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Anche se non c’era nessuna ragione di preoccuparsi della cravatta, lui decise altrimenti, e se l’annodò velocemente ma con la massima cura davanti alla sua immagine sbiadita riflessa nel vetro della finestra. Mentre stringeva il nodo, si rese conto che nel profondo del suo animo era convinto che quegli ultimi giorni non fossero stati altro che un incubo, che ogni cosa accaduta da quando aveva incontrato Lara altro non fosse che un sogno, e che presto si sarebbe svegliato per andare al lavoro. E se fosse andato a lavorare senza la cravatta, avrebbe dovuto comprarsene una nel reparto di abbigliamento maschile.

North lo stava aspettando, con indosso un semplice abito azzurro. — Ecco le chiavi. Ha detto che è una Mink color cioccolata posteggiata in mezzo al parcheggio.

Appesa al portachiavi c’era anche una zampa di coniglio. Mentre si precipitavano lungo le scale, lui s’infilò tutto in tasca. — Ma non ci sentiranno?

— Stanno ancora gridando e schiamazzando per la partita. Dobbiamo solo andarcene in fretta prima che la smettano. — Invece di entrare nella stanza in cui aveva bevuto il caffè insieme a Joe e a W.F., arrivarono in un parcheggio coperto di neve sul retro dell’ospedale. L’auto marrone era più grande di quanto si aspettava, ma la capote corta, il grosso baule portabagagli e lo spazioso vano passeggeri davano alla macchina un aspetto rincagnato.

Girò la chiave di accensione, senza risultato.

— Mi sembrava che avessi detto di saper guidare.

— Non parte, ecco tutto. Non si mette nemmeno in moto. — Colto da un vago ricordo ancestrale, guardò i pedali. Ce n’erano tre, più un pulsante di metallo lustro per l’uso, sulla sinistra della frizione. Lo premette con il piede e il motore si avviò.

— Così va meglio — disse North.

Lui annuì, pensando alla leva del cambio verticale. Era molto tempo che non guidava con il cambio a cloche. L’ultima volta aveva provato con la leva corta di un’auto sportiva, questa invece era un’asta lunga che culminava con un pomello nero di gomma ruvida. Provò a ingranare le marce.

— Maledizione, muoviti!

— Preferisci andartene di qui o avere un incidente? — L’auto scivolò dolcemente all’indietro; la prima entrò grattando leggermente, ma con la seconda e la terza filò tutto via liscio. — Ora siamo due ladri — disse mentre uscivano dal parcheggio dell’ospedale. — I casi sono due, o ci rispediscono in ospedale, o ci mettono in galera.

Appena ebbero svoltato l’angolo, North gli disse sorridendo. — Come credi che mi sia procurato le chiavi? E chi ci ha fatto trovare la porta aperta? Ho anche un po’ di denaro.

— Quanto?

— Non sono affari tuoi. E tu ne hai?

Lui disse: — Stessa risposta.

— Sai, devo dire che mi piaci. — North ridacchiò. — Ed è un guaio, perché un giorno o l’altro dovrò spaccarti quel dannato naso moccioso.

— Spero che lo farai solo quando non avrai più bisogno di me per guidare. Tu sai guidare? Mi avevi detto di sì.

— Ho frequentato il corso per autisti dell’FBI.

Lui chiese: — Allora perché mi hai portato con te?

— Perché mi dispiaceva lasciarti lì, idiota.

Lanciò un’occhiata a North e vide che non sorrideva più.

Si trovò davanti una strada che non conosceva: era ampia, a due corsie che correvano all’esterno di due paia di scintillanti rotaie del tram.

Tra la strada e il marciapiede c’era una fila di alberi spogli già carichi di neve. Lui ripensò alle strade che aveva visto irradiarsi dal crocevia davanti al Centro di Igiene Mentale. Questa era una di quelle strade, ne era certo. Ma quale? Gli era parso che fossero tutte diritte, ma che nessuna andasse in una direzione precisa, né a nord, né a sud, né a est, né a ovest. Eppure questa strada andava verso nord.

