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— La prossima volta non ti colpirò con la mano, ma con la pistola.

Lui cercò di aprire la portiera, ma North lo afferrò per un braccio. — Hai una pistola — disse. — Usala.

Lui scosse la testa, cercando di schiarirsi la vista.

— Usala! È carica, pronta a sparare. Prendila e cerca di uccidermi. Io userò la mia. Uno di noi avrà la meglio.

— Tu sei pazzo — disse lui. — Tu sei proprio pazzo. — Sentì l’impugnatura quadrettata dell’automatica che gli s’infilava in mano; North la teneva per la canna e cercava di fargliela afferrare. Invece lui sollevò le mani come aveva visto fare al cinema e in televisione, sperando che un poliziotto passasse lì accanto e li notasse.

North disse: — Non hai fegato. Non hai proprio fegato. Pensavo che ne avessi un po’, ma mi sbagliavo.

— Se ci vuole fegato per sparare con una pistola scarica a un uomo che ne ha una carica, allora hai ragione, non ne ho neanche un po’.

North tirò indietro l’otturatore, fece saltar fuori una cartuccia che andò a colpire il parabrezza, poi la riprese, estrasse il caricatore, inserì la cartuccia e richiuse tutto nel calcio della pistola. — Vuoi fare la prova?

Lui scosse la testa e girò la chiavetta dell’accensione.

— E ora metti in moto.

Appena si allontanarono dal marciapiede, lui chiese: — Dove stiamo andando?

— Tanto per cominciare, in un albergo. Mi servono altri vestiti, documenti, giornali, una base di lavoro. — Schioccò le dita. — Il Grand Hotel! Muoviamoci, devo trovare una sistemazione.

Lui cercò di immaginarsi per quale genere di lavoro gli servisse quella base. Ma pensò che fosse meglio non fare domande.

La strada perse le rotaie del tram per diventare un viale fiancheggiato da imponenti edifici di granito e di marmo, edifici custoditi da statue drappeggiate dalla neve e, in un caso, da una sentinella in carne e ossa che poteva essere un manne degli Stati Uniti in uniforme. Infine si ritrovarono in un piazzale dove le auto, i camioncini, gli autobus a due piani e qualche rara bicicletta ruotavano spediti intorno a un generale con una spada al fianco e un bicorno in testa. Ebbe un attimo di disorientamento prima di capire che il generale, il suo cavallo rampante, la sua spada sguainata stavano anche loro girando, che la statua stava ruotando in senso antiorario, come il traffico.

Un’automobilina verde gli tagliò la strada e North impugnò la pistola.

— Calma — disse lui, e con la mano tenne ferma quella di North finché l’auto verde non si fu allontanata.

— Per Dio, l’avrei fatto a pezzi quel bastardo — mormorò North tra i denti. — A pezzi l’avrei fatto!

— E così la polizia ci avrebbe preso. Dove devo voltare?

North non rispose, lo sguardo fisso davanti a sé. Le auto, quasi tutte nere, sfrecciavano in un senso e nell’altro. Un poliziotto e una poliziotta li sorpassarono su una volante bianca e nera. La donna li guardò incuriosita prima che la volante venisse inghiottita dal traffico.

La mascella gli faceva ancora male; la massaggiò con una mano mentre con l’altra teneva il volante. — Continua a girare — gli disse North. — Dev’essere una di queste strade.

10. La stanza d’albergo

Il terrazzo coperto da un tappeto di neve intatto testimoniava che non veniva usato nella stagione invernale. Lui aprì la portafinestra e uscì all’aperto per osservare il mare d’inverno. Le onde avevano quel colore verde grigio che gli artisti chiamano piombo, e battevano la spiaggia deserta come dotate di volontà, come operai che sapessero che presto il loro lavoro sarebbe finito, gli ultimi ciottoli, gli ultimi granelli di sabbia sarebbero stati dilavati e allora, quando tutto fosse finito, avrebbero avuto la paga.

