— Aspettavi qualcuno? — mi domandò Alana, cortese. — Spiacente, ma non potrà esserti di molto aiuto.
Avevo avuto la stessa sensazione anch’io, insieme a molte altre, che si avvicendavano nelle fondamenta del Maniero Dexter in una frastornata telecronaca del suo crescente senso di disperazione.
Potevo ancora sentire l’aroma della carne che arrostiva sulla griglia e, senza un grosso sforzo d’immaginazione, mi vedevo il prezioso e insostituibile Dexter sfrigolare di lì a poco, un pezzo alla volta. In una storia ben congegnata, con una trama da film hollywoodiano, in questo momento mi sarebbe saltata in mente un’idea brillante e sarei riuscito in qualche modo a liberarmi dal nastro isolante, ad afferrare un fucile e a fuggire verso la libertà, sparando all’impazzata.
Ma, a quanto pareva, non mi trovavo in quella storia, perché in mente non mi saltò proprio nulla, se non il triste e innegabile dato di fatto che presto sarei stato ammazzato e divorato. Non vedevo via d’uscita e non riuscivo a impedire al mio cervello di soffermarsi su un unico, importante pensiero: il mio Trapasso. La fine del gioco, il salto nel vuoto, la Nera Signora… il Decesso di Dexter. Addio al mio splendido essere, per sempre. Di me non sarebbe rimasto più nulla, se non un mucchio di interiora e di ossa rosicchiate, e da qualche parte un paio di persone sarebbero rimaste con il ricordo di quel che avevo simulato di essere, non di quello che ero realmente, e comunque non sarebbe durato a lungo. La vita sarebbe andata avanti senza la mia favolosa e inimitabile presenza, il che non era affatto giusto, anche se inevitabile. Quello era il termine ultimo, stop, tutto finito.
Immagino che sarei dovuto morire all’istante solo per l’angoscia e l’autocommiserazione, ma se questi mali fossero letali, allora nessuno sopravvivrebbe oltre i tredici anni. Io restai in vita, e osservai mentre trasportavano Chutsky sulla passerella sgangherata e lo buttavano sul ponte con le mani immobilizzate dietro la schiena. L’incappucciato che impugnava il fucile di Cesar si spostò verso la griglia, da dove poteva sorvegliare me e Chutsky, poi Bobby e Cesar trascinarono il mio amico ai piedi di Alana, gettandolo a faccia in giù, come un fagotto flaccido e tremante. Capii perché tremava: aveva due dardi piantati nella schiena. Dovevano essergli arrivati alle spalle di soppiatto e averlo immobilizzato con un Taser per poi tramortirlo in qualche modo. Era stato davvero troppo, anche per un esperto professionista come lui.
— È bello grosso — commentò Alana, assestandogli un colpetto con la punta del piede. Mi guardò. — È amico tuo, vero?
— Diciamo di sì — risposi. Dopo tutto, mi ero davvero affidato a lui, pensando che fosse abile in questo genere di cose.
— Okay. — Alana tornò a osservare Chutsky. — Non sembra molto sanguigno. Ci sono soprattutto nervi e cicatrici.
— A dire il vero, mi risulta che dentro sia molto tenero — azzardai speranzoso. — Molto più di me, almeno.
— Ohhh — mormorò Chutsky. — Ohhh, merda…
— Ehi, che forza. — Cesar annuì in segno di ammirazione. — L’ho preso in pieno. Ero convinto di averlo messo fuori combattimento per un pezzo.
— Lei dov’è? — fece Chutsky, tremebondo. — Sta bene?
— Certo, l’ho preso in pieno. Sono abituato a menare — continuava Cesar, rivolto a nessuno in particolare.
— È qui — spiegai a Chutsky. — Ma ha perso conoscenza.
Lui tentò dolorosamente di girarsi dalla mia parte per vedermi in faccia. Aveva gli occhi rossi e colmi d’angoscia. — Ci hanno fottuto, amico — fece. — Fottuto alla grande.
Era così ovvio che ritenni superfluo ogni commento, così tacqui, mentre Chutsky si rigirava nella posizione precedente, senza smettere di tremare, mormorando stancamente: — Cazzo.
— Portatelo giù insieme al sergente Morgan — ordinò Alana. Cesar e Bobby lo afferrarono un’altra volta e lo trascinarono in cabina. — Voi raggiungete in fretta il percorso a ostacoli e ravvivate il fuoco. Buon divertimento — disse rivolta alla banda di pirati che affollavano la passerella. Poi fece un cenno ad Antoine: — Prendete la coppa da punch.
