Выбрать главу

Con un’altra banconota del pacco, pagò il conto al nuovo, cassiere, uno dei tanti figli di Mamma Capini, forse un po’ più vecchio e grosso di quello che aveva incontrato nel bagno degli uomini. Per fare una prova gli chiese: — Cosa ne pensa dell’incontro?

— Quale incontro?

— Quello di Joe. Credevo che Joe fosse un vostro cliente.

Il cassiere ridacchiò e batté lo scontrino. — Lei ha parlato con Guido. Guido è un po’ matto.

Fece per tornare al tavolo, ma Fanny sussurrò: — Ho già lasciato la mancia.

— Va all’indietro — le disse. — Ricordati che dobbiamo camminare all’indietro. — Cominciò a indietreggiare con passo impacciato verso la porta.

— No — sussurrò Fanny. — Non voglio. — Lo prese per un braccio e lo fece girare su se stesso.

Lui tentò di dirle: — Tu non…

— No, non voglio, questo gioco è durato abbastanza — disse Fanny, e lo tirò per un braccio.

Lui vide Lara in mezzo alla strada che osservava l’insegna del ristorante mentre i fiocchi di neve le sfioravano il viso. Corse verso di lei e alle sue spalle sentì la voce di Mamma Capini gridare: — Arrivederci. — Con la coda dell’occhio fece in tempo a vedere Fanny guardare indietro, salutare con la mano sorridendo mentre attraversava la porta.

Si ritrovò per la strada, da solo. I fiocchi di neve brillavano alla luce del sole, sospinti giù dai tetti dal vento primaverile. Lara non c’era più, mentre lui la guardava era scomparsa dentro la porta girevole di una pellicceria.

Si precipitò in mezzo al traffico senza guardare.

Uno stridio di freni sull’asfalto. Un camioncino bianco, come un enorme frigorifero su quattro ruote, sterzò di colpo e per poco non lo investì. Esultante di gioia lui saltò sul marciapiede e si slanciò dentro la porta girevole.

C’erano i saldi di fine stagione e la pellicceria era affollata di donne, molte accompagnate da mariti impazienti. Passò di corsa in mezzo a loro, cercando di ricordare se Lara indossava il cappello o se portava i suoi splendidi capelli sciolti sulle spalle o raccolti sulla nuca in una pettinatura che gli sembrava di aver intravisto mentre Fanny sbiadiva accanto a lui come una foto scadente.

Fece due volte il giro del negozio. Donne dappertutto, con e senza cappelli, ma di Lara nessuna traccia.

Colto dalla disperazione s’impadronì di una commessa salvandola da una cliente con i capelli azzurrini e l’aria inviperita che stava criticando aspramente due pellicce. Le descrisse Lara come meglio poté.

La commessa scosse la testa. — Ha provato al piano di sopra?

Lui la fissò.

— Nel salone. — La commessa disse a bassa voce: — Là esponiamo i capi più costosi per un diverso tipo di clienti.

Un piccolo ascensore lo portò al secondo piano, ansimando come un vecchio asmatico. La moquette era bianca e le luci leggermente azzurrate. Individuò un commesso e anche a lui ripeté la descrizione di Lara, aggiungendo che era di estrema importanza che lui le parlasse.

Il commesso gli chiese con distacco: — Per caso si ricorda il nome della signora?

— Lara Morgan — disse. — Ma a volte si fa chiamare Laura Nomos.

Il commesso restò impassibile. — Se vuole seguirmi, signore, controllo il registro di oggi e poi saprò dirle se la signora è stata qui.

Andarono nel retro del negozio, dove su un tavolo c’era un grosso registro aperto. Il commesso lo sfogliò. — La signora Morgan è stata qui oggi, alle undici e trenta, signore. — Il commesso guardò l’orologio. — Ora sono quasi le undici e quaranta, perciò credo che abbia già lasciato il negozio. La signora Morgan ci ha lasciato la sua pelliccia perché la pulissimo e la tenessimo in custodia, come credo sia sua abitudine.