Lì vicino, un frangiflutti di cemento spazzato dal vento e, ancora più vicino, una stretta stradina asfaltata maculata di ghiaccio. Una terrazza pavimentata e circondata da sempreverdi piantati in grandi cassoni conduceva dalla strada alla scalinata in marmo del Grand Hotel, che era chiaramente un luogo di villeggiatura estivo, ma che d’inverno era deserto.

La loro stanza (North aveva insistito che prendessero una stanza a due letti) era all’ultimo piano.

Costava solo venticinque dollari a notte, e loro erano riusciti ad averla per una settimana a centoventicinque dollari. La stanza era spaziosa, col soffitto alto e molto fredda.

Un gabbiano solitario volava in cerchio sul mare gelido, e lui pensò che se North fosse stato lì avrebbe tentato di sparargli.

Pensò anche che, se ne fosse stato capace, il gabbiano gli avrebbe potuto dire che mare era quello e se bagnava anche il suo mondo, benché lui fosse convinto del contrario.

Ma dove si trovava? Forse gli avevano somministrato qualche droga che gli aveva provocato un’alterazione permanente della percezione del mondo circostante, così che ora lui stava vagando con gli occhi spalancati, e parlava ai fantasmi nella città dove era nato; oppure, come gli aveva fatto capire Lara nel suo biglietto, si trovava dall’altra parte di una porta speciale che lui doveva individuare. E se era così, dove stava Lara? Qui o là? Ma Lara sembrava stare da tutte e due le parti, sembrava che avesse fatto entrare uno strano uomo nel suo appartamento e che apparisse nei suoi sogni e nella televisione; anche se, in questo caso, forse era Marcella.

Marcella era certamente Lara sotto un’altra identità. Cosa gli aveva detto? “Caro, è molto pericoloso che io ti parli.” Era un messaggio, l’avvertimento più chiaro che Lara avesse osato esprimergli.

“Che ore sono lì da te?” Allora Marcella era, era stata,molto lontana, in una zona con fuso orario diverso ed era arrivata da lui con un jet che aveva preso appena aveva finito di parlargli al telefono; oppure aveva voluto che lui pensasse che era lontana.

Marcella era una stella, Marcella appariva in televisione, era famosa a tutti. Come l’aveva chiamata l’infermiera? Una dea dello schermo? Ma Marcella gli aveva telefonato, l’aveva svegliato mentre dormiva… o forse tutto era stato solo un sogno?

Restò a guardare la neve danzare sulle grandi pietre nude della terrazza.

Al di là della vetrata, il telefono cominciò a squillare. Lui aprì la portafinestra e rientrò nella stanza che ora gli sembrò calda. Richiuse la portafinestra col saliscendi.

Il telefono squillò ancora.

Si guardò intorno per capire se la portafinestra lo aveva riportato nel suo mondo o lo aveva spedito in un altro luogo ancora più strano di quello di Lara. A parte il caldo, nella stanza nulla era cambiato. Capì allora che la sensazione di calore era dovuta alla differenza di temperatura con l’esterno dove soffiava un vento gelido. Sollevò il ricevitore.

— Signor Pine? — Era il nome che aveva deciso di dare, d’accordo con North.

— Sì — disse.

— È lei che divide la camera con il signor Campbell?

— Sì — disse di nuovo. — Ma è piuttosto il signor Campbell che la divide con me. È lui che paga.

— Noi abbiamo registrato solo il suo nome, signore, anche se risulta che gli occupanti sono due. L’altro signore si chiama Campbell?

— Esatto. Perché me lo chiede?

— Il signor Campbell sta facendo acquisti in uno dei nostri negozi, signore — disse l’impiegato, e riattaccò.

Riattaccò anche lui e accese il televisore. Sullo schermo non comparve Lara come lui si aspettava.

Prese la mappa e il rotolo di banconote dalle tasche del suo soprabito e li gettò sul divano.

Per quanto riusciva a giudicare, le banconote erano autentiche. La carta marrone in cui erano avvolte con l’iscrizione a caratteri cinesi e il valore dieci centesimi erano come li ricordava.