Выбрать главу

Si sentiva come un agente internazionale, una specie di James Bond con un’arma automatica mortale nascosta da qualche parte e diversi passaporti. Rise fra sé mentre appendeva il cappotto nell’armadio con la sciarpa drappeggiata intorno al collo e resistette, come sempre, all’impulso di prendere.Tina, esaminarla, baciarla e pettinarle i capelli come aveva fatto la donna nel negozio di abbigliamento.

— Troppo vecchio per giocare con le bambole. — Pronunciò le parole a voce alta, ma in tono indulgente.

Mentre tornava per la seconda volta dall’ufficio postale, sentì freddo, nonostante il gilet e si fermò a comprare un soprabito nuovo. Nei grandi magazzini dove lavorava, o piuttosto dove aveva lavorato, avrebbe potuto usufruire di uno sconto per i dipendenti. Ma i soprabiti erano in saldo, e lo sconto non c’era perché veniva applicato solo sul prezzo pieno, mai quando la merce era in saldo. Il nuovo soprabito era beige, come quello vecchio.

Di ritorno nel suo appartamento, disfece il letto, s’infilò sotto la doccia e si cambiò buttando via i pantaloni bruciacchiati. Sul fondo dell’armadio c’era una vecchia camicia sudicia. Fece un fagotto con le lenzuola, le federe, la camicia, i calzini e la biancheria che si era tolto. Poi si guardò intorno per vedere se Lara aveva lasciato qualcosa.

Ora che ci pensava, Lara aveva con sé molto poco. Due vestiti, ma forse, dato che erano tutti e due verdi, era uno solo che poteva essere indossato in vari modi a seconda delle occasioni, mettendo accessori diversi e così via.

Cercò di ricordare cosa dicevano al Reparto Abbigliamento… accessoriati, ecco cosa dicevano. Gli venne in mente che Lara non avrebbe mai usato una parola del genere e non le sarebbe piaciuta; si rese conto che adesso non piaceva nemmeno a lui.

Era così poco quel che gli rimaneva di Lara. Non c’era niente, non un pezzo di stoffa, nemmeno un rossetto per labbra usato o un pettine. Lara fumava? No, era Fanny che fumava molto, fumava una sigaretta dietro l’altra, pensò. Nell’appartamento i portacenere erano vuoti, pieni solo di polvere.

Prese i panni sporchi, li portò nel seminterrato e li infilò in una delle lavatrici insieme al detersivo granulare che si era procurato da un distributore a gettone. Mentre la lavatrice era in funzione si mise a leggere un giornale che qualcuno aveva dimenticato. Gente innocente moriva in Africa. Nella pagina dei fumetti non c’era più Lolly, sostituita da un nuovo orribile personaggio.

La lavatrice si era fermata. Prese il mucchio di panni bagnati fradici e li mise nell’asciugatrice, la regolò sul programma delicati e inserì le monete.

Una giornalista di un’agenzia stampa, famosa per il suo spirito, pubblicava un’intervista immaginaria al presidente dopo un olocausto nucleare. Il cruciverba chiedeva una parola di sette lettere che significava orso. Nel suo reparto ai grandi magazzini era in corso una grande vendita scontata di registratori. “Comprate un registratore col dieci per cento di sconto, scegliete qualsiasi cassetta per un dollaro”. Immaginò che avessero avuto molto da fare e si domandò come se l’erano cavata senza di lui. Erano in vendita anche personal computer di vecchio tipo, ormai fuori produzione, col quaranta per cento di sconto sul prezzo di listino.

Infilò la biancheria asciutta in una federa e tornò nel suo appartamento. Scoprì che mancavano una camicia e i calzini. Tornò nel seminterrato e controllò tutte e due le macchine, nessuna traccia né della camicia né dei calzini. In qualche modo erano tornati nel loro mondo, pensò. North li aveva comprati all’albergo.

Il gilet era ancora appeso nell’armadio. E così il cappotto, pigiato fra gli altri indumenti nel vano dietro la porta dell’armadio. Non riuscì a trovare il cappello. Lo indossava mentre era in macchina con Fanny fino all’arrivo da Mamma Capini, poi ricordava di averlo appeso al gancio dell’attaccapanni. Ma non riusciva a ricordare se lo aveva ripreso quando erano venuti via. Lo indossava quando era corso dentro la pellicceria? Non lo sapeva, non riusciva a ricordarlo.