Qualcuno lanciò un grido di gioia, mentre due ragazzi agguantavano la pentolona per i manici. La figura incappucciata girava intorno guardinga, puntandomi contro il fucile, mentre i pirati si gettavano in massa giù per la passerella, diretti verso il parco.
Quando se ne furono andati, Alana mi dedicò un’altra volta la sua gelida attenzione. — Bene, allora — fece. Sapevo che non era in grado di provare emozioni, ma ero certo che la creatura squamosa che le abitava dentro fosse pervasa da una gioia orribile e oscura. — Rieccomi dal mio porcellino — disse, venendomi incontro. Fece un cenno al buttafuori, che si allontanò da me, dirigendosi verso il parapetto, sempre senza abbassare il fucile.
Era una sera di primavera a Miami e la temperatura superava i venti gradi… eppure mentre lei si avvicinava sentii un vento freddo soffiare intorno e dentro di me, risvegliando le mie zone più oscure. Il Passeggero si riscosse, lanciando grida di furiosa impotenza. Sentii le ossa frantumarsi, le vene polverizzarsi e il mondo saltare in pezzi dinanzi al folle e trionfante sguardo di Alana.
— Hai presente i gatti, amore? — mi disse, e sembrava quasi che facesse le fusa. La domanda mi parve retorica, ma in ogni caso mi si era seccata all’improvviso la bocca e non me la sentivo di rispondere. — Adorano giocare con le loro prede, lo sai? — Mi diede un buffetto affettuoso sulla guancia e me la leccò, con foga, senza battere ciglio. — Io li guardo per ore. Si divertono a torturare il loro topolino, non è così? E lo sai perché, tesoruccio? — Mi passò l’unghia lunga e rossa sul petto e poi sul braccio, dove si accorse che avevo un taglio provocato dalle foglie acuminate della palma nana. Aggrottò la fronte. — Non lo fanno per vera cattiveria, che sarebbe un peccato. Anche se sono certa che c’entri un po’ anche quella. — Piantò l’unghia dentro la mia ferita. — Ma le torture servono a far sì che il topolino rilasci adrenalina. — La conficcò a fondo, nella carne viva, e man mano che il dolore aumentava cominciò a uscire sangue. Annuì pensierosa. — L’adrenalina affluisce nel corpo dell’atterrito topolino, o in questo caso del porcellino. E… indovina, tesoro! L’adrenalina è una sostanza ottima per ammorbidire la carne! — Affondava l’unghia sempre più in profondità, al ritmo delle sue parole, rigirandola per allargare la ferita.
Non solo sentivo male, ma guardare era ancora peggio. La vista del prezioso e scarlatto sangue di Dexter che schizzava fuori dalla ferita mi era intollerabile.
— Così per prima cosa — disse ancora Alana — giochiamo con il nostro cibo, perché diventi ancora più buono! Un po’ di sano e crudele divertimento che a tavola ci viene pure ripagato. La natura non è meravigliosa? — Mi piantò quell’unghia lunga e affilata dentro il braccio, rivolgendomi uno dei suoi gelidi e terribili sorrisetti.
Alcuni invitati ridevano in lontananza, mentre Samantha aveva ripreso con i suoi mugolii, stavolta un po’ più sommessi. Mi voltai a guardarla. Aveva perso una gran quantità di sangue. Il pentolino che Bobby le aveva poggiato sotto il braccio traboccava e il liquido si rovesciava sul ponte. A vederlo mi venne il capogiro… immaginai il mio sangue che si univa al suo e ricopriva il ponte in un’orribile marea appiccicosa e rossastra, e mi ricordai di quella volta che con mio fratello Brian vidi mamma morire, e la mia testa cominciò a girare e mi sentii mancare dal dolore e precipitare in quella tenebra cremisi…
A un tratto una nuova e più intensa fitta mi riportò sul ponte di quel falso e malconcio galeone pirata, con a bordo una vera ed elegante donna cannibale che cercava di piantarmi l’unghia nel braccio. Ero certo che prima o poi mi avrebbe squarciato un’arteria, e il sangue sarebbe schizzato dappertutto. Le augurai che almeno le si rovinassero le scarpe: era l’unica maledizione che avevo la forza di concepire in quel momento.