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Infine fui colpito nel vivo, e mi sentii in colpa! Io, il Distante e Distaccato Dexter, il re degli insensibili! Mi stavo crogiolando in un’autoindulgenza lagnosa e improduttiva. Sentirmi in colpa? E tutto perché provavo una felicità segreta al pensiero che la prematura fine di una giovane donna giovasse ai miei egoistici interessi.

Non è che finalmente mi era cresciuta un’anima?

Forse Pinocchio si era trasformato in un bambino vero?

Era ridicolo, impossibile, incredibile. Eppure me ne stava venendo il sospetto. Forse era così, forse la nascita di Lily Anne e la mia trasformazione in papà Dex, unite agli altri implausibili eventi delle ultime settimane, avevano infine fatto fuori il Deviato Danzatore che ero sempre stato. Forse i devastanti momenti d’orrore trascorsi con il gelido sguardo bluastro di Alana puntato addosso avevano fatto la loro parte, scuotendo le ceneri per far germogliare il seme. Forse ora ero diventato un individuo nuovo, felicemente pronto a vivere da essere umano, a piangere e a ridere senza dover fingere, e a guardare uno show televisivo senza domandarmi che effetto avrebbero fatto gli attori legati a un tavolo con il nastro isolante: era mai possibile? Mi ero dunque trasformato nel neonato Dexter, pronto a prendere il suo posto in un mondo di persone autentiche?

Mi parevano tutte speculazioni interessanti e, mentre ero concentrato a parlarmi addosso, per poco non rischiai di farmi ammazzare. Tutto preso a meravigliarmi di me stesso, non mi accorsi che stavamo camminando nel parco attraverso la pista di go-kart e che mi trovavo leggermente più avanti degli altri. Intento alle mie ridicole meditazioni, mi trovai vicino al capanno, al termine della pista, e quasi finii addosso a due pirati che erano inginocchiati a terra nel tentativo di far partire un gokart vecchio di trent’anni. Mi guardarono, sbattendo stupidamente le palpebre. Accanto a loro giacevano due grosse coppe da punch.

— Ehi — disse uno. — La nostra carne. — Portò la mano alla fusciacca rossa da bucaniere.

Fortunatamente non sapemmo mai se ne avrebbe estratto un’arma o un pacchetto di gomme da masticare, perché Brian arrivò tempestivo alla baracca e gli sparò, mentre Chutsky, che aveva fatto il giro, calciò il compagno all’altezza della trachea così violentemente che la sentii spezzarsi. Il pirata crollò all’indietro, stringendosi la gola, rantolante.

— Bene — disse Brian, guardando Chutsky con una certa simpatia. — Vedo che non sei solo un belloccio.

— Già, faccio paura, eh? — disse Chutsky amaramente. — Diciamo che ci so fare. — Per essere uno che era appena sopravvissuto illeso a un sabba cannibale, mi parve si stesse buttando un po’ giù, ma può essere che le scariche del Taser gli avessero provocato ripercussioni a livello emozionale.

— Dexter, dico sul serio — fece Brian. — Guarda dove metti i piedi.

Arrivammo al cancello principale senza ulteriori incidenti, il che fu un sollievo, visto che presto o tardi la fortuna avrebbe potuto voltarci le spalle facendoci incappare in una ciurma di pirati, magari sobri. Sarebbe stata davvero dura. Non avevo idea di quanti altri colpi ci fossero nel fucile che si era procurato Brian, ma temevo che non sarebbero stati molti. Ovviamente, la gamba di Chutsky era ancora piena di calci da distribuire, ma non potevamo sperare di trovare avversari così premurosi al punto da attaccarci accovacciati. Tutto considerato, fui davvero lieto di uscire dal cancello e raggiungere la macchina di Debs.

— Apri la portiera — mi ordinò Chutsky, imperioso, e io avvicinai la mano alla maniglia. — Quella posteriore, Dexter — aggiunse seccamente. — Cristo.

Lasciai correre. Era troppo vecchio e scontroso per imparare le buone maniere e, dopo tutto, i suoi modi solitamente rudi dovevano aver risentito della tensione dovuta all’insuccesso della serata. Mi limitai a dirigermi all’altra portiera e a tirare la maniglia. Che, ovviamente, era chiusa.

— ‘Fanculo — sbottò Chutsky.

