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— Sergente Morgan? — disse, e Deborah scattò dalla poltrona come se fosse stata seduta su una molla gigante. — Il signor Acosta vi riceverà ora — continuò la segretaria, indicando la porta dell’ufficio.

— Con calma, cazzo — borbottò Debs a bassa voce, ma credo che Muriel l’avesse sentita, perché quando mia sorella le passò davanti, infuriata, ci rivolse un sorrisetto di superiorità.

L’ufficio di Joe Acosta era così spazioso che avrebbe potuto ospitare un congresso. Un’intera parete era occupata dal televisore a schermo piatto, il più grande che io avessi mai visto, mentre su quella opposta campeggiava un enorme quadro che avrebbe potuto star bene in un museo circondato da un servizio di sicurezza. C’erano un bar, completo di angolo cottura, una zona conversazione dotata di un paio di divani e un gruppo di poltrone che sembravano uscite da un club per gentiluomini dell’epoca vittoriana e che dovevano costare più di casa mia. Alana Acosta era adagiata comodamente su una di queste e sorseggiava il caffè da una tazza di fine porcellana. Non ce ne offrì.

Joe Acosta sedeva a una massiccia scrivania in vetro e acciaio di fronte a una vetrata fumé attraverso cui il panorama di Biscayne Bay sembrava la foto del suo cottage nei boschi. Nonostante tutto, però, la luce del crepuscolo riflessa nell’acqua penetrò nella stanza, illuminandola di magici riflessi.

Al nostro ingresso Acosta si alzò in piedi e il chiarore proveniente dalla vetrata gli creò intorno una specie di aureola. Fissarlo era impossibile, se non strizzando gli occhi, ma io lo guardai lo stesso, e lo trovai comunque imponente.

Non in senso fisico, però. Acosta era un uomo magro e aristocratico dagli occhi e i capelli scuri, e indossava un completo dall’aria molto costosa. Non era alto, e di sicuro la moglie con i tacchi a spillo lo sovrastava. Ma l’aspetto emanava la consapevolezza che la forza della sua personalità avrebbe prevalso sulla sua statura. O forse la forza del suo denaro. In ogni caso, di qualunque cosa si fosse trattato, lui ce l’aveva. Ci scrutò dall’altra parte della scrivania e io provai l’immediato impulso di inginocchiarmi, o almeno battermi sulla fronte.

— Perdoni l’attesa, sergente — disse. — Mia moglie ci teneva a essere presente. — Indicò con un cenno la zona conversazione. — Sediamoci laggiù, così possiamo parlare — ci invitò. Fece il giro della scrivania e sedette sulla grande poltrona imbottita di fronte ad Alana.

Deborah esitò per un istante. La vidi un po’ insicura, come se fosse la prima volta che le toccava affrontare qualcuno che si trovava poco al di sotto di Dio. Poi trasse un profondo respiro, irrigidì le spalle e marciò alla volta del divano. Prese posto e io mi sedetti accanto a lei.

Il divano doveva essere stato creato con lo stesso principio della Venere acchiappamosche, perché venni immediatamente risucchiato da un altro cuscino più profondo. Mentre lottavo per restare a galla mi resi conto che era tutto voluto, un altro stupido trucco di Acosta per dominare la gente, come quello di piazzare la scrivania di fronte a una finestra luminosa. Deborah doveva essere giunta alla stessa conclusione, perché serrò la mascella e si protese di scatto in avanti per poi appollaiarsi imbarazzata sull’orlo.

— Signor Acosta — cominciò. — Ho bisogno di parlare con suo figlio.

— Di che cosa? — chiese l’uomo. Sedeva comodamente in poltrona, le gambe accavallate e un’espressione di cortese interesse sul viso.

— Di Samantha Aldovar — rispose mia sorella. — E di Tyler Spanos.

Acosta sorrise. — Roberto ha così tante fidanzate che non riesco neanche a tenere il conto.

Deborah sembrava irritata, ma per la fortuna di tutti riuscì a mantenere la calma. — Come immagino lei sia al corrente, Tyler Spanos è stata assassinata e Samantha Aldovar è scomparsa. E penso che suo figlio ne sappia qualcosa.

