Klamm era là, unico occupante del palco, un uomo anziano dal viso duro, con i lunghi baffi lucenti e appuntiti tinti di nero e le guance flaccide appesantite dagli anni. Il grand’uomo indossava uno smoking, una camicia bianca e una cravatta bianca, e sembrava che stesse dormendo con gli occhi aperti, lo sguardo fisso davanti a sé, come se stesse aspettando, sigaro in mano, attori più importanti o temi più nobili. Ma l’attesa avrebbe potuto anche rivelarsi inutile.
— I salmoni muoiono dopo aver deposto le uova — stava dicendo il grassone. — I fuchi dopo aver fecondato la regina. In molte specie, invece, i ragni maschi vengono divorati dalle loro compagne. Per lo meno questo ci è risparmiato.
Lui si era voltato, e proprio in quel momento Lara era entrata nel palco di Klamm. Ora era in piedi accanto al vecchio e gli teneva una mano appoggiata sulla spalla. Indossava un abito luccicante che le fasciava il seno mettendolo in rilievo, un doppio arcobaleno… viola, blu, verde e oro. Eppure, lui si disse, i suoi capelli erano ancora più splendenti, erano un particolare della sua persona così mutevole che ogni volta la rendevano diversa.
Fece un passo verso le quinte, e questa fu la ragione per cui fu il primo a vedere gli uomini armati di pistole.
12. I figli del drago
Dopo avergli trapassato il soprabito all’altezza del fianco, il primo proiettile uccise il moribondo sulla cuccetta. North si era messo subito a sparare, impugnando tutte e due le pistole. Altri poliziotti — se erano veramente poliziotti — stavano arrivando dall’altro lato del palcoscenico. Sulla gamba del pigiama giallo del grassone vide comparire una macchia di sangue che diventava sempre più grande. Il grassone rimase a fissarla a bocca aperta tenendosi stretta la gamba con le mani grasse e ben curate, poi cadde a terra lentamente fino a che il tonfo del suo corpaccione fece rimbombare il palcoscenico.
— Da questa parte — urlò North indietreggiando e fracassando il muro di cemento come fosse un telone dipinto. Lui si abbassò per togliersi dalla traiettoria dei colpi di North e si trovò faccia a faccia con un prestigiatore in un impeccabile abito da sera. Con gli abituali gesti aggraziati, il prestigiatore spalancò la porta di una cabina cremisi e oro.
North si precipitò dentro e lui lo seguì. Più che udirla ebbe la sensazione che la porta si chiudesse alle sue spalle. Precipitarono nell’oscurità, scivolando lungo qualcosa troppo ripido e liscio per riuscire ad appigliarvisi. In seguito avrebbe ricordato di aver avuto paura, quando la caduta si era interrotta, che da una delle pistole di North potesse partire un colpo.
Nessuna delle due pistole sparò, ma lui sentì sopra la sua testa detonazioni, grida e passi affrettati. Poi, uno strofinio e un lampo di luce: North aveva un accendino elettrico d’argento. Si trovavano su una pila di materassi, come la principessa sul pisello della favola. Intorno a loro barili, scaffali e scatoloni ammucchiati.
North strappò con i denti il cellophane di un sigaro. — Sai dove ci troviamo?
Lui annuì. Aveva visto una lanterna di carta e riconosciuto il posto. — Nello scantinato della bottega del cinese.
North dette un morso alla punta del sigaro e la sputò via. — Abbastanza vicino. Siamo nel sotterraneo del teatro. La scena del prestigiatore doveva venire dopo la nostra, per questo lui stava preparando le attrezzature dietro il nostro fondale. Quella cabina gli serve per far scomparire gli attori che gli fanno da spalla.
Scuotendo la testa lui scese dalla pila di materassi impregnati di polvere.
— Forse è meglio se ce ne stiamo quaggiù per un po’ — gli disse North accendendo il sigaro.
Lui aveva già un piede sul primo scalino. — Su, spara pure — disse. — Loro ti sentiranno e capiranno dove siamo. Oppure puoi cercare di fermarmi. Io mi metto a gridare e loro ci sentiranno. — Tirò fuori dalla tasca i fiammiferi di Sheng e ne accese uno, come aveva fatto Sheng in quella occasione che ora sembrava sepolta sotto una spessa coltre di fogli di calendario. Nell’angolo dello scantinato polveroso apparve un drago fiammeggiante, rosso e giallo, che emetteva fumo nero. Sembrò che gli facesse l’occhiolino e un attimo dopo svanì.
