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Le corsie del Reparto Arredamento erano diventate autostrade deserte illuminate dal chiarore diffuso del tramonto e si estendevano per centinaia, forse migliaia di miglia, fiancheggiate da letti di ottone, letti ribaltabili, grandi materassi ad acqua, che lui mostrò a uno a uno alla donna; tavoli con gambe pieghevoli, deliziosi angoli cucina e classiche sale da pranzo complete, in noce. Dopo aver passato in rassegna innumerevoli divani beige e comode poltrone, giunsero infine a uno scrittoio Chippendale. Lui estrasse un cassetto per mostrarle il rivestimento interno in panno di lana verde e vi trovò una lettera chiusa da un sigillo di ceralacca a forma di cuore.

Pur convinto che la donna avrebbe severamente disapprovato quello che stava per fare, lui prese la lettera e spezzò il sigillo, che si frantumò come vetro.

Quel colpo secco era il clic di un interruttore… i corridoi senza fine, pieni di mobili, si confusero e lui si ritrovò nel buio soffocante della stanza. Sulla soglia in controluce c’era una donna. Lui vide che si stava mettendo la borsetta sotto il braccio e capì che lo schiocco che aveva sentito era stato lo scatto della chiusura di quella borsa.

Si sollevò a sedere, ma la donna se n’era già andata. Per un istante il suo viso era stato illuminato dalla luce del corridoio, e lui aveva riconosciuto Marcella, la donna della fotografia (ma era Lara) che aveva ricevuto insieme alle rose, la donna che aveva visto nel giardino. Balzò giù dal letto e si precipitò nel corridoio, ma la donna era scomparsa.

Quando tornò nella sua stanza trovò North seduto nella seggiolina accanto al letto. — Salve — disse North. — Credevo che avrei dovuto svegliarti. Cos’è successo?

— Ho ricevuto un’altra visita.

— Qualcosa a che vedere con il nostro piano di domani?

— Vuoi dire di oggi. Dev’essere passata da un pezzo la mezzanotte. No, niente a che vedere.

— Il tuo armadietto è aperto. L’ho controllato. Va bene, hai superato la prova. Quello che ora dobbiamo fare…

— Io non faccio niente.

Seguì un lungo silenzio. Poi North disse: — Credi di avere un’idea migliore?

— Proprio così.

— Ho bisogno di qualcuno che guidi la macchina. E tu sei l’unico che può farlo.

Lui chiese: — Ma tu non sai guidare?

— Diamine, certo che sì. Ma non lo farò.

Ebbe un attimo d’esitazione. Marcella (che poteva essere o poteva non essere Lara, anche se lui era sicuro che lo fosse) stava cercando di farlo uscire da lì. Ma avrebbe cambiato qualcosa se lui fosse riuscito ad andarsene prima da solo? — Va bene — disse. — Ma a una condizione.

— Dilla.

— Tu vieni dal mondo reale… il mondo dove Richard Nixon era presidente. Anch’io. Ma credo che tu stia in quest’altro mondo da più tempo di me. Da quando?

North scrollò le spalle, un gesto quasi impercettibile in quella debole luce. — Ho perso il conto.

— Più di un anno?

— Certo.

— Allora vorrei che rispondessi a tre domande, con tutta franchezza e sincerità. Tre domande su questo mondo. Lo farai?

— Spara.

Lui esitava. Aveva tante domande, e alcune avrebbe dovuto rivolgerle a se stesso. Voleva tornare a casa? O trovare Lara? Gli chiese: — Chi è la donna che loro chiamano la dea?

— Fermo — disse North. — Non posso rispondere a domande insensate. Parli della dea reale?

— La prima volta che sono venuto qui, ho comprato una bambola. Il commesso mi ha detto che era la dea a sedici anni. Mi domando di quale dea parlasse.

— D’accordo, quella è la dea reale. Solo che non è reale.

È come Cristo o Budda, capisci? Rappresenta l’ideale femminino maledetto da Dio, o quel che è. A est c’è un posto immenso consacrato a lei… tremila miglia quadrate, così dicono. Nessuno può vivere là. E non ci si può nemmeno entrare.

— L’ha mai vista nessuno?

— Questa è la seconda domanda?

— Sì — disse lui.

