Individuai una zona in cui la macchia era umida e densa e vi feci ruotare lentamente intorno il tampone, asportando materia sufficiente per ottenere un campione decente. Poi infilai con cura il tampone nel vasetto, lo chiusi ermeticamente e mi allontanai da quello scempio.
Deborah continuava a fissarmi, come se fosse in cerca di un posto morbido da prendere a pugni, ma quando mi voltai si rilassò leggermente.
— Come sta la mia nipotina? — fece, e la disgustosa macchia rossastra sulla parete si trasformò in un delicato sfondo rosa pastello.
— È meravigliosa — dissi. — Ha manine e piedini al posto giusto, ed è assolutamente fantastica.
Per un istante mia sorella si adombrò, come se le passasse per la testa un pensiero meno piacevole di quello della nipotina. Poi, prima che potessi capire di che cosa si trattasse, tornò a sfoggiare la sua vecchia faccia da cernia in servizio. — Grande. — Indicò il campione che avevo tra le mani. — Va’ ad analizzarlo e salta la pausa pranzo — disse, e uscì dalla stanza.
Richiusi il mio kit e seguii Debs in corridoio. Intanto era arrivato il capitano Matthews e si era piazzato in soggiorno, dove tutti potessero notare la sua presenza sulla scena del crimine e il suo accanimento nel perseguire la giustizia.
— Merda — fece Deborah. Poi serrò la mascella e gli andò incontro comunque, anche per assicurarsi che non calpestasse qualche indizio.
Mi sarebbe piaciuto restare a guardare, ma il dovere mi chiamava, così mi diressi verso l’uscita, e mi trovai davanti l’agente speciale Brenda Recht.
— Signor Morgan — disse. Dal modo in cui inclinò il capo e inarcò il sopracciglio, sembrava indecisa se rivolgersi a me con il mio vero nome o apostrofarmi con un nomignolo più familiare, tipo “colpevole”.
— Agente speciale Recht. — Nonostante tutto, risposi con una certa gentilezza. — Che cosa la porta qui?
— Il sergente Morgan è sua sorella? — chiese, senza peraltro rispondere alla mia domanda.
— Esatto — dissi comunque.
L’agente speciale Recht mi guardò, poi lanciò un’occhiata in fondo alla stanza, dove Deborah parlava con il capitano. — Che famiglia — commentò, e mi passò davanti, diretta verso il suo Collega Qualunque.
Mi vennero in mente un paio di battute azzeccate che l’avrebbero rimessa elegantemente al suo posto, ma, dopo tutto, nella catena alimentare lei era piazzata parecchio più in alto di me, così mi limitai ad augurarle: — Buona giornata — e uscii, diretto alla macchina.
3
Il test per scoprire se si trattasse o no di sangue umano era semplice e relativamente rapido, così, nonostante il divieto di Deborah, decisi di pranzare lo stesso. A onor del vero, il mio pasto consisteva soltanto in un panino da asporto e, in fondo, all’ospedale avevo praticamente lasciato di corsa Lily Anne per lavorare in un giorno di congedo, quindi un piccolo sandwich cubano non mi sembrava poi un granché. Infatti non mi parve quasi nulla. Lo terminai in macchina, prima di uscire dall’I-95, ma quando arrivai al laboratorio ero molto più di buonumore.
Vince Masuoka stava esaminando qualcosa al microscopio. Non appena entrai, sbatté gli occhi stupito. — Dexter — disse. — Sta bene la piccola?
— Mai stata meglio — feci, con una sfumatura poetica nella voce che mi fece sentire più allegro del dovuto.
Vince non parve apprezzare; mi fissava torvo. — Non dovresti essere qui — fece.
— La mia presenza è stata gentilmente richiesta.
— Oh. — Vince continuava a sbattere gli occhi. — Tua sorella, eh? — Scosse il capo e tornò a chinarsi sul microscopio. — Il caffè è appena fatto — disse.
