La cena proseguì in un deliziato silenzio, rotto soltanto da rumori di mandibole, mormorii di piacere e richieste di Lily Anne di essere nutrita, forse suscitate dall’aroma dell’arrosto. Di tanto in tanto Rita interveniva con qualche ansiosa esternazione, prontamente tranquillizzata quando qualcuno porgeva il piatto per avere un’altra porzione. Cosa che, a parte Lily Anne, facemmo un po’ tutti.
Alla fine del pasto, quando fu dimostrato per l’ennesima volta che le parole “avanzo d’arrosto” erano una contraddizione in termini, assaporai la gioia di essere tornato sano e salvo nel mio confortevole nido.
La sensazione di benessere proseguì anche dopo cena, quando Cody e Astor si gettarono su un gioco della Wii che consisteva nell’ammazzare orribili mostri, e io mi sedetti sul divano a far fare il ruttino a Lily Anne, mentre Rita riordinava. Brian sedette accanto a me. Per un po’ osservammo distrattamente i bambini giocare, infine mio fratello parlò.
— Bene — disse. — Dunque sei sopravvissuto all’incontro con quelli del sabba.
— Così pare — feci.
Brian annuì e, mentre Cody faceva fuori una creatura dall’aria incredibilmente malvagia, esclamò: — Bel colpo, ragazzino! — Dopo un po’ si voltò verso di me e aggiunse: — E il capo delle streghe l’hanno preso?
— George Kukarov, intendi — feci. — Gli hanno sparato ed è morto sulla scena del crimine.
— Vuoi dire il gestore di quel club, Zanne? — domandò sorpreso.
— Esatto. Devo dire che gli hanno sparato appena in tempo, e hanno preso bene la mira.
Brian restò qualche minuto in silenzio, poi disse: — Ho sempre pensato che il capo delle streghe dovesse essere una donna.
Era la seconda volta quella sera che mi veniva rivolta la stessa obiezione, e ne ero un po’ stufo. — Non è un problema mio — replicai. — Deborah e la sua squadra cattureranno il resto del gruppo.
— Non credo proprio che ci riuscirà, se crede che il capo sia Kukarov — obiettò Brian.
Lily Anne si esibì in un ruttino silenzioso ma esplosivo che inzuppò lentamente l’asciugamano e la camicia sottostante, mentre reclinava la testolina sulla mia spalla per dormire.
— Brian — dichiarai. — Quella gente mi ha fatto passare davvero una giornataccia, e io sono esausto. Non mi interessa se il vero capo sia un uomo, una donna o un lucertolone a due teste venuto dal pianeta Nardone. È un problema di Deborah, e io ne ho abbastanza… Ma come mai tutto questo interesse?
— Non importa niente neanche a me — disse. — Ma tu sei mio fratello. E di te, invece, mi importa.
Meritava una risposta davvero pungente, ma l’urlo angosciato di Astor mi coprì la voce: — Nooooooo!
Ci voltammo entrambi verso il televisore appena in tempo per vedere il suo avatar biondo che veniva divorato da un mostro.
— Ah — fece Cody, pacato ma trionfante, alzando in aria il suo telecomando.
La partita proseguì e io mi dimenticai delle streghe, del sabba e dell’interessamento di mio fratello nei loro confronti.
La sera volgeva a conclusione. Mi accorsi che stavo sbadigliando sguaiatamente e, malgrado un certo imbarazzo, non riuscii a farne a meno. Il mio povero organismo stava pagando lo scotto delle terribili traversie patite, senza contare che quell’arrosto di maiale doveva essere stato imbottito di triptofano. Un po’ per un motivo e un po’ per l’altro, anche papà Dex era alle corde e presto avrebbe seguito Lily Anne nel mondo dei sogni.
Stavo per congedarmi dal piacevole consesso, nonostante l’indifferenza da parte del gruppo, concentrato sul videogame, quando dal cellulare di Brian si levarono le note della Cavalcata delle Valchirie.
Mio fratello estrasse l’apparecchio dalla custodia e lo scrutò, torvo; poi si alzò, quasi immediatamente, mormorando: — Maledizione. Sarebbe stata una piacevole serata, ma devo andare via subito.
— Lo sarebbe stata — borbottò Astor, fissando il punteggio vincente di Cody sullo schermo — ma non lo è ancora.
