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— Lara me ne ha parlato in un biglietto. Quando si sta insieme a qualcuno di un altro mondo, si vedono delle porte. Qualunque cosa delimitata sui quattro lati può essere una porta. E ha un aspetto significativo… è proprio la parola che ha usato Lara. Se uno l’attraversa, si ritrova dall’altra parte. Ma poi, se si volta per tornare indietro, non ci riesce. La porta è scomparsa. Per farlo, deve camminare all’indietro senza voltarsi.

Schioccò le dita, e Fanny disse: — E adesso cosa c’è?

— Sai perché una porta è uguale sia da un lato che dall’altro?

— Non ne ho idea. Perché?

— Perché è uguale. È proprio questo che ne fa una “porta”. Chiudi gli occhi. Attenzione, facciamo una prova.

Fanny fece come gli aveva detto.

— Ora, tu hai pranzato qui altre volte, e hai deciso di venirci con me. Qual è il nome vero di questo ristorante, quello ufficiale?

Lei rimase a pensarci un momento. — Fuori c’è una targa di ottone: TRATTORIA CAPINI.

Lui sospirò e disse: — Va bene, e ora riapri gli occhi. — Le porse il pacchetto di fiammiferi che si trovava sul tavolo.

Fanny lo guardò e lesse: — “Da Capini cucina italiana”. Già, non è proprio lo stesso nome.

Lui posò la forchetta. — Questo ristorante — io lo chiamo da Mamma — si trova nel mio mondo. Vengo a mangiare qui da anni. L’altro — la Trattoria — è nel tuo mondo. Può darsi che sia un caso che abbiano lo stesso cognome. Comunque, la porta della Trattoria è una “porta”. La gente del tuo mondo che è stata con gente del mio, può entrare nel mio mondo attraversandola, come hai fatto tu quando sei entrata insieme a me, o come ha fatto Joe con sua moglie — mi pare che si chiami Jennifer — quando sono venuti qui insieme a Lara. Ma le cose dopo un po’ ritornano al loro posto. Le persone vengono attirate di nuovo dal loro mondo, è per questo che io sono tornato nel mio. I soldi non sono altro che pezzi di carta. Se sono soldi di un certo mondo, attirano quelli che provengono di lì. Le cose finiscono sempre per tornare al loro posto, ne sono sicuro.

Fanny disse: — Con questo ragionamento tu dai per scontato che un pezzo di carta abbia cervello. Non ti credo.

— No, non sto dicendo questo. Ora ti racconto una cosa che ci mostravano a scuola. Accordavano due corde di uno strumento sulla stessa tonalità. Mi segui? Non come si accorda un pianoforte, ma in modo che entrambe suonassero la stessa nota. Così, quando una veniva pizzicata, anche l’altra cominciava a vibrare. Non perché avesse cervello… lo faceva e basta.

— E allora secondo te questi due mondi sono solo tonalità… frequenze diverse, e non sono reali?

— Non mi spingerei tanto lontano — disse lui.

— Ma io sì. Non è così che funziona la televisione? Si seleziona un certo canale e si ricevono due segnali, uno per l’immagine e uno per il suono. Ma la regolazione dei segnali non è del tutto stabile, ed è questo che crea dei disturbi all’immagine e al sonoro. Quando si cambia spesso frequenza al televisore, succede che si sovrappone un altro canale e lo spettacolo che uno stava guardando scompare dallo schermo e ne appare un altro con altri personaggi.

Lui scosse la testa.

— Be’, credo di avere ragione. — Fanny fece un cenno alla cameriera. — Può portarmi altra acqua calda per il tè?

Avrebbe voluto dirle che se il mondo in cui lei viveva era solo la nota di un pianoforte, il suo invece era reale; ma si ricordò delle monete, delle facce false e dei bordi di ottone, e pensò che in fondo il suo mondo non era più reale di quello di Fanny, e forse anche meno.

Fanny puntò l’indice verso di lui. — E ora stammi a sentire. Immagina di restare davanti al televisore per tutta la vita. Immagina che sia la sola cosa che conosci, e che trasmettano spettacoli come Alba, Tramonto, Lavoro e Spesa, e che tu li segua a tal punto da non pensare mai a nient’altro. — Si fermò un momento. — Come si chiama quel piccolo schermo che abbiamo nella parte posteriore degli occhi?

