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— Santa merda.

Samantha annuì. — Sì, infatti.

A parte quello, non mi restava altro da dire; poi mi ricordai che ero pagato dalla municipalità di Miami per investigare, così le domandai: — E Tyler Spanos?

— Come?

— Eravate amiche — osservai. — Ma sembravate non aver niente in comune.

Annuì, e il sorriso sognante tornò a dipingersi sul suo viso. — Già. Niente, a parte questo — disse.

— Era stata una sua idea? — chiesi.

— Oh, no — rispose. — Questa gente è qui da anni. — Indicò i barattoli pieni di sangue e sorrise. — Ma Tyler è una tipa un po’ scoppiata. — Alzò le spalle e il sorriso si fece più largo. — Era un po’ scoppiata. Aveva conosciuto quel tipo a un rave dark.

— Bobby Acosta?

— Bobby, Vlad, insomma, lui — fece. — Per rimorchiare le dice: “Non indovinerai mai che cosa facciamo nel nostro gruppo. Mangiamo la gente”. Lei gli fa: “Puoi mangiare anche me”, e lui, pensando che avesse capito male, le ripete: “No, intendevo dire che li mangiamo sul serio”. E Tyler: “Be’, certo, anche io e la mia amica intendiamo farci mangiare sul serio”.

Samantha si strinse forte a sé, senza smettere di tremare, dondolandosi piano. — Ci eravamo dette che avremmo voluto conoscere qualcuno di simile. Cioè, eravamo andate sulla chat di Yahoo, ma c’è solo gente che pensa al porno e ad altre stronzate, e come puoi fidarti di qualcuno conosciuto su Internet? Poi Tyler conosce quel ragazzo. — Tremò ancora, stavolta molto più forte. — Allora viene da me e mi dice: “Non crederai mai a quello che mi è successo l’altra notte”. E io: “Okay, l’hai fatto di nuovo?”, e lei: “No, dico sul serio”. Dopodiché mi racconta di Vlad e del suo gruppo…

Chiuse gli occhi e si leccò le labbra, prima di continuare. — È come un sogno che diventa realtà — fece. — Cioè, è troppo bello. Subito non ci credevo. Perché Tyler è… era una tipa bizzarra, e i ragazzi se ne accorgevano e le raccontavano storie solo per… per portarsela a letto. Credevo che avesse preso dell’ecstasy o roba simile. Come potevo essere sicura che quel tipo esistesse davvero? Poi però mi ha fatto conoscere Vlad, che ci ha mostrato foto e altro, e io mi sono detta: “È fatta”.

Samantha mi guardava, scostandosi il ciuffo dal viso. Aveva una bella capigliatura, pulita e luminosa, anche se color topo. La si sarebbe scambiata facilmente per una qualsiasi adolescente intenta a raccontare a un adulto comprensivo un interessante aneddoto capitato durante la lezione di francese. — Ho sempre saputo che un giorno ci sarei riuscita — riprese. — Cioè, a trovare qualcuno che mi avrebbe mangiato. Lo volevo sopra ogni cosa. Ma credevo che sarebbe successo più tardi, sai, dopo il college o… — Strinse le spalle e scosse il capo. — Ma ecco che arriva lui, e io e Tyler ci diciamo: “Perché aspettare?”. Perché far spendere ai miei genitori i soldi per l’università, quando avrei potuto avere subito quel che desideravo? Così abbiamo detto a Vlad: “Okay, noi ci stiamo, alla grande”, e lui ci ha presentato al capo del gruppo e… — Sorrise. — E ora sono qui.

— Tyler no, invece — osservai.

Samantha annuì. — Lei è la solita fortunata. L’hanno chiamata per prima. — Allargò il sorriso. — Ma la prossima sono io. Non manca molto.

La sua impazienza di seguire Tyler nel calderone prosciugò tutto il mio zelo professionale, e non riuscii a dire altro. Samantha mi scrutava per vedere che cos’avrei fatto, ma per la prima volta nella mia vita io stesso non ne avevo idea. Qual è la corretta espressione facciale da esibire quando qualcuno ti racconta che sogna da sempre di essere mangiato? Shock? Incredulità? Indignazione morale? Ero abbastanza certo che l’argomento non fosse mai comparso in nessuno dei film o degli sceneggiati televisivi da me studiati, e anche se in alcuni ambienti sono considerato una persona intelligente e creativa, proprio non mi veniva in mente nulla di adeguato. Perciò mi limitai a guardarla.

