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— Be’, aveva paura che qualcuno stesse per riportarla indietro. Così mi ha detto.

L’espressione della donna dai denti di coniglio diceva “Ora sì che stiamo arrivando al punto”. Si protese verso di lui dicendo: — Riportarla dove, signor Green?

Stava per chiederle come facesse a conoscere il suo nome (si era rifiutato di dirlo alla sostituta della segretaria) ma pensò che fosse meglio di no. — Questo non lo ha detto, dottoressa. Attraverso le porte, credo.

— Le porte?

— Ha parlato di porte. Poco prima di andarsene… le porte, o una sola porta, ecco come è arrivata fin qui. Se loro fossero venuti per riportarla indietro, l’avrebbero trascinata attraverso una porta, perciò ha preferito andarsene via da sola. — Quando vide che la donna dai denti di coniglio non faceva commenti, aggiunse: — Almeno questo è quello che mi è parso di capire.

— Allora queste porte potrebbero essere quelle di un istituto — disse la donna dai denti di coniglio.

— È quello che ho pensato anch’io.

— Non le è venuto in mente che quell’istituto potrebbe essere una prigione, signor Green?

Lui scosse la testa. — Lei non dava affatto quell’impressione. Sembrava come dire, in gran forma. Solo un po’ confusa.

— Le persone intelligenti che sono passate attraverso l’esperienza di un istituto danno spesso quell’idea. Mi è parso di capire che avesse più o meno la sua stessa età, giusto?

Lui annuì.

— E lei ha…?

— Trent’anni.

— Allora diciamo che anche questa bella donna che si fa chiamare Lara Morgan ha trent’anni. E se avesse commesso un grave crimine nell’adolescenza — magari un omicidio, o complicità in un omicidio — sarebbe stata mandata in un riformatorio femminile fino alla maggiore età, per poi essere trasferita in un carcere femminile a ultimare la condanna. Così potrebbe aver trascorso gli ultimi dieci o dodici anni in una prigione o in un’altra, signor Green.

Lui cominciò a dire: — Non credo…

— Capisce, signor Green, quelli che evadono dai nostri ospedali psichiatrici non sono puniti. Sono malati, e non si può punire la malattia. Ma i criminali che evadono dal carcere sono puniti. Sono felice che sia ritornato, signor Green. Cominciavo a preoccuparmi per lei.

Quando uscì dal Centro si accorse che stava tremando; prima non si era reso conto di quanto tenesse a Lara.

Il Centro di Igiene Mentale era situato sull’angolo di un incrocio pentadirezionale. Tutte e cinque le strade erano congestionate dal traffico e quando si soffermò a guardarle ebbe l’impressione che dipartissero da lui come i raggi di una ruota, tutte affollate, rumorose, diritte e dirette all’infinito. Nessuna uguale alle altre; e nessuna — quando guardò di nuovo — era identica a come era quando era arrivato. Quel teatro non era forse un campo di bowling? E le autopompe non avrebbero dovuto essere rosse, gli autobus gialli, o magari arancione?

Dov’erano le porte? “Potrebbe essere un cavo telefonico sostenuto da due pali”. Così aveva scritto Lara. Alzando lo sguardo vide che si trovava sotto a un reticolo di cavi metallici. C’erano cavi per sostenere la segnaletica stradale, sottili cavi neri tesi fra un edificio e un altro, cavi per i tram sferraglianti. Ai lati c’erano gli edifici, in basso le strade e i marciapiedi, e in alto i cavi. Una dozzina — no, almeno due dozzine — due dozzine di porte, e tutte avevano un aspetto significativo.

Quell’ospedale per le bambole c’era anche prima? C’era mai stato al mondo un posto simile? Con la sensazione di essere lui stesso una bambola rotta, s’incamminò in quella direzione.

2. Inferno o paradiso? Chissà?

Il locale era rivestito di scaffali con i ripiani disposti alla distanza di venti, ventidue centimetri. Sui ripiani c’erano dei lettini. In ogni letto, una bambola.

— È venuto per una bambola, signore?

