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Dal televisore una voce disse: — Ciao! — Lui alzò gli occhi.

Gli ci volle un po’ per riconoscere il suo appartamento, ma era proprio il suo: il vecchio letto, la poltrona in vinilpelle che aveva comprato nel negozio dove lavorava per soli trentadue dollari e cinquanta perché qualcuno aveva bruciato un bracciolo con una sigaretta, il tavolinetto del telefono che lui aveva collocato in modo che proiettasse un’ombra sul buco.

Una debole voce metallica disse: — “Chi è?”

L’uomo al telefono nel suo appartamento non era lui. Era più vecchio, più grosso, dall’aspetto tozzo, quasi grasso.

Schiacciò il pulsante per aumentare il volume.

“È lei che mi ha chiamato, amico”, disse l’uomo nel suo appartamento. “Con chi vuole parlare?” “Lara”.

Ci fu una lunga pausa. L’omone sembrò irrigidirsi.

Lentamente l’immagine svanì e lasciò il posto a una grossa scatola di cibo per cani. “È tutta carne”, diceva ora un’altra voce. “Datene al vostro cuccìolo una scatoletta e osservate come la gusta”.

Riabbassò il volume e sollevò le ginocchia in modo da nascondere le mani mentre contava le banconote: erano tutte da cento, quasi nuove, ma nessuna nuova di zecca. Lui non aveva visto spesso banconote da cento dollari, ma i motivi decorativi avevano un’aria familiare e sembravano buone. La faccia che appariva su ogni banconota era quella di una donna anziana, dall’espressione gentile e intelligente, una signora che poteva essere un’insegnante di qualche costosa scuola di perfezionamento, vicina all’età della pensione. Sentì un suono di passi nel corridoio e infilò di nuovo i biglietti sotto il lenzuolo.

Era l’infermiera, sorridente, che entrò nella stanza canticchiando fra sé. — Buongiorno! Buongiorno! Come si sente oggi? Ha gradito la colazione?

Lui fece cenno di sì.

— Allora metto il vassoio sul tavolo da notte così W.F. lo porterà via. Come va la testa?

— Non mi fa molto male.

— Bene, se vuole un’aspenina, non deve fare altro che chiederla. So che è in grado di alzarsi e andarsene in giro perché ieri è stato in piedi per un bel po’… sì, l’ho vista, birichino! Allora può partecipare al Gruppo Ricreativo. Oggi viene il dottor Pillo-Lin e vogliamo che si veda intorno un bel po’ di facce allegre. So che lei non ha mai partecipato all’attività del gruppo, così ho pensato di spiegarle di cosa si tratta.

Lui disse: — Ma che facciamo? Giochiamo a softball?

— Proprio così. Ma naturalmente con un tempo simile è impossibile. E senza una vera mazza, perché qualcuno potrebbe farsi male, ma ci divertiamo da morire lo stesso. Sa, l’idea è che noi del personale partecipiamo alle attività ricreative con i pazienti. In questo modo riusciamo a conoscervi meglio e anche voi conoscete meglio noi. Veramente il dottor Pillo-Lin non dovrebbe partecipare, ma è un uomo così alla mano! Approfitta di ogni occasione per restare con noi. Pensi che una volta si è messo a giocare a moscacieca! Ma oggi non possiamo giocare all’aperto perché c’è la neve, così giocheremo a moopsball al coperto. Vedrà com’è divertente!

— Non ci ho mai giocato. — All’improvviso e senza una ragione, ebbe paura che le banconote spuntassero fuori dal lenzuolo. Cercando di non farsi notare le cacciò sotto più che poté.

— Allora è questa l’occasione per impararlo, non crede? Su, fuori dal letto e non si preoccupi se è in pigiama. Anche gli altri, voglio dire tutti i pazienti, staranno in pigiama.

Lui ebbe la visione apocalittica di qualcuno che riassettava il suo letto mentre era fuori della stanza e infilò il rotolo di banconote sotto la cintura del pigiama.

L’infermiera sussurrò: — È per oggi. William le darà il segnale.

