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All’improvviso mi assalì un’orribile sensazione… non tanto per quello che Samantha aveva detto, ma per il fatto che l’avesse detto proprio a me. A che cosa si riferiva era chiaro; ma davvero avrebbe raccontato a tutti del nostro breve intermezzo dettato dall’ecstasy, dicendo che era avvenuto contro il suo volere? Non dovevo preoccuparmene: dopo tutto, si trattava di una questione intima accaduta anche contro il mio, di volere. Infatti non le avevo messe io le droghe in quella bottiglia, né consideravo il gesto degno di lode.

Eppure, man mano che la sua minaccia prendeva forma, un’angoscia terribile si impossessava del mio stomaco. Se Samantha sosteneva che l’atto era avvenuto contro la sua volontà, in termini tecnici la definizione era “stupro”, il che, pur essendo al di fuori della mia consueta area di interesse, sicuramente alla legge non sarebbe piaciuto, quasi alla stregua di altri crimini da me commessi. Se quella parola fosse venuta fuori, nessuna delle mie splendide e brillanti scuse sarebbe servita a nulla. E come avrei potuto discolparmi? Un uomo adulto che sta per morire, imprigionato insieme a una ragazza: nessuno avrebbe mai scoperto il suo gesto. Era un’immagine che parlava da sola. Perfettamente credibile… e del tutto imperdonabile, anche se il colpevole sapeva di essere sul punto di morire. Non avevo mai sentito una difesa dall’accusa di stupro basata su circostanze attenuanti ed ero praticamente certo che non avrebbe funzionato.

Avrei potuto dire quel che volevo, le capacità oratorie di Dexter avrebbero potuto travalicare i limiti umani del linguaggio e muovere a commozione la marmorea statua della Giustizia, con l’unico risultato che si sarebbe sempre trattato della mia parola contro la sua. Sarei stato comunque quello che aveva approfittato di una ragazzina inerme e prigioniera. Immaginai l’opinione che la gente si sarebbe fatta di me. In fondo, avevo sempre plaudito ogni volta che un uomo adulto e sposato perdeva il lavoro e la famiglia per aver fatto sesso con una ragazza più giovane. E io mi ero comportato esattamente allo stesso modo. Anche se fossi riuscito a convincerli che ero sotto l’effetto delle droghe e che non era stata colpa mia, per me sarebbe stata ugualmente la fine. “Festini sessuali a base di droga con adolescenti” sembrava più un titolo da giornale scandalistico che una giustificazione.

E neppure il miglior avvocato del mondo avrebbe mai potuto scagionarmi nei confronti di Rita. Non ero ancora riuscito a comprendere interamente il comportamento degli esseri umani, ma avevo visto abbastanza sceneggiati in Tv da capire come sarebbe andata. Rita non avrebbe pensato allo stupro, ma la faccenda non sarebbe cambiata. Avrebbero potuto legarmi mani e piedi, drogarmi e costringermi a fare sesso con una pistola puntata addosso, ma quando lei l’avesse saputo, avrebbe chiesto ugualmente il divorzio e cresciuto Lily Anne senza di me. Sarei rimasto tutto solo e infreddolito, senza arrosto di maiale, senza Cody e Astor, e senza Lily Anne a illuminare i miei giorni: il Decaduto Papà Dexter.

Niente famiglia, niente lavoro: nulla. Rita si sarebbe tenuta persino i miei amati coltelli da cucina. Era orribile, terrificante, spaventoso; sarei stato privato di tutti i miei affetti: la mia vita intera gettata in un cassonetto. E tutto perché mi avevano drogato. Non era ingiusto, di più. I miei pensieri dovevano leggermisi in faccia, perché Samantha continuava a fissarmi e ad annuire.

— Esatto — disse. — Pensaci.

Ricambiai il suo sguardo e ci pensai. Mi domandai se almeno per una volta avrei potuto sbarazzarmi di qualcuno per qualcosa che non aveva ancora commesso: una specie di trastullo proattivo.

Ma, fortunatamente per Samantha, prima che potessi afferrare il nastro isolante, Deborah decise di imporsi nuovamente nel ruolo della salvatrice empatica. — Okay — le disse. — Ora a queste cose non ci pensiamo. Ti riportiamo dai tuoi genitori. — E le posò una mano sulla spalla.