Mi voltai e vidi Brian inarcare il sopracciglio. — Che linguaggio — commentò.

— Mi serve la chiave — dissi.

— Tasca posteriore — fece Chutsky.

Esitai un istante, il che era stupido. In fondo, sapevo che viveva con mia sorella da parecchi anni. Eppure mi sorprese il fatto che potesse conoscerla così bene da sapere automaticamente dove tenesse le chiavi. Mi venne in mente che lui la conosceva sotto certi aspetti che a me sarebbero sempre stati negati, inclusi altri piccoli dettagli domestici e, non so perché, al pensiero esitai un istante, a scapito ovviamente della mia popolarità.

— Forza, amico, muovi il culo, Cristo — sibilò Chutsky.

— Dexter, per favore — gli fece eco Brian. — Dobbiamo andarcene da qui.

Era chiaro che quella sera stavo diventando lo zimbello di tutti, un vero e proprio sbaglio di natura. Ma sollevare obiezioni avrebbe fatto perdere altro tempo. Senza contare che dargli contro non sarebbe stato facile. Mi avvicinai a Deborah, afflosciata sulla spalla di Chutsky, e le sfilai le chiavi dalla tasca dei pantaloni. Spalancai la portiera posteriore e la tenni aperta, mentre Chutsky l’adagiava sul sedile.

Sottopose Deborah a un rapido esame di primo soccorso, che con la sua unica mano si rivelò più arduo del previsto. — Torcia elettrica — disse.

Prelevai la grossa Maglite in dotazione alla polizia che Debs teneva sul sedile davanti e gliela puntai addosso, mentre Chutsky le apriva le palpebre per verificare la sua reazione alla luce.

— Ehm — tossicchiò Brian alle nostre spalle. Mi voltai. — Se non vi spiace — disse — io toglierei il disturbo. — Fece un cenno verso nord, esibendosi in uno dei suoi finti sorrisi di un tempo.

— Ho lasciato la macchina a meno di un chilometro da qui, in un centro commerciale — spiegò. — Il tempo di sbarazzarmi del fucile e di quest’orribile tunica, e ci si rivede… per esempio domani a pranzo, che ne dici?

— Assolutamente sì — feci. Non ci crederete, ma mi trattenni a malapena dall’abbracciarlo. — Grazie, Brian — dissi invece.

— Grazie davvero.

— Ci mancherebbe — rispose. Sorrise un’altra volta, poi si voltò e scomparve nel buio.

— Ce la farà, amico — dichiarò Chutsky. Mi voltai. Era ancora accovacciato accanto alla portiera aperta. Stringeva la mano di Debs, esausto. — Ce la farà.

— Ne sei sicuro? — domandai.

Lui annuì. — Certo. Dovresti comunque portarla al pronto soccorso per una visita, ma sta bene, non grazie a me… — Distolse lo sguardo e per un lungo momento non disse nulla, così lungo che cominciai a sentirmi a disagio. Dopo tutto, eravamo entrambi dell’idea di andarcene; che cosa ci facevamo ancora lì a fissarci in silenzio?

— Vuoi venire anche tu all’ospedale? — chiesi, più per smuovere la situazione che perché desiderassi la sua compagnia.

Chutsky non si mosse né parlò. Continuava a guardare da un’altra parte, verso il parco, da cui provenivano ancora i rumori della baldoria e il tonfo sordo e ripetitivo della musica trasportati dalla brezza notturna.

— Chutsky — esordii, sempre più in preda all’ansia.

— Ho fatto una cazzata — disse infine. Notai inorridito che una lacrima gli rigava il viso. — Una cazzata enorme. L’ho trascurata proprio quando aveva più bisogno di me. Avrebbero potuto ammazzarla, e io non avrei potuto farci nulla e… — Trasse un respiro profondo e affannoso, sempre senza guardarmi. — Mi sono fatto delle illusioni, amico. Sono troppo vecchio per Deborah, e per niente adatto a lei e a chiunque altra, cazzo. Non… — Alzò in aria l’uncino e ci premette contro la fronte, appoggiandoci la testa. Poi si guardò il piede artificiale. — Lei vuole mettere su una famiglia… con uno come me. Che stronzata. Con un vecchio, uno storpio… non riesco neanche a proteggerla, e neppure… Non è di me che ha bisogno. Sono soltanto un vecchio incapace, un fallito…