Выбрать главу

Lui fece cenno di sì e disse: — È quasi vuoto. Spero che non sia costretto ad andare troppo fuori strada a causa mia.

— Tanto dovevo passare di lì. Vado in città. L’albergo non è lontano, due o tre miglia da dove sto io.

Al termine della strada un segnale di stop indicava l’incrocio con una più ampia. Quando cominciarono a percorrerla, lui sentì il fruscio delle onde. Poi le vide, fredde e verdi e vive, come squame di un serpente acquatico attorcigliato intorno al mondo, pensò, e non tanto ostile quanto crudele.

— Eccoci arrivati. — Il furgoncino si fermò. — A proposito, mi chiamo Grudy.

— Green — disse lui, e si strinsero la mano. — Posso darle qualcosa per il passaggio, signor Grudy?

L’uomo bofonchiò. — Non lo dica nemmeno, signor Green. Se capitasse ancora, lo rifarei e lo stesso farebbe lei per me, ne sono certo.

Ringraziò di nuovo l’uomo e scese dal furgone, chiuse la portiera per bene e lo salutò con la mano guardandolo allontanarsi. Attraversò la terrazza in direzione della vetrata illuminata dell’albergo e guardò l’orologio. Erano le undici e trentaquattro; tra poco al bar avrebbero servito il pranzo. Avrebbe cercato di parlare con Fanny che, anche se faceva il doppio gioco, avrebbe potuto condurlo da quelli che non lo facevano. Rivedendolo, Fanny non avrebbe capito niente di più di quanto non sapesse già; ma lui avrebbe potuto imparare molte cose, perfino come pensa e agisce un cospiratore. A quel punto, questa gli sembrava la cosa più importante.

All’ingresso non c’era nessun fattorino. Tra le due vetrate un cartello diceva: CHIUSO PER TUTTA LA STAGIONE INVERNALE. Dietro al banco, un commesso occhialuto era alle prese con un mucchio di carte. Lui batté sulla porta, ma il commesso entrò in un ufficio e non ricomparve.

Dopo qualche istante le luci dell’atrio si spensero.

16. Il poliziotto

Si mise a osservare l’albergo dal piazzale antistante. Non si vedeva nessuna luce. Per un momento pensò di entrare attraverso una finestra, ce n’erano un centinaio a cui poteva facilmente arrivare… o almeno così sembrava, ma alla fine scartò l’idea. Se all’inferno non c’era nessuno, entrare non gli sarebbe servito a niente, invece, se c’era qualcuno del personale (per esempio l’impiegato che lo stava aspettando nell’ufficio in attesa che lui lasciasse l’albergo) lo avrebbero arrestato e sbattuto in prigione e in prigione non avrebbe sicuramente trovato Lara.

Decise allora di tornare sulla strada, nella convinzione che un uomo ben vestito avrebbe certamente trovato un passaggio e non avrebbe dovuto aspettare a lungo, anche se in questo caso l’uomo ben vestito aveva il viso pieno di scottature e un dito sanguinante. La statua di ghiaccio che lo aveva osservato mentre mangiava la cialda era ancora lì che lo osservava; aveva un’espressione cupa e soddisfatta… ma forse dipendeva solo dal fatto che lui la stava guardando da una prospettiva diversa. L’oceano gli parlava come una madre irata che sgrida suo figlio, e anche se sentiva la rabbia e il rimprovero nella sua voce, non riusciva a capire che cosa l’oceano gli stesse sussurrando di fare. Cosa pensavano le onde che lui avrebbe dovuto fare?

Aspettò mezz’ora prima di veder passare una macchina che comunque non si fermò. Dopo un’attesa altrettanto lunga, arrivò rombando un grosso autobus rosso. L’autista ignorò ostentatamente la sagoma che si agitava frenetica in un punto dove non c’era fermata autorizzata. Al telegiornale gli era capitato di sentire che alcuni autisti non si erano fermati nemmeno per raccogliere un moribondo, ma non aveva mai pensato che molti di loro si comportavano così perché le società per cui lavoravano gli proibivano di farlo e che questo fatto non veniva reso noto grazie a qualche accordo segreto fra le stesse società e i mezzi d’informazione.