— Certo, la gente la vede. Come vedono fantasmi e dischi volanti… ogni tipo di stronzata. Dicono che vaga alla ricerca del suo amante perduto, un tipo che ha lasciato migliaia di anni fa. — North si fermò; era praticamente impossibile distinguere la sua espressione alla debole luce che arrivava dal corridoio. — Per me è Maria Maddalena che sta cercando Cristo. Comunque, dicono di vedere anche lui… L’amante perduto.

— Questa è la mia terza domanda. Come lo chiamano?

North ebbe un evidente attimo di esitazione prima di rispondere.

— Questa non te la conto come domanda. Ci sono mucchio di nomi, e non ci ho mai badato molto. — Esitò ancora. — Uno è Attis. Ha qualcosa a che vedere con la primavera e il raccolto. O almeno era così un tempo.

— Mi resta un’ultima domanda?

— Giusto.

— Allora me la tengo per dopo. Hai intenzione di dirmi come usciremo di qui? Oppure vuoi che improvvisi?

— Certo che te lo dico. Poco prima di mezzogiorno ci porteranno tutti nella sala di ricreazione. La chiamano ricreazione di gruppo, ma in realtà è un modo per conoscersi e un momento di svago. Ci sarà tutto il personale, perciò è il momento migliore. Quello che dobbiamo fare è… — Si accese la luce.

8. Moopsball al coperto

Si era appena infilato nel letto quando W.F. arrivò col vassoio della colazione. — Ti sei comportato abbastanza bene — disse W.F. — Ti meriti l’ananas coi cereali.

Lui disse: — Mi sembra che tu abbia un bel da fare.

— Non tanto. Lavoro solo di giorno. Sai, quando ieri ci siamo visti per la prima volta il mio turno era finito, ma poi sono andato all’arena a fare da secondo a Joe. Dopo sono ritornato con lui perché abito da queste parti. Quando te ne sei andato ho chiacchierato un po’ con Joe di strategia e roba del genere. Lo faccio sempre dopo un incontro, ma lui non vuole parlarne subito. Vuole prima calmarsi un po’ e riflettere da solo. Così mi sono detto “perché intanto non vado a dare un’occhiata per vedere come vanno le cose?”

— Non devi aver dormito molto.

— Non ne ho bisogno. Mai avuto. Però stanotte mi farò una bella dormita.

— W.F.?

— Che c’è? — Già sulla porta, W.F. si voltò a guardarlo.

— Hai visto una donna bionda stanotte? Una che veniva da fuori?

— È venuta mentre stavi dormendo, eh?

Lui fece cenno di sì, poi aggiunse: — Non proprio mentre dormivo. Ero sveglio e l’ho vista proprio nel momento in cui usciva nel corridoio. — Indicò il biglietto dorato che pendeva dal mazzo di rose. — Questa donna.

— Ascolta. — W.F. tornò verso il letto e abbassò la voce. — Un sacco di ragazzi fanno sogni come questo. Non fa niente… non devi preoccuparti.

Per colazione c’erano fiocchi di granturco con banana a fette, latte e caffè. Mangiò distrattamente, cercando di ricordare cosa aveva mangiato la sera prima per cena.

L’unica cosa di cui si sentiva sicuro era che W.F. gli aveva promesso il budino al cioccolato. Aveva mangiato patate? Gli sembrò di ricordare piselli e una cucchiaiata di purè di patate con un po’ di intingolo.

Era questo che mangiavano i pazienti? Prima d’allora non aveva mai pensato a se stesso come a un “paziente”, ma come a un animale ferito, un avventuriero sperduto, esiliato per breve tempo dai campi della vita. Forse nessuno pensava a se stesso come a un paziente finché stava bene, o quasi bene. Dopotutto, lui aveva avuto un trauma… un brutto trauma. Forse era così che si sentivano i pazienti, era così che vivevano, aspettando un pasto dopo l’altro, con la vita ritmata da fiocchi di granturco mollicci e caffè tiepido.

Cercò di finire il caffè prima che si raffreddasse del tutto e scoprì che la sua mano tremava troppo per tenere la tazza. Stava in un ospedale psichiatrico. Lui aveva un trauma… o era solo quello che dicevano a tutti? Si toccò la testa bendata.