Samantha ricambiò il mio sguardo, e così eccoci qua: un uomo perfettamente normale, sposato, con tre bambini, una promettente carriera e l’hobby di ammazzare la gente, e un’adolescente perfettamente normale che frequenta una scuola prestigiosa, le piace Twilight e sogna di essere mangiata, tutti e due seduti, uno di fianco all’altra, dentro la cella frigorifera di un club per vampiri a South Beach. Di recente mi ero impegnato parecchio a condurre una vita anche solo lontanamente normale, ma se voleva dire diventare come lei, allora ci rinunciavo volentieri. Al di fuori dei quadri di Salvador Dalì, non credevo che la mente umana potesse concepire qualcosa di più estremo.

Alla fine, anche per due non umani come noi, continuare a fissarci ci fece sentire un po’ strani, e ci voltammo dall’altra parte.

— Comunque — fece Samantha. — Non ha importanza.

— Che cosa non ha importanza? Che vuoi essere mangiata?

Alzò le spalle, stavolta proprio come fanno gli adolescenti. — Vabbè — disse. — Tanto tra poco arriveranno.

Rabbrividii. — Chi arriverà?

— Uno di quelli del sabba — rispose, e mi guardò. — È così che lo chiamano il… sai, il gruppo di quelli che mangiano la gente.

Pensai al file che avevo visto al computer. Sabba. Rimpiansi di non averlo copiato per poi correre a casa. — Come fai a sapere che stanno arrivando?

Samantha alzò di nuovo le spalle. — Devono venire a nutrirmi. Tipo tre volte al giorno, sai.

— Come mai? — chiesi. — Se poi ti devono ammazzare, perché dovrebbero prendersi cura di te?

Mi guardò come se fossi un ritardato, scuotendo la testa. — Mi devono mangiare, non ammazzare — replicò. — Non mi vogliono tutta secca e sciupata. Devo essere bella paffuta, sai. Soda. Gustosa.

Grazie al mio lavoro e al mio hobby posso vantarmi di avere uno stomaco piuttosto forte. Ma questa storia mi stava mettendo a dura prova. Il fatto che Samantha avrebbe allegramente mangiato tre bei pasti al giorno perché la sua carne diventasse più saporita era un po’ troppo persino per me, specie prima di fare colazione, così mi voltai. Poi, fortunatamente per il mio appetito, un pensiero pragmatico si fece strada in me. — In quanti verranno? — domandai.

Samantha mi fissò, poi abbassò lo sguardo. — Non so — disse. — Di solito sono solo in due. Nel caso che cambiassi idea, sai, e decidessi di scappare. Ma… — Riprese a guardarmi, per poco.

— Stavolta penso che con loro ci sarà anche Vlad — disse infine. Il che non mi piacque affatto.

— Come fai a dirlo?

Scosse il capo, sempre senza guardarmi. — Quando toccava a Tyler — spiegò — aveva cominciato a venire con loro. E… a farle delle cose. — Si leccò le labbra. — Non solo, sai… Non solo sesso. Cioè, non sesso normale. Lui… uhm… Le faceva tanto, tanto male. Perché era così che si eccitava e… — Tremò, infine alzò la testa.

— Dev’essere per questo che mi mettono della roba nel cibo, forse dei tranquillanti — aggiunse. — Così mi tengono, sai, calma e rilassata. Perché, altrimenti… — Distolse di nuovo lo sguardo. — Magari Vlad non verrà — fece.

— Ma almeno i due tipi verranno?

Annuì. — Certo.

— Sono armati? — chiesi. Mi fissò, assente. — Coltelli, pistole, bazooka… hai presente? Portano armi?

— Non so — rispose. — Io, al loro posto, un’arma me la porterei.

Pensai che me la sarei portata anch’io, e a costo di passare per cinico pensai anche che se fossi stato in Samantha avrei badato a quali armi portavano i miei carcerieri. Ovviamente, io non vedevo me stesso nelle sembianze di un banchetto, il che giovava di certo alle mie capacità osservative.

Così sarebbero stati in due, probabilmente armati, quasi sicuramente di pistole, visto che eravamo a Miami. Voleva dire che anche Bobby Acosta avrebbe avuto con sé qualche arma, essendo latitante e danaroso. E io mi trovavo chiuso in una stanzetta, senza nessun posto in cui nascondermi, con Samantha tra le scatole che magari si sarebbe messa a gridare: “Attenti!” ai suoi carcerieri, mentre cercavo di sorprenderli. Dalla mia, invece, avevo il cuore puro e un cacciavite deformato.