di Romano De Marco
Dexter Morgan è un tecnico ematologo della polizia scientifica di Miami, in Florida.
È un lavoratore efficiente, gentile e disponibile con i colleghi e vero punto di riferimento, sia affettivo che professionale, per la detective Deborah Morgan, sua sorella.
Fidanzato con Rita, madre separata di due bambini con i quali è prodigo di attenzioni e affetto paterno, ha un bell’aspetto, una bella casa, un buon lavoro e tante persone che lo stimano e gli vogliono bene. Una vita perfetta, se non fosse per un piccolo ma fondamentale particolare: Dexter è un serial killer di serial killer.
Stana le sue vittime, le cattura, le giustizia seguendo un collaudato rituale e le fa a pezzi, gettandone i resti in alto mare, dentro sacchi di plastica ermeticamente sigillati. Il tutto nel rispetto del “codice”di sicurezza tramandatogli dal padre adottivo Harry, le cui regole gli impediscono di uccidere gli innocenti e lo aiutano a evitare di essere scoperto e incriminato.
Anche Harry era un poliziotto, ed è stato l’unico al mondo ad aver scoperto il segreto di Dexter. È suo il merito (o la colpa?) di aver trovato la maniera di incanalare l’irrefrenabile pulsione omicida del figlio adottivo verso una “giusta causa”.
Nell’aprile del 2009, a Roma, ebbi il piacere di conoscere Peppe Fiore, giovane e brillante autore napoletano che, fra le sue molteplici attività, svolge anche quella di “cacciatore” di sceneggiature per fiction televisive, per conto di una società capitolina. L’occasione fu una serata-dibattito sul tema dei booktrailer, alla quale partecipai come relatore.
Grazie a quell’incontro io e Peppe scoprimmo di essere entrambi animati da un’estrema, malsana passione per i serial televisivi americani. All’epoca non conoscevo ancora la serie TV Dexter (se non per un paio di episodi slegati che avevo seguito occasionalmente sulla televisione in chiaro) e rimasi perplesso quando il mio eclettico interlocutore la definì, senza mezzi termini, “il punto di non ritorno dei serial TV”.
A più di due anni di distanza, dopo aver visionato le prime cinque stagioni dello show televisivo, per complessivi sessanta episodi, e nella spasmodica attesa di gustarmi l’imminente sesta serie (in onda negli USA dal 2 ottobre al 18 dicembre 2011), posso dire che quell’affermazione, oggi, mi appare non solo assolutamente centrata, ma anche vagamente profetica. Questo perché, nel 2009, era ancora prematuro avere il quadro completo di un progetto che si è andato costruendo puntata dopo puntata, serie dopo serie, passando attraverso lo sconvolgente episodio Gateway (nella versione italiana La storia si ripete), finale di una quarta strepitosa stagione, seguita da una quinta che definirei “di transizione” e di preludio a quella che si preannuncia come la migliore serie di Dexter fino a oggi prodotta.
L’episodio Gateway (trasmesso negli usa il 13 dicembre 2009) può essere definito davvero il punto di non ritorno per un serial TV. Lo dimostra anche il fatto che, dopo la sua messa in onda, una parte dei fan arrivò ad auspicare la chiusura definitiva del ciclo di Dexter, ritenendo quel finale talmente perfetto da rendere impossibile riuscire ad aggiungere altro alla storia. È il medesimo meccanismo che ha spinto, di recente, i cultori di Quentin Tarantino e della saga di Kill Bill a coalizzarsi per scongiurare l’ipotesi scellerata di un sequel, più volte ventilata dal regista stesso.
È quindi comprensibile che con la serie successiva (la quinta, andata in onda in Italia nella primavera del 2011) si sia assistito a un calo del cliffhanger certosinamente costruito dagli sceneggiatori nel corso degli episodi precedenti.
Facendo qualche passo indietro, c’è da ricordare che, nel dicembre 2007, si era addirittura rischiata la scomparsa di Dexter dai palinsesti televisivi, a causa delle polemiche suscitate dal finale della seconda serie. Oltre agli addetti ai lavori, anche i fan mostrarono parecchie perplessità in merito alle possibili future evoluzioni di una trama che sembrava aver già messo in tavola tutte le sue carte migliori.