L’orologio gli disse che erano le cinque precise. Nell’appartamento c’era da mangiare, ma la roba che stava dentro il frigorifero era sicuramente andata a male, il latte era inacidito e le carote erano diventate molli. La margarina era ancora buona.

Concluse che non se la sentiva di pulire il frigorifero (e il portapane, ora che ci pensava), almeno per quel giorno. Sarebbe andato a mangiare da Mamma Capini e forse…

Forse sarebbe successo qualcosa.

La cravatta era drappeggiata sul paralume. Abbottonò il colletto e annodò con cura la cravatta. Si era imposto la regola di non uscire mai senza cravatta… c’era la possibilità di incontrare uno dei capireparto. Indossò la giacca e il soprabito nuovo.

Dopo aver percorso un isolato vide un calzino nero da uomo nella cunetta e si fermò a raccoglierlo. Non era il suo, ma si ricordò che gli era capitato spesso di vedere indumenti persi o abbandonati in una strada coperta di neve nella città di Lara, una città che era tanto simile eppure così diversa dalla sua. I due calzini erano separati, pensò, a chilometri di distanza l’uno dall’altro. Non sarebbero stati utili a nessuno, a meno che un ragazzino non ne avesse raccolto uno per farci un pupazzo e un vagabondo avesse preso l’altro, incurante del fatto che non si accordava con quello che indossava. La camicia era di buona qualità, una camicia di seta pura. Si augurò che qualcuno la trovasse prima che fosse troppo rovinata, prima che diventasse uno straccio come quelli che aveva visto per strada senza domandarsi da dove arrivavano.

Alla cassa c’era uno dei figli di Mamma Capini. Cercò di capire se era Guido, il figlio con cui aveva parlato nella toilette, ma non ne era sicuro. Tutti i fratelli gli erano sempre sembrati quasi uguali, uomini baffuti che guardavano in cagnesco e che andavano e venivano come fossero clienti; un momento stavano lì sporchi di sugo e un momento dopo erano scomparsi.

— Si sieda dove vuole — gli disse il figlio. — È ancora presto.

Si mise a sedere al tavolo vicino alla vetrata dove aveva pranzato con Fanny. Il suo cappello, se veramente l’aveva lasciato sull’attaccapanni di Mamma Capini, adesso non c’era più. Rivolto alla cameriera, disse: — Verso mezzogiorno ero qui a mangiare con una signora. Lei ha preso una pasta fredda. Non so cosa fosse di preciso, ma sembrava molto buona. Si ricorda di noi?

La cameriera scosse la testa. — Non credo di essere stata io a servirvi, signore.

— Aveva… — cercò di ricordare quanti anni aveva detto di avere Fanny — …circa ventitré anni. Piccola, capelli neri e ricci.

— Forse vi ha serviti Gina, signore. Gina mi somiglia molto.

— Vuole dirle di venire qui, per favore?

— Abbiamo tre tipi di pasta fredda, signore. — La cameriera glieli descrisse. — Sono tutte molto buone.

— Mi trovi Gina — le disse lui.

Se ne andò imbronciata e lui si mise a osservare le targhe delle automobili che passavano. Si stava facendo buio, ma riuscì a decifrarne qualcuna e gli sembrarono perfettamente normali.

Si frugò nelle tasche della giacca con la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Tutte e due le tasche erano vuote e nel taschino c’era solo il fazzoletto, quello rosso che aveva lì da mesi. Il libretto degli assegni stava nella tasca interna. Lo tirò fuori per esaminarlo. L’ultimo assegno portava la data dell’11 marzo. Gli venne in mente che aveva pagato la bambola con un assegno e che la somma era piuttosto alta, ma non riusciva a ricordare quanto e non era sicuro che il suo assegno potesse essere presentato all’incasso da un negozio di un altro mondo, un negozio dei sogni.

— …non c’è — annunciò la cameriera al suo fianco.

Lui alzò gli occhi. — Prego?