— Che cosa glielo fa pensare? — domandò Alana dalla poltrona di fronte a quella di Joe. Ecco un altro trucco: ci toccava girare la testa a destra e a sinistra, come a una partita di ping pong.

Ma Deborah la guardò comunque. — Suo figlio conosce Samantha — fece. — E alcuni testimoni dichiarano che è stato lui a vendere la macchina di Tyler. L’accusa è di furto d’auto e favoreggiamento di omicidio, e siamo solo all’inizio.

— Non mi risulta che sia stata formulata nessuna accusa — obiettò Acosta.

Entrambi ci voltammo nella sua direzione. — Non ancora — fece Deborah. — Ma succederà.

— Allora forse dovremmo parlarvi in presenza di un avvocato — disse Alana.

Deborah la guardò rapida, poi si voltò verso il marito. — Volevo parlare prima con voi — fece. — Prima di mettere in mezzo gli avvocati.

Acosta annuì, come se fosse scontato che un agente di polizia gli tributasse tale cortesia per via dei suoi soldi. — Perché? — chiese.

— Bobby è nei guai — dichiarò Deborah. — Credo che lo sappia. E a questo punto la decisione migliore è quella di presentarsi nel mio ufficio con un avvocato e costituirsi.

— Così per lei sarebbe tutto lavoro risparmiato, vero? — disse Alana con un sorrisetto di superiorità.

Mia sorella la scrutò. — Il lavoro non mi spaventa — disse. — E Bobby lo troverò comunque. Ma quando questo accadrà, non se la caverà facilmente. Se si oppone all’arresto, potrebbe rischiare di farsi del male. — Tornò a guardare Acosta. — Sarebbe decisamente meglio per lui se si presentasse di sua spontanea volontà.

— Come mai lei pensa che io sappia dove si trova? — chiese l’uomo.

Deborah lo fissò per un istante, poi distolse lo sguardo, verso la finestra illuminata che si affacciava sulla baia. — Se fosse mio figlio — disse — vorrei sapere dove si trova. O come trovarlo.

— Lei non ha figli, vero? — fece Alana.

— No — rispose Debs. Fissò la donna per un lungo e imbarazzante momento, poi tornò a rivolgersi al marito. — Si tratta di suo figlio, signor Acosta. Se lei sa dove si trova e non me lo vuole dire, dovrò accusarla di nascondere un ricercato.

— Lei pensa che potrei mai consegnare mio figlio alla polizia? — replicò. — Le pare bello?

— Sì — fece Debs.

— Un consigliere deve far rispettare le leggi, anche quando sono scomode — intervenni, con il tono freddo dell’annunciatore televisivo. Acosta mi fissò incollerito. Io alzai le spalle. — Può tirarne fuori una migliore, se preferisce.

Non ci provò nemmeno. Si limitò a fissarmi per un altro lungo istante. Non avevo niente da nascondere, così ricambiai lo sguardo, finché non si rivolse a Deborah. — Non me la sento di tradire mio figlio, sergente — dichiarò, quasi in un soffio. — Non mi importa di quello che lei crede abbia combinato.

— Quello che credo è che sia coinvolto in giri di droga, omicidio e anche peggio — disse Debs. — E non è la prima volta.

— Ora ha smesso — replicò Acosta. — Quelle cose sono passate. Poi Alana l’ha fatto rigare dritto.

Debs guardò Alana, che le rivolse un altro sorrisetto di superiorità. — Non ha smesso per niente — insistette. — È peggiorato.

— È mio figlio — fece Acosta. — È solo un ragazzino.

— È un mostro — replicò Deborah. — Altro che ragazzino. Ammazza la gente e poi se la mangia. — Alana sbuffò, mentre Joe Acosta impallidì e cercò di dire qualcosa. Mia sorella glielo impedì. — Bobby ha bisogno di aiuto, signor Acosta. Gli occorre una terapia psicologica, un counseling, o roba simile. Suo figlio ha bisogno di lei.

— Dannazione — fece Acosta.

— Se lei non fa qualcosa, suo figlio andrà a finire male — continuò Debs. — Se invece verrà da noi con le sue gambe…

— Non posso consegnare mio figlio — ripetè l’uomo. Era ovvio che stava lottando per mantenere il controllo, e parve spuntarla.