Ma per analizzare il “fenomeno” Dexter nel suo complesso, bisogna considerare che il personaggio ha origini letterarie ed è il protagonista di una serie di romanzi a firma dello scrittore americano Jeff Lindsay, ottimamente tradotti in Italia dalla scrittrice Cristiana Astori. E se qualcuno pensa che possa trattarsi di una sorta di novelization degli episodi televisivi, si sbaglia di grosso.
Romanziere di buon successo, sceneggiatore televisivo avvezzo a tematiche fantascientifiche, Lindsay è noto alle cronache anche per essere il marito di Hilary Hemingway, nipote di Ernest, con la quale ha scritto in tandem diversi dei suoi primi lavori, negli anni Novanta. Curiosamente, per il primo romanzo della serie Dexter, La mano sinistra di Dio (Darkly Dreaming Dexter, 2004; Sonzogno, 2005, riedito dal Giallo Mondadori nel 2009 con il titolo Dexter il vendicatore, n. 2971), Lindsay venne candidato all’Edgar Award per la migliore opera prima. Nomination ritirata in fretta e furia quando qualcuno si accorse che l’autore aveva già pubblicato ben quattro romanzi ottenendo, peraltro, un buon riscontro di vendite e critica.
L’intuizione di Lindsay di rendere protagonista della storia un serial killer non è, a onor del vero, completamente originale. Basti pensare al successo planetario di quell’Hannibal “the Cannibal” creato da Thomas Harris che ha riscosso un tale consenso da condizionare l’opera stessa del suo autore. Proprio dall’epopea del dottore-cannibale Hannibal Lecter possiamo trarre spunto per capire meglio l’evoluzione del personaggio Dexter nella sua doppia incarnazione letteraria e televisiva. Il fortunato personaggio di Harris ha vissuto uno strano destino, nel quale la sua versione cinematografica e quella letteraria si sono rincorse, sovrapposte, condizionate a vicenda, tanto da giungere all’incredibile epilogo in cui il quarto e (per ora) ultimo romanzo della serie, che tra l’altro è un prequel, è stato una sorta di adattamento della sceneggiatura originale scritta dallo stesso Harris per il film omonimo. Parliamo di Hannibal Lecter. Le origini del male (Mondadori, 2007, ristampato nel Giallo Mondadori, n. 3000).
Non del tutto originale, quindi, la scelta di Lindsay di porre al centro della sua saga la figura di un serial killer, ma sicuramente vincente quella di renderlo la voce narrante della storia, accettando la non facile sfida di calarsi nella mente di un assassino seriale con doppia personalità.
Il primo romanzo della serie (il già citato Darkly Dreaming Dexter) esce nel 2004, ottenendo un lusinghiero successo di pubblico e critica e suscitando l’interesse di James Manos Jr, regista teatrale ed enfant-prodige della TV americana, distintosi con un Emmy Award guadagnato per la prima serie dei Soprano e un Golden Globe per le prime due serie di The Shield.
Manos si mette al lavoro coadiuvato dallo stesso Lindsay, e propone la realizzazione di una serie su Dexter al network a pagamento Showtime (costola del colosso CBS), un canale specializzato in reality-show e programmi incentrati sugli sport estremi, nonché produttore di serial di buon successo come Stargate SG-1 e Californication.
Dopo un’iniziale diffidenza, la rete televisiva dà il via libera al progetto. Per il ruolo principale viene scelto Michael C. Hall, già coprotagonista in un serial di ottima qualità e di enorme seguito, della concorrente HBO, QUEL Six Feet Under nel quale per cinque stagioni e complessivi sessanta episodi l’attore ha rivestito il ruolo di David, uno dei componenti della famiglia Fisher, proprietaria di un’impresa di pompe funebri. Quando Jeff Lindsay venne informato della scelta, criticò duramente i produttori della serie, sostenendo che l’attore che aveva interpretato per anni la parte di “un becchino gay” era quanto di più distante dalla sua idea originale del personaggio Dexter Morgan. A Lindsay basterà vedere l’attore all’opera nel pilot della serie per ricredersi immediatamente e arrivare a considerarlo “perfetto per il ruolo”.