Lui scosse la testa. — Non lo so.

— La retina, ecco. Be’, immagina che qualcuno cambi lo spettacolo nella retina.

— Mi stai mettendo alla prova?

Fanny sorrise. — Ma no, è solo per fare conversazione. Hai detto che se attraversiamo all’indietro quella porta, ci ritroviamo nel mio mondo. Sono sicura che tu desideri tornare là insieme a me, perché così potresti ritrovare Lara, che in realtà è Laura Nomos. E io credo che se uscissimo all’indietro da quella porta ci ritroveremmo di nuovo sul marciapiede, e tu diresti “Guarda, ha funzionato!”. Senti, può anche darsi che io sia un’allocca, ma non fino a questo punto.

— Dico sul serio — disse lui.

— Anch’io. E credo di sapere come funzionano le tue porte. Poniamo che due canali mandino in onda lo stesso programma, ma al contrario. Chiamiamo questo programma “porta” o passaggio… non ha importanza. Il primo canale, la mostrerà da un lato e, contemporaneamente il secondo la farà vedere dall’altro. Non può accadere allora che le due frequenze si avvicinino? Se immaginiamo che ci siano tanti canali, alcuni potrebbero avvicinarsi a tal punto da toccarsi. Allora, basterebbe girare appena la manopola per passare da un canale all’altro, giusto? Ma se volessimo tornare indietro, dovremmo girare la manopola in senso contrario, non potremmo girarla nella stessa direzione di prima. Allora ecco cosa dobbiamo fare se vogliamo passare da quella porta: dobbiamo girare la manopola all’indietro. Ma la cosa mi fa sentire un po’ sciocca.

— Ma lo farai, non è vero?

Fanny si strinse nelle spalle. — Non credo che t’importi molto di me. Pensi solo alla tua Lara.

— Devo scegliere fra voi due? Così, adesso?

Fanny fece una smorfia. — Già.

— Io scelgo Lara.

— Allora devi lasciare che io mi paghi il pranzo da sola.

— Senza voltarsi — disse lui. — Dico sul serio. Può anche darsi che non funzioni perché nel biglietto Lara diceva di farlo immediatamente… e non è certo il nostro caso. Ma comunque non può succedere niente di grave. Tu saresti disorientata nel mio mondo proprio come io lo ero nel tuo.

— Questo è un racconto mitico, non è vero? — disse Fanny.

— Vero cosa?

— Il viaggiatore che ha perduto la via, che incontra qualcuno o scopre una città che nessun altro troverà mai dopo di lui. Non so proprio se mi piacerebbe, anche se il dipartimento pensa che io sia passata al nemico.

— Quei programmi di solito non hanno un lieto fine — disse lui. Aveva visto Brigadoon alla Tv, e cercava di ricordarsi come finiva la storia per potergliela raccontare. Ma non gli veniva in mente altro che il titolo del film, le gonne scozzesi svolazzanti e il suono delle cornamuse.

“Non è proprio così”, si disse.

Fanny si era alzata in piedi e stava prendendo il cappotto dallo schienale della sedia. — Dai, andiamo. Non credo che funzionerà.

— Subito? Dobbiamo chiedere il conto — disse lui.

— Eccolo qui. — Glielo sventolò davanti agli occhi. — La cameriera me lo ha portato insieme all’acqua per il tè.

Lui glielo sfilò di mano (un po’ troppo facilmente, pensò) e l’aiutò a mettersi il cappotto. Si rese conto di non essere del tutto convinto che attraversare all’indietro quella porta sarebbe servito a qualcosa. Era a casa, di nuovo nel suo mondo dopo… dopo cosa? Un sabato mattina avventuroso? Una specie di sequestro mentale? Le cose ritornano sempre al loro posto. Aveva detto così.

Il suo cappotto era appeso a un attaccapanni vicino al tavolo. Naturalmente era ancora il cappotto di lana che aveva comprato all’albergo, troppo pesante forse per il tempo che faceva qui. Ma il pacco di biglietti da cinquanta che aveva comprato per dieci centesimi dal signor Sheng era moneta vera, mentre non lo era la cospicua cifra che gli era avanzata dai mille dollari che aveva trovato sotto il vaso nella sua stanza all’ospedale.