzi sa qualcosa, dannazione — continuò. — E noi lo scopriremo.
— Okay — l’assecondò Deke.
— Bene, allora me ne torno in laboratorio a lavorare — dissi.
— Già — fece Deborah. — Ti tocca.
Obbedii, e abbandonai mia sorella con il suo sgradito assistente.
19
Quando arrivai al laboratorio, Vince Masuoka era già in fibrillazione. — Ehi — disse. — Ho sottoposto il mio test per l’ecstasy a quei campioni delle Everglades.
— Splendido — feci. — Stavo per proportelo.
— Sono risultati positivi — continuò. — Ma lì dentro c’è dell’altro, e in gran quantità. — Alzò le spalle con un gesto d’impotenza. — È roba organica, ma non è venuto fuori nulla di più.
— Insisti. Prima o poi lo scopriremo, mon frère.
— Ancora con quel francese? Quand’è che la finirai?