Sentirsi indifesi è una sensazione orribile. Mi parve di impiegare ore prima di raggiungere il boschetto, muovendomi in quello spazio aperto e privo di ombre. Mi fermai accanto al primo palmizio. Ora che mi sentivo un po’ più al sicuro dietro al tronco, cominciai a preoccuparmi di che cosa potesse esserci dall’altra parte. Mi strinsi alla pianta e sbirciai attraverso la vegetazione. Erano cresciuti parecchia sterpaglia e sottobosco e diversi rami erano appuntiti e taglienti, il che non lo rendeva un posto molto attraente per nascondersi. Avevo visto abbastanza da assicurarmi che nulla si celava tra quelle palme nane e quei cespugli spinosi, e non volevo rischiare di spellarmi ulteriormente approfondendo l’esame. Decisi di allontanarmi dal mio tronco in cerca di un riparo migliore.
Poi, alla mia sinistra, lungo il fiume, udii il suono inequivocabile di una cannonata a salve. Mi voltai in quella direzione e, accompagnato dal rumore di stoffa rotta e assi spezzate, il galeone pirata comparve oltre la curva.
Era ormai lo scheletro decomposto di quel che era stato una volta. Pezzi di legno pendevano dallo scafo. Le vele sbrindellate frusciavano meste e della bandiera nera con il teschio che ondeggiava sull’albero non restava molto, eppure il galeone avanzava con la stessa fierezza di un tempo. I tre cannoni di fronte a me sferrarono un altro debole attacco, allora colsi il messaggio e mi tuffai nel groviglio di arbusti sotto i palmizi.
Il luogo che pochi secondi prima disprezzavo si trasformò in un prezioso riparo. Strisciai nel fitto della macchia. Quasi all’istante mi ritrovai intrappolato in mezzo alla vegetazione e ai cespugli spinosi. Tentai di staccarmi di dosso una pianta che mi aveva attaccato e, indietreggiando, sbattei dolorosamente contro le foglie acuminate di una palma nana. Quando riuscii a liberarmi, avevo le braccia sanguinanti e la camicia strappata. Ma lamentarsi era inutile, anche perché ero certo che nessuno aveva pensato a portarsi dietro i cerotti, così continuai la marcia.
Avanzai a poco a poco nella vegetazione, lasciando ai cespugli carnivori preziosi brandelli delle mie membra, finché non arrivai al lato opposto del boschetto, dove mi accovacciai dietro alle fronde di una palma nana e sbirciai verso il fiume. L’acqua si era intorbidita come se una mano gigante ne avesse agitato la superficie, dando origine a un flusso lento e costante. Il laghetto circolare sembrava essersi trasformato in un fiume.
L’orgoglio della Terra dei Bucanieri, il terrore dei sette mari, il malvagio galeone Vendetta comparve fluttuando alla mia vista e approdò sul vecchio molo decomposto che si protendeva dalla riva, proprio sotto di me, alla mia destra. L’acqua si intorbidì di nuovo, mossa da una lieve corrente, e il Vendetta oscillò lievemente, ma si mantenne saldo sul molo. Non scorsi traccia dell’astuto equipaggio, ma notai un passeggero a bordo.
Saldamente legata all’albero maestro c’era Samantha Aldovar.
38
Samantha non somigliava a uno di quei passeggeri che avevo visto sul Vendetta nella mia infanzia. Oltre a non mangiare zucchero filato e a non indossare il cappellino souvenir a forma di tricorno, giaceva a peso morto sorretta dalle corde, forse svenuta o priva di vita. Dalla mia posizione, al di sopra della piccola scogliera, godevo di una discreta panoramica di quel che accadeva sul ponte. Accanto a Samantha c’era un grosso barbecue brunito, da cui si levava una sottile colonnina di fumo. Di fianco un enorme pentolone da una ventina di litri e un tavolino su cui riluceva una serie di oggetti indistinti, ma dall’aspetto familiare.