Brian le rivolse uno dei suoi finti sorrisoni. — Per me è sempre piacevole, Astor — disse. — Siete la mia famiglia. — Quindi aggiunse: — Purtroppo il dovere mi chiama e devo andare al lavoro.
— Ma è notte — protestò Cody, senza alzare lo sguardo.
— Lo so — fece Brian. — Ma ogni tanto mi tocca lavorare anche a quest’ora. — Mi guardava allegro, come se stesse per strizzarmi l’occhio, finché la mia curiosità vinse il sonno.
— Di che cosa ti occupi, adesso? — domandai.
— Lavoro per una compagnia di servizi — rispose. — E devo proprio andare. — Mi diede una pacca sulla spalla, quella non occupata da Lily Anne, e disse: — Sicuramente dopo tutto quello che hai passato avrai bisogno di dormire.
Sbadigliai di nuovo. Non potevo dargli torto. — Mi sa che hai ragione — feci, e mi alzai. — Ti accompagno fuori.
— Non ti disturbare — disse Brian, dirigendosi in cucina. — Rita? Grazie ancora per la splendida cenetta e la piacevole serata.
— Oh. — Rita spuntò fuori dalla stanza, asciugandosi le mani in un telo. — Ma è ancora presto, e… gradisci un caffè? Oppure un…
— Ahimè — fece Brian — devo proprio levare le tende.
— Perché le devi levare? — chiese Astor. — A che cosa serve?
Brian le strizzò l’occhio. — A niente. Vuol dire solo che devo scappare — spiegò, poi si voltò verso Rita e l’abbracciò goffamente. — Grazie mille, adorabile signora, e buona notte.
— Mi spiace davvero che… cioè, è un po’ tardi per andare a lavorare, e tu… e trovare qualcosa di nuovo? Perché questo non è…
— Lo so — fece Brian. — Ma attualmente questo è il lavoro più congeniale alle mie abilità. — Mi guardò, e una nausea gelida mi aggredì la bocca dello stomaco: a quanto ne sapevo, di abilità Brian ne aveva soltanto una e dubitavo che per quella sarebbe mai stato pagato. — Senza contare — continuò, rivolto a Rita — che dà le sue gratificazioni, che al momento ritengo importanti. E con questo vi saluto con affetto, miei cari. — Alzò la mano, evidentemente per salutarci con affetto, e si diresse alla porta.
— Brian — dissi rivolto alle sue terga, poi mi bloccai, perché un altro sbadiglio mi stava inchiodando la mascella e il corpo intero.
Brian si voltò, inarcando il sopracciglio. — Sì, Dexter?
Cercai di ricordarmi quello che gli volevo dire, ma un altro sbadiglio me lo scacciò dalla mente. — Niente — feci. — Buona notte.
Ancora una volta gli comparve in faccia quel famigerato finto sorriso. — Buona notte, fratello — disse. — Riposati. — Poi aprì la porta e sparì nella notte.
— Be’ — osservò Rita — Brian sta proprio diventando uno di famiglia.
Annuii e mi sentii andare leggermente alla deriva, come se muovere la testa mi facesse perdere l’equilibrio, col rischio di cadere a faccia in giù sul pavimento. — Eh, sì — feci, e tanto per cambiare sbadigliai.
— Oh, povero Dexter… devi andare subito a letto; devi essere… su, dammi la piccola — disse Rita. Corse a posare l’asciugamano in cucina, poi tornò rapida a prendere Lily Anne. Nel mio stato di devastazione vederla muoversi così rapida mi parve sorprendente. Dopo un istante aveva steso Lily Anne nel suo cestino e mi stava spingendo verso la stanza da letto. — Ora — fece — ti fai una bella doccia calda e poi vai a letto. Domani dovresti dormire fino a tardi. Non possono aspettarsi… cioè, dopo tutto quel che hai passato!
Ero troppo stanco per poterle rispondere. Prima di buttarmi a letto riuscii a trascinarmi sotto la doccia e, una volta lì, dovetti vedermela con tutta la sporcizia che mi si era accumulata addosso in quell’orribile giornata. Fu dura restare sveglio mentre l’acqua calda mi lavava via quel sudiciume. E finalmente, con una gioia quasi soprannaturale, crollai a letto, chiusi gli occhi, mi tirai le coperte fino al mento e…