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Con il bavero del cappotto alzato e la sciarpa sollevata fino a coprirgli il naso (ringraziò tra sé la donna che l’aveva convinto ad acquistarla), si guardò intorno in cerca di un passaggio tra la neve. Non c’era altro che il vialetto da cui erano arrivate le automobili che ora era sepolto dalla neve nei punti in cui batteva il vento. Il vialetto sembrava condurre ad alcune costruzioni sparse che si intravedevano in lontananza, quasi cancellate dal biancore della neve.

L’albergo si apriva in due lunghe ali laterali. Forse non proprio così lunghe se si percorrevano passeggiando per i corridoi, ma lunghissime per lui che avrebbe dovuto camminare con la neve alta fino alla vita, prima in una direzione e poi nell’altra, per aggirare l’edificio. Cominciò a fare qualche passo, poi abbandonò l’idea. Prima o poi il passaggio si sarebbe collegato alla strada che costeggiava il mare.

Attraversò il parcheggio pensando all’insufficienza del suo equipaggiamento: il cappotto, il gilet e la sciarpa erano stati degli ottimi investimenti, ma avrebbe dovuto scegliere un berretto anziché un cappello. Un berretto di pelliccia con i paraorecchie allacciati sotto il mento, o magari uno di quei cappucci di lana che la commessa aveva chiamato balaclavas, ma che lui non aveva degnato di uno sguardo.

Aveva anche bisogno di un paio di guanti. Gli sembrò assurdo non aver pensato a comprarne un paio; aveva le dita gelide, anche se aveva infilato le mani nelle tasche del cappotto. Ma aveva soprattutto bisogno di un paio di stivali invece di quelle scarpe; il breve tentativo di camminare sul vialetto era bastato a riempirgli le scarpe di neve, e nonostante si fosse mosso di continuo, sentiva che gli si stavano gelando i piedi. Come se non bastasse, continuava a scivolare, le suole lisce si rifiutavano di far presa sull’invisibile strato di ghiaccio che ricopriva l’asfalto a chiazze sparse e si rifiutavano di far presa sui mucchi di neve compatta.

Era uscito dal parcheggio e aveva imboccato il sentiero quando vide la foto di Fanny; prese in mano il foglio e si accorse che era identico a quello su North.

NOME: Frances Land, “Frannie Land”, “Faith Lord”.

DATA DI NASCITA: 9/7/64

LUOGO DI NASCITA: Manea AX

STATURA: m 1.60

PESO: kg 47

CAPELLI: Neri, ricci.

OCCHI: Castani.

CARNAGIONE: Chiara.

SEGNI PARTICOLARI: Sei dita nella mano destra. Occhiali da presbite.

Membro associato di Settembre Azzurro, gli Immortali, Stivale di Ferro. Ritenuta simpatizzante.

Scosse la testa, accartocciò il foglio e lo gettò via. Aveva sbagliato tutto su Fanny, tutto. Si corresse… su Frances. Come il dottor Applewood, anche Frances era un’alleata di North. Probabilmente era proprio perché tanti di loro lavoravano qui che North aveva deciso di venire in questo albergo abbandonato da Dio e dagli uomini d’inverno, in questo immenso vecchio albergo, lontano miglia e miglia dalla città.

Allora anche la bionda del salone di bellezza faceva parte dell’organizzazione di North, dato che Fanny aveva l’ordine (ma di chi?) di farle rapporto.

Oppure Fanny era… come si dice? Qualcuno che fa il doppio gioco. Qualcuno che dice di lavorare per uno mentre passa informazioni all’altro. Ma se Fanny non era arrivata con la limousine, con cosa era arrivata? E se la limousine non era di Klamm, perché nel baule c’erano quei documenti, documenti del Servizio Segreto, dell’FBI… della Polizia Segreta, del come diavolo si chiama?