— Maledizione! — disse North raccogliendo il sigaro che gli era caduto di mano e calpestando le scintille. — Come hai fatto?
— Buon divertimento — gli rispose lui salutandolo con la mano mentre saliva la scala che portava al negozio di Sheng.
Sheng e il dottor Pillo-Lin stavano seduti nel retrobottega a bere il tè. — Io felice vede te — disse Sheng. — Questo figlio di sorella. Dottore. Uomo bravo. Tu vuole tè? Tu compra qualcosa?
Il dottor Pillo-Lin tese la mano. — Ci siamo già conosciuti… più o meno. Lei in quel momento era semi-incosciente. Poi l’ho vista durante la partita di moopsball. Lei era straordinario.
— E adesso lei mi riporterà là, o cercherà di farlo. — Prese una sedia e si sedette.
— Veramente no. — Il dottor Pillo-Lin fece una pausa. — Cioè, non lo farò, a meno che lei non lo desideri.
— Può darsi. — Si accorse che si stava massaggiando le tempie con la punta delle dita. — È tutto così strano.
Sheng ridacchiò. — Uomo allegro, dei felici. No triste, contento, ride. No cattivo. Cattivo no è allegro. Poi uomo muore, beve vino con dei e ride ancora.
Il dottor Pillo-Lin disse: — Ci sono momenti in cui la tensione della vita diventa insostenibile. Capita a tutti.
Gli venne in mente che North poteva salire dalle scale e ucciderli. Ma lui non poteva fare niente per evitarlo.
— Tu dice — disse Sheng. — Nipote molto saggio. Sheng pazzo, ma pazzo vecchio e visto molto. Anche pazzo poi impara.
Lui non rispose e Sheng continuò a parlare in tono quasi carezzevole. — Dice a dottor Pillo-Lin, tuo dottore. Sheng ascolta.
— Va bene. Per cominciare, il suo nome. Che razza di mondo è questo in cui uno si sveglia in ospedale e si sente dire che è in cura dal dottor Pillo-Lin?
Il dottore sorrise, nascondendo la bocca con la mano. — Si tratta solo di questo? Vede, il nome della mia famiglia è Di. Quando mi sono iscritto alla facoltà di medicina ho pensato che non fosse adatto a un giovane medico, così l’ho cambiato. Poi mi sono pentito spesso di averlo fatto, lo ammetto; ora penso che scegliere quel nome sia stata una goliardata. Ma ormai Pillo-Lin sta su tutti i diplomi e i documenti e sarebbe troppo complicato cambiarlo di nuovo.
— Sono davvero alcolizzato?
— Non credo. Ma se lei pensa di esserlo, sarà meglio che smetta di bere.
Sheng disse: — Beve tè — e gli versò il fumante liquido marrone nella tazza.
— Se non sono un alcolizzato, perché lei ha detto che lo ero, quando mi hanno ricoverato? Era scritto sulla cartella clinica.
Il dottor Pillo-Lin era diventato serio. — La donna voleva denunciarla e mio zio mi aveva chiesto di prendermi cura di lei. L’aveva vista cadere, capisce. Mancare a una promessa è una cosa seria, dovrebbe saperlo. Se avessi detto che, a parte il trauma cranico, lei era sano, l’avrebbero portata in un altro ospedale e poi in prigione. Mentre dicendo che era alcolizzato, sono riuscito a tenerlo ai Riuniti e a evitare che le venissero somministrate droghe psicoattive.
— Capisco. — Lui annuì, la spiegazione gli sembrò troppo complicata per riuscire a capire tutto e subito. — Signor Sheng, mi trovavo in un teatro. Sono entrato nella cabina di un prestigiatore, sono caduto in una trappola e sono finito su una pila di vecchi materassi. Ma quando l’uomo con cui mi trovavo ha acceso l’accendino, eravamo nel suo scantinato.
— Casa è di teatro. Sheng affitta negozio, Sheng bravo inquilino, paga sempre. Teatro non bisogno tutto sotterraneo, permette Sheng tiene mercanzia, e dà Sheng chiave.