Ovviamente, Samantha la scacciò come se fosse un disgustoso insetto. — Fantastico — fece. — Non vedo l’ora.

— Allaccia la cintura — le disse Deborah, poi si voltò distrattamente verso di me: — Vuoi un passaggio, suppongo.

Stavo quasi per dirle: “No, non disturbarti, io resto qui a sfamare le zanzare”, ma poi mi ricordai che mia sorella non amava il sarcasmo, così annuii e mi allacciai la cintura.

Deborah chiamò la centrale e disse: — La Aldovar è con me. La sto riportando a casa — mentre Samantha borbottava: — Vaffanculo. — Debs le rivolse una specie di ghigno che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un sorriso rassicurante, infine mise in moto la macchina e partì.

Me ne restai una buona mezz’ora accucciato sul sedile posteriore a immaginare la mia vita che andava a pezzettini.

Era un quadro davvero deprimente: Dexter Deposto, gettato nel dimenticatoio, privato del travestimento che si era con grande cura costruito e di tutti i suoi punti saldi, scaraventato nudo e negletto nel mondo freddo e nemico… senza che potesse muovere un dito per evitarlo.

Quando avevo cercato di scappare, mi ero dovuto mettere in ginocchio per supplicare Samantha di non intervenire. E allora era stata neutrale. Ma adesso che ce l’aveva con me, non c’era alcun modo per convincerla a non parlare. Non avrei potuto neanche restituirla ai cannibali: con la morte di Kukarov e il resto del gruppo catturato o allo sbando, non c’era più nessuno disponibile a mangiarla. Insomma, il quadro della situazione era spaventosamente chiaro: la fantasia di Samantha era diventata irrealizzabile, secondo lei la colpa era mia e per questo si sarebbe orribilmente vendicata. Senza che io potessi far nulla per impedirglielo.

Non sono mai stato un fanatico dell’ironia, ma qui non potevo evitare di scorgerne un pochettino: dopo tutti i crimini che avevo commesso, volontariamente e con gioia, dovevo proprio farmi mettere nel sacco da una ragazzina imbronciata e da una bottiglia d’acqua? Era una faccenda talmente grottesca che l’avrebbero apprezzata soltanto i francesi.

Giusto per sottolineare le mie ansie e la sua determinazione, a ogni chilometro del lungo e deprimente viaggio verso casa sua, Samantha si girava e mi fissava torva. Percorremmo la Route 41, poi la LeJeune, finché non raggiungemmo casa Aldovar, a Coconut Grove.

Qui, proprio per ricordarmi che ogni danno ha la sua beffa, quando svoltammo nella via di Samantha e ci avvicinammo alla sua abitazione, Deborah borbottò: — Merda.

Mi abbassai a guardare oltre il parabrezza e mi trovai davanti a un’atmosfera carnascialesca.

— Quel maledetto figlio di puttana — saltò su Debs, assestando un colpo brutale al volante.

— Chi? — feci. Ammetto che non stavo nella pelle all’idea di scaricare la situazione nelle mani di qualcun altro.

— Il capitano Matthews — ringhiò. — Quando ho chiamato in centrale, deve aver avvisato tutti i fottuti media per poter abbracciare Samantha a testa alta davanti alle telecamere.

Infatti non appena Deborah accostò l’auto di fronte a casa Aldovar, il capitano comparve per incanto davanti alla portiera e si protese per aiutare a uscire un’ingrugnita Samantha, bersagliata dai flash e dai mormorii di sorpresa dell’orda di giornalisti. Il capitano le cinse le spalle con fare protettivo e ingiunse imperiosamente alla folla di fare largo e lasciarli passare. Momento topico, questo, nella storia dell’ironia, visto che era stato proprio Matthews a radunarli lì per assistere alla scena, e ora faceva mostra di allontanarli per confortare Samantha. Mi godetti talmente lo spettacolo che per un intero minuto mi angosciai soltanto due o tre volte per il mio futuro.

Deborah non pareva divertirsi allo stesso modo. Avanzava dietro a Matthews con una smorfia, spintonando i giornalisti che stupidamente le intralciavano il cammino, neanche la stessero mettendo sotto accusa.