Il passaggio era abbastanza ampio per una macchina, e la neve che si era accumulata ai lati era più alta di lui. Camminava in un mondo in bianco e nero, e dopo un po’ di tempo gli sembrò di non essere altro che il personaggio di un vecchio film, un vecchio film in bianco e nero. Non si vedeva colore da nessuna parte perché la pellicola non era ancora a colori e c’era solo la volta grigia del cielo, la striscia nera dell’asfalto sotto i suoi piedi e la neve su tutti e due i lati. Anche le scarpe erano nere, e quel nuovo cappotto grigio scuro sembrava quasi nero. Era l’inizio dell’ultimo spettacolo? O era la fine, quando lui (di nuovo nel suo appartamento, a guardare come al solito un vecchio film in Tv), si alzava sbadigliando, prendeva il bicchiere e la bottiglia dal tavolino, sapendo già che presto i due amanti si sarebbero abbracciati, la donna vestita come la statua della libertà che regge in mano la torcia.

Camminava guardandosi intorno e d’improvviso capì che sperava di trovare l’altro foglio che era volato via dal baule, perché sentiva che c’era la fotografia di Lara. Due fogli erano volati via e un altro era riuscito ad afferrarlo. Quello che aveva preso parlava di North; uno dei due che erano volati via, di Fanny… Frances. Sicuramente il terzo foglio, che non era riuscito a prendere e che non aveva ancora trovato, doveva essere quello di Lara, Lara che aveva visto per l’ultima volta mentre danzava sull’asfalto, fra la neve, nel vento.

Sentì appena in tempo il rombo alle sue spalle e si tuffò a sinistra nella neve. La grande limousine nera gli passò accanto, talmente vicino che lui sentì il risucchio che per poco non gli portò via una scarpa.

Si rialzò senza imprecare. Era troppo felice di essere vivo — sono vivo! — per farlo. Si accorse che una scheggia di ghiaccio gli aveva procurato un taglio all’indice; cominciò a succhiarlo mentre con la mano bendata spazzolava via la neve dal cappotto. Si tolse il dito di bocca per dargli un’occhiata, e dal taglio uscì un po’ di sangue che cadde sul nero dell’asfalto e sul bianco della neve.

Aveva messo il pacco di fazzoletti insieme alla mappa, nella tasca interna della giacca. Lo tirò fuori e lo aprì, ne sfilò uno e si avvolse l’indice.

Se non avesse temuto di cadere, si sarebbe messo a scivolare sulla neve ghiacciata. Ecco perché (pensava lui) Cary Grant e Rosalind Russell, William Powell e Myrna Loy irradiavano tanta felicità e tanto piacere in quelle pellicole tremolanti trasmesse a tarda notte; ecco perché risplendevano ancora, nonostante il bianco e nero, quando avrebbero invece dovuto essere morti. Come dovevano essere felici di essere ancora vivi là, sugli schermi angusti applicati agli apparecchi radiofonici dei loro tempi. Come erano felici!

Proprio come lui. In questo momento avrebbe potuto essere a casa, morto, morto e putrefatto davanti al televisore, seduto nella poltrona che aveva comprato durante i saldi; invece era lì, vivo, il rosso del suo sangue lo provava, anche se questa poteva essere la sua ultima interpretazione.

Il sentiero risaliva la collina e piegava a destra. Sentì il rumore di un camion, non solo lo sentì, ma lo vide, o almeno vide il tetto arancione e verde fare capolino da dietro i cumuli di neve. Altri cento passi, più o meno, e arrivò al punto in cui il sentiero sbucava su una strada a doppia corsia, pure di asfalto nero, che poteva o no essere quella che aveva percorso quando stava con North. Cercò d’indovinare da che parte fosse l’oceano, ma si sbagliò. Se ne accorse dopo aver percorso mezzo miglio, quando vide da che parte era l’albergo.

Stava già per ritornare sui suoi passi, quando vide un vecchio camioncino rosso con le catene che arrivava sferragliando, guidato da un uomo di mezza età. Lui gli fece cenno di fermarsi e gli spiegò in due parole che era rimasto chiuso fuori dall’albergo.

L’uomo sorrise e gli aprì la portiera. — Mi sa che non gli capiterà più di andare in giro conciato a quel modo!

Lui sghignazzò: — Diamine, no di certo! — Pensò che avrebbe dovuto prendersela, ma ne era assolutamente incapace. Il riscaldamento di quel vecchio furgoncino funzionava, e quel soffio caldo sui suoi piedi gli sembrò l’anteprima del paradiso.

— C’è poca gente d’inverno — disse l’uomo. — La mia Junie ogni tanto ci va a lavorare, ma quando arriva l’autunno, la licenziano. Io neanche sapevo che era aperto.