Lui disse: — Non la voglio. Sono pieno di cravatte.
— Va bene, ecco cosa farò. Visto che lei oggi è il mio primo cliente e mi è simpatico, le darò questa sciarpa di lana a metà prezzo. — Dette un’occhiata al cartellino. — Quindici e novantacinque, cento per cento pura lana vergine. È sua per otto dollari, occasione valida solo per oggi.
— Va bene, la prendo, ma voglio anche una piccola informazione. C’è qualche posto qui nell’albergo dove una donna può farsi i capelli?
Lei scosse la testa. — Ci sarebbe un posto, da Millicent, ma Millicent non c’è… è il suo periodo di ferie, non apre fino al ventuno di questo mese.
— Mi sembra di averla già vista l’ultima volta che sono stato qui. Una donna bionda, snella, con un naso un po’ lungo…
— Nooo… — la proprietaria del negozio stava controllando la merce che gli aveva venduto. — Non era lei. Il cappotto lo indossa subito, vero? E la sciarpa e il cappello. I pantaloni saranno pronti domani pomeriggio. E il gilet? Io lo indosserei, soprattutto se ha intenzione di uscire.
— Farò così — disse lui e si tolse la giacca.
— Aspetti un momento, le tolgo il cartellino. Ehi, ha una bambola magica! Anche mio nipote ne aveva una.
Lui aveva appoggiato la giacca sul bancone e Tina spuntava dalla tasca.
Non sapendo che altro dire, lui disse: — Vuole guardarla? Faccia pure.
Lei lo fissò. — Lo sa cosa rischia dicendo una cosa del genere? Un sacco di donne non amano affatto questi oggetti.
— Vuole forse romperla?
Lei scosse la testa. — No, io non farei mai una cosa del genere.
— E allora perché non le dà un’occhiata?
Lei sfilò delicatamente la bambola dalla tasca. — Mio papà ne aveva una e mamma diceva che di notte, quando pensavano che lei dormisse, lui e la bambola parlavano. Adesso credo di capire per cosa le serviva la parrucchiera… Però dovrebbe tenerla in una scatola… è così che fanno quasi tutti. Prendo un pettine e le sistemo un po’ i capelli.
15. La terra d’inverno
Uscendo dal negozio di abbigliamento maschile passò accanto all’ambulatorio del dottor Applewood, che però era al piano superiore mentre lui si trovava su quello inferiore. Attraverso i vetri zigrinati non si vedeva nessuna luce accesa; si domandò se il dottore era andato a casa o se invece l’avevano arrestato. Era probabile che Applewood fosse una spia, che fosse stato lui a chiamare Klamm e gli agenti di Klamm, che la ferita che aveva ricevuto nel teatro fosse un incidente o un trucco, e che Applewood quella mattina fosse ritornato in albergo seguendo le istruzioni di Klamm o della polizia.
Pensò di provare ad aprire la porta, entrare nell’ambulatorio e frugare nella scrivania, ma poi decise di non farlo. Non era da escludere, anche se era poco probabile, che loro non sapessero nulla del dottor Applewood. Ma in caso contrario sarebbero senz’altro venuti a sapere che lui era entrato nell’ambulatorio del medico o anche che aveva solo sfiorato la maniglia della porta. Non era da escludere inoltre che loro non avessero saputo dove lui si trovava — cosa che invece ora sapevano bene — finché non aveva messo piede in quel bar. Quest’ultima ipotesi, però, non lo convinceva del tutto.
In ogni caso, aveva già fin troppo caldo, infagottato com’era nel panciotto, cappotto e sciarpa. Non vedeva l’ora di uscire da lì. Qualche metro oltre l’ambulatorio del medico vide una scala con la scritta PARCHEGGIO; salì i gradini e aprì una porta di ferro arrugginita.
Fu investito di colpo dal vento di cui aveva parlato la bionda; non era forte, ma insistente e molto freddo. Sentì subito che non era un vento di mare, ma di terra; non portava con sé il sapore della salsedine, sembrava invece che avesse soffiato per miglia e miglia sopra distese deserte di neve.