Sentì sbocciare dentro di lui un piccolo fiore di speranza e domandò: — Verrà a ritirarla in autunno?

— Oppure, signore, incaricherà qualcuno di farlo. — Il commesso sfogliò le pagine del registro. — Ecco, come le avevo detto… la signora era venuta a ritirarla lo scorso ottobre, ma la pelliccia era rimasta in custodia da noi per ventisei mesi.

20. Il suo appartamento

La cassetta della posta era piena. Fra le fatture e gli opuscoli pubblicitari trovò un biglietto giallo dove lo avvisavano che all’ufficio postale c’era altra corrispondenza indirizzata a lui. Sul frigorifero un orologio a forma di fragola che aveva comprato in un emporio, lampeggiava l’ora e la data: 13.38 15.4, 13.38 15.4, 13 39 15.4.

Era la metà di aprile. Cercò di ricordare quando Lara lo aveva lasciato, ma non ci riuscì. Il suo biglietto stava ancora sul tavolino, non aveva data ma era ricoperto da un sottile strato di polvere. Lo lesse di nuovo:

Caro,

ho cercato di dirti addio ieri notte, ma non mi hai sentito. Non sono una vigliacca, devi credermi.

Se non fosse per le porte, non ti direi nulla e forse sarebbe meglio. Ti può capitare di vederne una o più di una, magari per un solo istante. Sarà chiusa su tutti e quattro i lati (deve esserlo). Può essere una vera porta, oppure solo un cavo telefonico sostenuto da due pali, o un arco in un giardino. Qualunque cosa sia, avrà un aspetto significativo.

Ti prego di leggere con attenzione e di ricordare tutto quello che ti dico. Non devi attraversarla.

Se l’attraversi senza accorgertene, non voltarti. Se lo fai sarai perduto. Cammina immediatamente all’indietro.

Lara

La firma era come la ricordava, la prima A era collegata alla L maiuscola. Non lesse il postscriptum (che chiamava PS) sentendo che, se l’avesse fatto, sarebbe morto, letteralmente, che il suo cuore sarebbe scoppiato.

Sotto il tavolino c’era un giornale. 13 marzo, erano trentatré giorni che Lara era andata via. Una notte all’ospedale, o forse due. Diciamo due notti passate all’ospedale, una notte all’albergo con North, una notte all’albergo da solo. Quattro notti per trentatré giorni.

Accese il televisore e capitò su un programma che faceva vedere la ressa per la presentazione della denuncia dei redditi. Il 15 di aprile era l’ultimo giorno utile per presentarla. Come un automa andò all’ufficio postale a ritirare il resto della posta. Il modulo era lì, e il negozio in cui lavorava gli aveva già mandato la documentazione necessaria; era sul tavolo da notte accanto al letto. Il letto era ancora disfatto, ancora spiegazzato dopo la notte passata con Lara quando si era svegliato ormai solo.

Prese il modulo e lo riempì. Non doveva riportare altro che il suo stipendio; in venti minuti lo aveva completato, messo nella busta e affrancato. Quando era andato all’ufficio postale non si era messo il cappotto, ma ora si domandò se era il caso di indossarlo per andare a impostare la denuncia dei redditi. Il pacco di banconote da cinquanta era ancora nella sua tasca destra. Lo prese, domandandosi cosa avrebbe detto l’Ufficio Imposte se avesse saputo che aveva quei soldi. Qualsiasi entrata doveva essere denunciata, anche se si trattava di migliaia di dollari comprati per un centesimo. La carta marroncina che avvolgeva il pacco portava ancora la dicitura sicurpol-trasporto valori, un carattere cinese e il simbolo “dieci centesimi” scritto diligentemente dal signor Sheng con il pennello. Dov’era il signor Sheng ora? E suo nipote, il dottor Pillo-Lin? Su un canale diverso, in un altro programma.

Prese le banconote di Marcella dal portafoglio, le ripiegò e le fermò con un elastico, poi le mise in una tasca del cappotto. Prese le banconote da cinquanta del signor Sheng e le mise nel portafoglio, appallottolò la carta che le avvolgeva e la gettò nel cestino.