— Fermati laggiù — gli disse North — dove c’è scritto “armi”. Vedi l’insegna?

— Vuoi prenderti una pistola?

— Fermati, o ti spezzo il collo.

North sembrava proprio deciso a farlo. Lui accostò l’auto al marciapiede di fronte al negozio di armi e spense il motore. North discese e lui tirò un sospiro di sollievo quando lo vide passare davanti alla vetrina ed entrare nel negozio di abbigliamento lì accanto.

Dalla tasca interna del soprabito prese Tina, la bambola, ed esaminò a lungo, o almeno così gli parve, il suo enigmatico sorriso.

Poi tirò fuori da sotto la camicia l’amuleto che Sheng gli aveva dato. Era una radice, un oggetto secco e duro dalla forma di un ometto raggrinzito non più lungo dell’avambraccio di Tina.

Una passante gettò un’occhiata attraverso il finestrino e lui pensò che doveva averle fatto una strana impressione, con la bambola in una mano e l’amuleto nell’altra.

Probabilmente quella donna aveva pensato che era pazzo, e se avesse chiamato la polizia, avrebbe scoperto di avere ragione.

Però ai Riuniti nessuno aveva pensato che fosse pazzo, solo alcolizzato. Se lui era un alcolizzato, North cos’era? Un maniaco schizofrenico. O qualcosa del genere.

Ripose l’amuleto e la bambola e rivolse l’attenzione ai passanti. A una prima occhiata sembravano tipi abbastanza comuni, a parte i vestiti un po’ fuori moda. Gli era capitato di vedere alcuni film ambientati negli anni trenta e quaranta, e ora aveva l’impressione che queste figure scure e silenziose che si affrettavano infreddolite, fossero personaggi di quelle pellicole. Ragazze, donne e pochi uomini, tutti indossavano cappotti pesanti, lunghi quasi fino ai piedi; gli uomini con cappelli di feltro a tesa larga, le donne e le ragazze con i cappelli a cloche ben calzati.

Oppure si trovava da qualche parte nell’Europa dell’est, dove, stando a quello che dicevano i notiziari della sera, abiti simili erano ancora diffusi. Gli passarono accanto un giovane con un cappello di pelo e molte donne in pelliccia. Esisteva un posto nell’Europa dell’est dove si parlava inglese? Magari una città in cui venivano addestrate spie russe? Una città simile, tuttavia, avrebbe dovuto avere un’ambientazione ben più fedele alla realtà. Non era poi tanto difficile procurarsi automobili e abiti americani.

Passarono tre donne di mezza età, ognuna con una valigetta portadocumenti o una cartella. Si rese conto di aver visto pochi uomini anziani, e cominciò a contarli. Era arrivato a contare ventitré donne e tre uomini apparentemente di mezza età, quando North uscì dal negozio di armi.

— Tutto sistemato — gli disse North. — Possiamo andare.

— Credevo fossi nell’altro negozio.

— Infatti. Ho comprato questo cappotto. Ti piace?

Era a un solo petto, di pesante tweed marrone. — Certo — gli disse.

— Cominciavo a sentire un po’ freschino. Ora sono a posto. — North sbottonò il cappotto e la giacca. Da ogni spalla gli pendeva una fondina da cui spuntava il calcio di un’automatica. — Calibro 9. Temevo che non le avessero, e invece sì. Va bene, muoviamoci. Dobbiamo andare in molti posti e vedere molte persone.

Lui scosse la testa. — No. Almeno finché avrai addosso quelle.

— Hai paura di me? Be’, è normale. Ecco, tieni. — North gli mise una pistola sulle gambe. — Ora siamo pari. Ti darò anche la fondina appena potrò sfilarmi di dosso il cappotto. Muoviamoci.

Lui scosse la testa.

— Cosa diavolo ti succede? Ho cercato…

Non voleva toccare la pistola, ma lo fece. — Ecco. Riprendila. Riportale tutte e due al negozio. Ti restituiranno il denaro.

North lo colpì col pugno destro alla mascella, mandandolo a sbattere con la testa contro il finestrino e per qualche istante lui continuò a vedere lampi intensi di giallo pallido.