Che fosse appena fatto non avevo dubbi, ma il preparato doveva giacere da anni in un fusto denso di sostanze tossiche, perché il liquido che ne venne fuori era imbevibile. D’altra parte, che cos’è la vita se non una serie di prove a cui solo i più duri sopravvivono? Sorseggiai dunque una tazza di quel pessimo intruglio senza un lamento, mentre analizzavo la macchia di sangue. In laboratorio disponevamo di diverse fiale di antisiero, e il test consisteva semplicemente nell’aggiungere il mio campione a una di esse e agitare il tutto in una provetta. Avevo appena terminato che il cellulare si mise a suonare. Per un breve e irrazionale istante credetti che fosse Lily Anne a chiamare, poi la realtà si affacciò in tutta la sua bruttura sotto le spoglie di mia sorella Deborah. Non che Debs sia brutta, per carità, ma è piena di pretese.
— Che cos’hai scoperto? — pretese infatti.
— Che potrei essermi preso la dissenteria, per colpa di quel caffè — risposi.
— Non fare il coglione — replicò. — Ne ho già abbastanza di quelli dell’FBI.
— Spiacente, ma ti toccherà sopportare di peggio — dichiarai, fissando la provetta. Tra l’antisiero e il campione prelevato dalla scena del crimine si era formata una sottile linea di precipitato. — Sembra sangue umano.
Deborah restò qualche istante in silenzio, poi disse: — Cazzo. Ne sei sicuro?
— Le carte non mentono — recitai, nel mio miglior accento gitano.
— Devo sapere di chi è quel sangue.
— L’uomo che cerchi è magro, ha i baffi e zoppica. È mancino e indossa scarpe nere e appuntite.
Mia sorella tacque per un secondo, poi saltò su. — ‘Fanculo. Ho bisogno d’aiuto, cazzo.
— Deborah, non posso fare miracoli con un campione di sangue.
— Puoi almeno dirmi se appartiene a Samantha Aldovar? — domandò.
— Posso esaminarlo nuovamente e scoprire il gruppo sanguigno — risposi. — Intanto chiedi alla famiglia qual è il suo.
_Okay — ringhiò, e tolse la comunicazione.
Vi siete mai chiesti quant’è dura tirare avanti nel mondo? Se non siete bravi nel vostro lavoro, la gente vi maltratta e magari vi licenzia. Se invece siete un po’ più che competenti, si aspetta ogni volta che facciate miracoli. Come spesso accade nella vita, si tratta di una situazione senza possibilità di successo. E quando provi a spiegarlo, non conta se lo fai con simpatia, verrai comunque scambiato per un piagnucolone e messo da parte.
Non che questo mi dispiaccia, a dire il vero. Se solo Deborah mi avesse messo da parte, sarei stato ancora in ospedale ad ammirare Lily Anne e le sue nascenti abilità motorie. D’altro canto, però, non potevo rischiare di farmi mettere da parte a tempo pieno, non con una situazione economica come quella attuale e con una famiglia sulle spalle. Così, con un sospiro denso di consapevolezza, mi arresi alla monotona routine.
Quando chiamai Deborah per riferirle il risultato del test era mezzogiorno passato. — È gruppo 0 — dissi. Non mi aspettavo una risposta colma di gratitudine, e infatti non lo fu.
— Muovi le chiappe e vieni qui — grugnì, e riattaccò.
Le mossi fino alla macchina e le trasportai a Coconut Grove, a casa Aldovar. Quando le mie chiappe furono arrivate, la festa non era finita e il mio miniparcheggio accanto al bambù ipertrofico era ormai occupato. Feci un giro dell’isolato, domandandomi se Lily Anne sentisse la mia mancanza. Avrei voluto essere lì con lei, non qui, in questo mondo tedioso e brutale, in balia di macchie di sangue giganti e della collera di Deborah. Avrei voluto correre dentro, dire a Debs che me ne sarei andato e tornare all’ospedale… sempre se avessi trovato un posto dove parcheggiare la macchina, cosa che, invece, non si stava verificando.