Contò le onde che gli parlavano frangendosi sulla spiaggia serrata dal ghiaccio; quando era arrivato a centodiciassette, passò la decappottabile guidata dall’impiegato con gli occhiali. Lui si spostò in mezzo alla strada per fermare l’auto, ma l’impiegato con una sterzata lo superò senza degnarlo di uno sguardo.

Anche se lo giudicava inutile, si voltò e cominciò ad arrancare dietro la decappottabile che ben presto scomparve oltre una curva nascosta dalla neve. Era passato un autobus, pensò, e quindi da qualche parte lungo la strada ci doveva essere una fermata autorizzata, una fermata per far salire la gente che abitava da quelle parti, che non possedeva automobili o camion e che voleva raggiungere la città. Una fermata e una panca su cui sedersi.

Aveva le gambe che gli tremavano per tutto il camminare e lo stare in piedi che aveva fatto quel mattino; la testa, che gli aveva fatto sempre male da quando si era risvegliato ai Riuniti, pulsava dolorosamente.

Alle sue spalle, una macchina pigolò e tintinnò come un carillon rotto. Lui non si voltò a guardare, perché era convinto che qualunque cosa facesse la macchina non si sarebbe fermata, e perché non voleva lasciare la strada sgombra per camminare sul bordo dove era ammassata la neve.

— Vuoi un passaggio? — Era Fanny che gli parlava dal finestrino aperto di una delle utilitarie che aveva visto nel parcheggio.

Cercò di sorridere. — Ehi! Certo che lo voglio! — La ragazza poteva essere una spia di Klamm, ma se Klamm e la polizia erano contro North, la cosa non era poi tanto male. La macchina aveva le portiere che si aprivano controvento, come quella che aveva guidato quando stava con North. Girò la maniglia, aprì la portiera ed entrò.

— Non hai bagaglio? — Sembrava sincera e leggermente sorpresa.

— Non molto — le disse.

Col piede sinistro la ragazza pigiò il pedale della frizione, mentre con la mano spostava indietro la leva del cambio. — Capisco. Bene, avrei voluto che ti fermassi ancora un po’. Comunque, se dicevi che volevi andartene, ti avrebbero chiamato un taxi o qualcosa del genere.

— Ma io non volevo andarmene.

Lei allentò la pressione sul pedale della frizione, il motore esitò come se si preparasse a spegnersi, poi si riprese. La macchinetta dette uno scossone e si mosse in avanti. — Mi hanno detto il contrario.

— Mi hanno chiuso fuori.

— Non hai pagato?

— La stanza è pagata ancora per qualche giorno — disse lui.

— Ma è impossibile che abbiano fatto una cosa del genere!

Lui si strinse nelle spalle con lo sguardo rivolto alla campagna coperta di neve.

La ragazza innestò a fatica la seconda. — Comunque, addio lavoro per questa stagione. Lo scorso autunno mi hanno implorato, dico implorato di restare. “Fanny, proviamo a restare aperti tutto l’inverno…” è questo che mi hanno detto. Adesso sono senza lavoro, e ormai in questo periodo i posti stagionali sono tutti occupati.

— Forse quella donna al salone di bellezza può trovarti qualcosa. — Si voltò a guardarla. — Stavo per dire quella che ti ha fatto i capelli, ma i tuoi capelli sono come prima.

— L’hai notato? — Dopo aver innestato la terza si passò la mano sui capelli. — Voleva lavarmeli e farmi la messa in piega, ma non ne avevo bisogno. Non avevo nemmeno bisogno di una permanente… sapevo che lei mi avrebbe detto così. Il fatto è che avevo voglia di parlare con qualcuno. Dove devi andare?

— Alla stazione ferroviaria.

— Pianti tutto e lasci la città?

Lui fece cenno di sì. — Vado a Manea.

— Mi pare una buona idea. Qui le cose non stanno andando bene per te.

— Puoi portarmi alla stazione?

— Certo.

— Grazie. — Esitò. — Probabilmente non dovrei chiedertelo… ma tu sai come si chiamava l’uomo che stava con me?

— Non bado a queste cose.

— Ieri mattina abbiamo fatto colazione insieme al bar, ma tu non c’eri.

— Forse c’era Maisie o Edith. Sai, siamo in tre, facciamo turni di due giorni e poi un giorno di riposo. Maisie e Edith hanno lavorato ieri e oggi toccava a me e a Maisie.