Da dove si trovava non riusciva nemmeno a vedere il mare. Appena fuori dalla porta arrugginita, in un piccolo parcheggio da cui avevano spalato via la neve, c’erano quattro auto tutte parcheggiate a ridosso della porta. Non vide la Mink rincagnata di cui aveva ancora le chiavi in tasca, anche se due di quelle auto le assomigliavano molto. La terza era una decappottabile rossa appena più grande della Mink, la quarta una limousine nera con i seggiolini pieghevoli nel vano posteriore, un’auto capace di trasportare otto persone in tutta comodità. Quella era senza dubbio la macchina con cui erano venuti gli agenti di Klamm, Fanny, la bionda a cui Fanny aveva fatto rapporto, il nuovo “ospite” del bar, e forse anche il dottor Applewood. Si chiese chi di loro fosse alla guida. La bionda, certo, era proprio il tipo che vuole sempre guidare, che quando può impedisce agli altri di farlo; doveva avere una guida veloce, sempre a sgommare e a impalarsi sul freno, il tipo di guida che avrebbe avuto North, se avesse guidato.
Provò ad aprire la portiera della limousine con le chiavi della Mink. Non andavano bene, anzi, non entravano nemmeno nella serratura. Con suo stupore il baule non era chiuso a chiave. Lo aprì e trovò un mucchio di fogli di carta sparpagliati; qualcuno aveva messo lì dentro un raccoglitore, ma il movimento della limousine l’aveva fatto rovesciare. Il vento prese due fogli di carta e li fece svolazzare sull’asfalto ghiacciato come polli terrorizzati.
Lui ne afferrò un terzo prima che riuscisse a fuggire e gli dette un’occhiata, poi lo lesse con attenzione sbalordita.
NOME: “Wm. T. North”, “Bill North”, “Billy North”, “Richard North”, “Ted West”. Nome attuale ignoto. Il primo nome è il più usato.
DATA DI NASCITA: Ignota.
LUOGO DI NASCITA: Ignoto, probabile Visitor.
STATURA: m 1.80 circa Peso: kg 77 Capelli: Scuri, calvizie. Spesso si lascia crescere i baffi.
OCCHI: Azzurri.
CARNAGIONE: Rosea.
SEGNI PARTICOLARI: Scottature sui palmi delle mani. Varie piccole cicatrici sugli avambracci, forse recenti. (North si automutila). Tatuaggio sotto il polso destro “RN”. Porta spesso un orologio da polso per nascondere il tatuaggio.
12/7/87 aderisce a Settembre Azzurro. 11/12/87 a capo dello Stivale di Ferro. Arrestato 6/6/88, Ospedali Psichiatrici Riuniti. Abile tiratore, porta spesso due, perfino tre pistole. Abile lanciatore di coltelli, può portarli legati al polso, al braccio o alla caviglia. Violento, temperamento impulsivo. Estremamente pericoloso.
C’era anche una foto di North (sembrava un po’ più giovane di come lo ricordava) e una serie di impronte digitali. Rimise il foglio nel raccoglitore e frugò tra le altre carte, in cerca di un rapporto dello stesso tipo sul dottor Applewood o magari su se stesso. Non trovò altro che un foglio intestato Daniel Paul Perlitz e il timbro deceduto. Il dottor Applewood aveva chiamato l’uomo in uniforme proprio Daniel.
Chiuse il baule di colpo, nel timore improvviso di essere osservato. Non sentiva più quel caldo soffocante; mentre ritornava alla porta arrugginita aveva freddo ed era ansioso di raggiungere il calduccio dell’albergo e di ripararsi dal vento. Infilò una mano in tasca per essere sicuro di avere ancora la chiave della sua stanza.
La porta di ferro era chiusa, e né la chiave della stanza né quella dell’auto rincagnata riuscirono ad aprirla. E dopo un istante pensò che quel parcheggio probabilmente era riservato agli impiegati e ai concessionari che affittavano i negozi e gli uffici della galleria. Loro sicuramente avevano anche la chiave per aprire quella porta. Avrebbe dovuto fare il giro per entrare dall’ingresso principale dell’albergo e avrebbe dovuto farlo camminando in mezzo alle raffiche di neve.