9. Libertà

— Allora, dividetevi in due squadre — disse la nuova infermiera ad alta voce. — Si fece largo come una nave ospedale tra le onde del mare in burrasca, scansando pazienti e colleghi a destra e a sinistra. Lui si ritrovò nel gruppo di destra con North al suo fianco.

— Ora nominerò due capitani — annunciò la nuova infermiera. — Dottor Pillo-Lin, vuol esser lei uno dei due?

Un orientale minuto dall’espressione sorridente fece cenno di sì.

— E lei, signor Walsh, sarà l’altro.

— Certo! — esclamò Walsh. — Venite qui, tigrotti! Ascoltatemi bene.

— Ora ognuno di voi deve nominare uno stregone.

— Tu — disse Walsh, e lo toccò sulla spalla. — Tu sei il mio stregone.

Lui chiese cosa doveva fare.

— Buttare il malocchio sul nemico. Io starò laggiù a guidare le truppe. Tu hai poteri magici, ragazzo, te li ho appena conferiti. — Qualcuno allungò a Walsh una mazza e un elmetto piumato di plastica rossa. — Grazie — disse Walsh.

— Ma io non ho poteri magici.

— Forse prima no, ma ora sì. Guarda l’altro stregone, è già all’opera. Tu devi vincere il suo incantesimo, quindi datti da fare. — Walsh si voltò. — Io ho ai miei ordini tre aiutanti. Tre cavalieri, intesi? Cohn, anche tu sei un cavaliere! Cavalieri, andate a prendere i cavalli!

I “cavalli” erano tricicli di plastica rossi e azzurri. Al centro della stanza, due pazienti si stavano già affrontando armati di coperchi e grossi mazzuoli di plastica. Tra loro c’era un pallone da spiaggia di plastica a colori vivaci, sicuramente la moopsball.

“Probabilmente”, pensò, “è una terapia efficace. Come può uno avercela con un’infermiera o un dottore che ha appena colpito sulla testa con un martello di gomma?” Però, non gli andava di giocare. Sbadigliò.

All’improvviso, come illuminato dal raggio di un riflettore, gli apparve il viso dello stregone azzurro che gli aveva indicato Walsh. Aveva il viso magro, quasi scheletrico, e la testa rasata. Il padrone della testa stava in piedi, immobile, in mezzo al caos, con un leggero sorriso sulle labbra, le braccia allungate e gli occhi fissi su di lui.

“Mio Dio”, pensò, “funziona!” Cominciò a danzare come aveva visto fare agli indiani nei film; batteva i piedi e alzava ritmicamente le braccia colpendosi la bocca con la mano mentre gridava: — Ooh, ooh, ooh! Tu prigioniero! lo prendere tuo scalpo, uomo bianco!” Dopo qualche istante si accorse che molti componenti della squadra azzurra avevano interrotto il gioco e lo stavano guardando.

— Tra poco quelli della squadra vincente si metteranno il capitano sulle spalle e lo porteranno in trionfo. Corri nella tua stanza più in fretta che puoi e mettiti i vestiti. Poi vieni alla porta C. La troverai aperta, e io sarò lì dentro. — Era North. Appena si voltò a guardarlo lo vide scomparire tra la folla.

Una calca di elmetti rossi si mosse intorno al grande tubo di plastica che gli azzurri stavano difendendo, la cavalleria rossa parava i colpi degli azzurri con manici di scopa avvolti negli stracci. Walsh, molto appariscente nel suo elmetto piumato, segnò un goal.

Il corridoio era deserto. Chissà se North lo precedeva o era rimasto indietro? Molto probabilmente era davanti, perché aveva visto quel gioco altre volte, e sapeva certamente meglio di lui cosa sarebbe successo e quando.

Il rotolo di banconote gli era quasi scivolato fuori alla cintura. Era stato proprio un idiota a fare quella danza indiana con il rischio che a ogni passo i soldi gli cadessero a terra. Ma non era successo, e la danza aveva funzionato. Infilò le banconote nel portafoglio, insieme ai soldi veri, tre biglietti da un dollaro, uno da cinque e uno da venti; quelli del mondo che North aveva chiamato C-Uno, la realtà rassicurante e moderata dove per due volte era stato eletto presidente Richard Milhous Nixon.