Per un po’ tutto restò immobile, eccetto la bandiera sbrindellata con il teschio che sventolava in cima all’albero. A parte Samantha, il ponte era deserto. Ma a bordo doveva esserci qualcun altro. Nonostante il grosso timone finto a poppa, la nave doveva essere controllata dall’interno della cabina. Là sotto doveva esserci pure un bar, con tanto di buffet. Senza dubbio c’era qualcuno ai comandi. Ma chi? Soltanto Bobby Acosta? O anche un discreto numero dei suoi amici cannibali, sufficiente ad attentare alla vita dei buoni, che stranamente quella sera includevano anche me?
La bandiera svolazzava. Un jet passò sopra le nostre teste, pronto per l’atterraggio all’aeroporto di Fort Lauderdale. La nave dondolò leggermente. Samantha girò la testa da un lato, i cannoni sferrarono un altro anemico attacco e la porta della cabina si spalancò con un rumore sordo. Bobby Acosta apparve sul ponte. Portava un foulard legato in fronte e brandiva una Glock, che di piratesco non aveva proprio nulla. — Yuuuuu! — urlò, sparando un paio di colpi per aria.
Un branco di coetanei festaioli, ragazzi e ragazze, lo seguirono allegramente sul ponte. Erano tutti vestiti da pirati e si dirigevano in massa verso l’enorme pentolone accanto a Samantha, dove riempivano le loro tazze per poi bere con gusto.
Mentre prendevano parte a quella gaia e spensierata ricreazione, un filo di speranza mi illuminò il cuore. Okay, loro erano in cinque e noi soltanto in tre, ma non erano affatto ben piazzati ed ero quasi certo che stessero trangugiando quel punch drogato che amavano tanto. Questione di poco e sarebbero diventati ubriachi, idioti e inoffensivi. Ovunque si fosse svolto il seguito della festa, il nostro compito non sarebbe stato difficile. Potevamo uscire tutti e tre dai nostri rifugi, accerchiandoli. Deborah avrebbe ottenuto quel che voleva, mentre noi saremmo sgattaiolati via furtivi a chiamare aiuto, e Dexter sarebbe tornato a reinventarsi la sua vita normale.
Poi la porta della cabina si riaprì e Alana Acosta comparve sul ponte. La seguivano il buttafuori con il codino e tre uomini dall’aria cattiva, armati di fucili da caccia. E ancora una volta il mondo si fece rischioso e crudele.
Avevo capito che Alana era una predatrice, ascoltando quel che mi sussurrava il Passeggero, accanto alla sua Ferrari. E ora che la vedevo in questa posizione sfacciatamente di comando, compresi che mio fratello Brian aveva ragione: il capo del sabba era una donna, ed era Alana Acosta. E quella non era semplicemente una trappola, ma un invito a cena. E se non me ne fossi uscito con una trovata davvero brillante, sarei diventato parte del menu.
Alana si diresse a grandi passi verso il parapetto, scrutando il parco più o meno all’altezza in cui avremmo dovuto esserci io e Deborah, e gridò: — Liberi tutti! — Poi si voltò e fece un cenno ai suoi scagnozzi, che puntarono gentilmente i fucili alla testa di Samantha. — Altrimenti… — strillò allegramente la donna.
Era chiaro che quell’espressione infantile voleva dire una sola cosa: il gioco è finito, si torna alla base. Alana doveva aver pensato che fossimo ancora bambini, e anche piuttosto idioti, se credeva che saremmo venuti obbedientemente fuori dai nostri strategici nascondigli per gettarci tra le sue grinfie. Solo l’ultimo degli imbecilli sarebbe caduto in quello stupido tranello.
Mentre mi rincantucciavo in attesa di quello che si sarebbe tramutato in uno snervante gioco del gatto con il topo, percepii un grido alla mia destra e, un istante dopo, con mio grande orrore, Deborah comparve alla vista. Doveva essere così ossessionata dal pensiero di salvare Samantha, ancora lei!, che non aveva neanche ragionato due secondi sulle conseguenze delle sue azioni. Era semplicemente schizzata fuori come una molla ed era corsa verso la nave, presentandosi sul molo pronta ad arrendersi. Era proprio sotto di me, e si comportava in modo ostentato, mostrando deliberatamente la pistola per poi gettarla a terra.