Fece finta di non aver sentito. “Che posto interessante. Credo di non averne mai visto uno simile in vita mia. Piacerebbe molto a Lara” si trovò a pensare. Poi, ad alta voce, aggiunse: — Sono tutte rotte?

— Ma no — disse il negoziante. L’uomo aveva circa la sua età, ma era quasi ingobbito e sembrava non essersi accorto che i capelli, lunghi fino alle spalle magre, stavano diventando radi.

— Allora perché…

— Erano rotte quando le hanno portate qui — spiegò il negoziante. Sollevò la coperta e il lenzuolo della bambola più vicina. — Ora sono in perfette condizioni.

— Capisco.

— Se ha una bambola da aggiustare, deve lasciare un deposito che le sarà restituito quando tornerà a ritirarla.

— Avete incassato un deposito per tutte queste bambole?

Il negoziante allargò le braccia magre. — In qualche modo dobbiamo pur guadagnare per tenere aperto il negozio. Prima facevamo pagare le riparazioni, ma quasi nessuno tornava a riprendersi le bambole, quando erano pronte. Così ora abbiamo deciso di farci dare un deposito piuttosto sostanzioso e non ci facciamo pagare le riparazioni. Se il proprietario o, come avviene quasi sempre, la madre del proprietario, torna per ritirare la sua bambola, liberiamo un posto nello scaffale e gli restituiamo per intero il deposito. Altrimenti… — Il negoziante si strinse nelle spalle.

— Non vendete mai le bambole?

Il negoziante annuì. — Quando il proprietario muore.

— Allora alcune bambole restano qui per molto tempo.

Il negoziante annuì di nuovo. — Ce ne sono alcune che sono qui da quando abbiamo aperto il negozio. Ma qualche volta succede che quando diventa adulto, un ragazzo si ricordi della sua bambola. Qualche volta gli capita di trovare la ricevuta fra le carte di sua madre. Quando ci consegnano le bambole prendiamo nota del nome dei proprietari e poi controlliamo gli annunci mortuari. — Il negoziante allungò il braccio fino al ripiano più alto e prese un lettino. — Questa per esempio è in vendita. Se conosce qualcuno…

Era Lara…

Lara in miniatura, alta venticinque centimetri. Ma Lara, senza ombra di dubbio… i suoi capelli rosso scuro, le lentiggini, gli occhi, il naso la bocca e il mento.

Riuscì a dire: — Sì — e tirò fuori il portafoglio.

— È una bambola piuttosto costosa, signore — disse il negoziante. — Non solo cammina e parla… ma fa di tutto.

— Sta scherzando? — cercò di sollevare un sopracciglio.

— Ma no, signore. È una di quelle che vanno bagnate con una soluzione salina che agisce da elettrolito. Adesso temo, però, che sia completamente a secco. Lei capisce, è rimasta qui per molto tempo.

— Capisco. — Esaminò la bambola da vicino. Sulla camicetta era ricamato un nome, Tina.

— È la dea, naturalmente — disse il negoziante. — La dea a sedici anni. Era di un ragazzo che è morto otto anni fa. Malicapata. Piuttosto triste, non è vero? Ma ora farà la gioia di qualche altro bambino per molti anni ancora. La vita continua.

— Qualche volta — disse lui.

— Prego?

— E dove posso trovare la vera dea?

— A Overwood, credo. Se vuole la bambola, il prezzo è centocinquanta.

— Devo farle un assegno.

Il negoziante ebbe un attimo di esitazione, poi disse: — Va bene.

La bambola entrava facilmente nella tasca anteriore del soprabito e la sua figuretta snella si adattava a perfezione alla forma allungata della tasca.

Sul marciapiede si guardò intorno per orientarsi. Ai cinque angoli dell’incrocio altrettanti edifici: un negozio di alimenti integrali, un’agenzia immobiliare, una libreria, un ufficio legale, un negozio di liquori, una boutique con l’insegna “fiori finti di vera seta” e un negozio di oggetti antichi. Le strade che trafiggevano l’orizzonte gli sembrarono del tutto sconosciute. Un tram rosso sferragliò lì accanto e lui si ricordò che i tram non c’erano più nemmeno quando era un bambino.