— Ho detto che Gina non c’è. Ho guardato dappertutto. — La cameriera si scostò una ciocca di capelli dalla fronte nel tentativo di sembrare stanca e accaldata senza essere né l’uno né l’altro. — Ed è pure ora di cena.
— Ma può farlo? Voglio dire, andarsene così?
La cameriera si chinò verso di lui. — Gina scopa Guido, e può fare il cavolo che vuole.
— E Guido c’è? — Lanciò un’occhiata verso la cassa, ma non vide nessuno.
— No, Guido se n’è andato. Non c’è quasi mai all’ora di cena. Cosa vuole ordinare?
Ordinò una delle paste fredde e la cameriera si allontanò. Dopo un minuto o due, riprese il libretto degli assegni dalla tasca interna della giacca, chiedendosi cosa poteva fare mentre aspettava che gli portassero da mangiare. Era venuto qui per anni, quasi sempre da solo come adesso e sicuramente aveva sempre fatto qualcosa. Quando Lara viveva con lui aveva sempre qualcosa da fare, qualcuno con cui parlare.
Mamma Capini spostò la sedia vuota e si mise a sedere. — Ehi, che succede? Non ha mangiato abbastanza a pranzo? Se me lo diceva, le preparavo il pane all’aglio.
Lui domandò: — Si ricorda la ragazza che era con me a pranzo, Mamma?
Mamma Capini si baciò la punta delle dita. — Certo. State per sposarvi?
— Se viene, mi avverte?
— Certo!
— E si ricorda di Lara? Mi avverta se viene Lara. Specialmente se viene lei.
— Certo. Ma è in cerca di una ragazza?
— Sto solo cercando queste persone. E mi avverta anche se vede quell’uomo grande e grosso e sua moglie, la signora col vestito rosso.
Si gingillò con la sua pasta fredda per un’ora e mezzo, bevve un espresso e due amari. Non vide nessuno che conosceva e non accadde nulla.
Alla fine pagò il conto. Controllò il resto, erano soldi reali e non aveva visto nessuna banconota con strane immagini neppure nella cassa. L’uomo a cui pagò il conto era quello che gli aveva detto che Guido era pazzo, quello più grosso e più vecchio di Guido. Mentre si trascinava verso il suo appartamento si domandò distrattamente dove fosse andato Guido. Era stato attirato nell’altro mondo? E se era così, c’era già stato? Forse anche Gina veniva da lì; se i clienti potevano attraversare la porta provenendo da un altro mondo, come avevano fatto Joe e Jennifer, era abbastanza probabile che una cameriera in cerca di lavoro potesse fare la stessa cosa.
Di ritorno al suo appartamento, mise uno dei suoi pezzi preferiti sul giradischi, ma scoprì che la musica che una volta lo aveva affascinato, ora gli sembrava brutta e sgradevole. Accese il televisore. Dopo circa un’ora, si rese conto che non aveva idea di che spettacolo si trattasse e perché lo stesse guardando.
21. I grandi magazzini
Aveva completamente dimenticato che il negozio era così nuovo e lustro. L’esterno era rivestito di pietra calcarea e la società lo faceva sabbiare ogni due anni. Le grandi vetrine bombate erano profilate d’ottone e venivano lavate ogni mattina dal personale della manutenzione che lucidava anche le cornici fino a farle brillare come se fossero d’oro.
— Non hanno ancora aperto — gli disse una donna grassa, ferma a guardare un prendisole esposto in una delle vetrine.
— Io lavoro qui — disse lui sperando che fosse ancora vero. Il negozio avrebbe aperto alle nove e mezzo in punto, ma gli impiegati del primo turno dovevano timbrare il cartellino alle otto e mezzo. Adesso erano le otto e tre minuti. Girò sul retro e salì i gradini di cemento dell’entrata del personale, dove c’era di guardia Whitey incaricato di controllare che nessuno timbrasse il cartellino per un altro collega.
— Salve — disse Whitey. — Ha fatto una bella vacanza?
Lui annuì. — Mi sembra di essere stato via solo un paio di giorni.
Veramente gli sembrava e non gli sembrava. Non era cambiato niente, solo lui era cambiato.
Resistette alla tentazione di dare un’occhiata al suo reparto e prese l’ascensore fino agli uffici amministrativi. Mentire o dire la verità? Decise di dire la verità, era un pessimo bugiardo e non sarebbe riuscito a inventare una storia che spiegasse la sua lunga assenza.
L’altro problema era: doveva andare dal signor Capper o all’Ufficio Personale? Capper era (o era stato) il suo caporeparto e se l’avesse sostenuto, l’Ufficio Personale non avrebbe potuto toccarlo. D’altra parte, se Capper fosse stato infuriato — il che era molto probabile — il direttore del personale se la sarebbe presa a male perché non si era rivolto prima a lui e si sarebbe opposto a un suo trasferimento.
All’Ufficio Personale inoltre c’erano maggiori possibilità di trovare qualcuno perché Capper poteva essere nel suo ufficio, ma anche in giro per il reparto a controllare il rifornimento della merce. Anzi, poteva addirittura non essere ancora arrivato.
Seduta alla scrivania, Ella si stava mettendo lo smalto alle unghie. Disse: — Ehi, ciao!
Nella stanza c’erano delle sedie pieghevoli per gli aspiranti impiegati. Lui si mise a sedere in quella più vicina alla scrivania. — Sono tornato — le disse.
— Già… — esitò. — Il signor Drummond non è ancora arrivato.
— Lo aspetterò.
— Ti ho segnato in malattia per una settimana. — Anche se erano soli, Ella aveva abbassato la voce. — Poi Drummond mi ha detto di telefonarti. Una volta è perfino venuto nel tuo appartamento di notte e ha suonato il campanello, ma ha detto che non ha risposto nessuno.
— Ero via. Sono tornato ieri e mi sono reso conto di essere stato via a lungo. L’appartamento era pieno di polvere, ci crederesti?
— Hai avuto un’amnesia?
— Non credo. Mi ricordo due notti: una passata in un ospedale e una, anzi due, in una stanza d’albergo. — Non sapendo cos’altro aggiungere disse: — La stessa stanza.
Ella si chinò in avanti e allungò una mano verso di lui. Lui notò quanto somigliasse a Fanny, ma forse non si ricordava più che aspetto aveva Fanny. Ella disse: — Sei stato via più d’un mese.
Lui annuì. — Penso di sì.
Senza rendersene conto anche lui aveva allungato la mano e quando Ella gliela toccò si accorse della fasciatura. — Ma che cosa ti è successo? Anche in faccia… hai una scottatura sulla guancia e una sulla fronte.
— Sono quasi guarito — disse lui. — Non erano molto profonde.
— Hai avuto un incidente? Che ti è successo?
Lui annuì di nuovo. — Stavo in un negozio cinese… quello del signor Sheng. Nello scantinato c’erano dei fuochi d’artificio che hanno preso fuoco. Credo che sia stato un tipo di nome Bill North, perché in quel momento North stava lì sotto e poi fuma sigari. — Anche se si rendeva conto che non avrebbe dovuto, sorrise. — Stavo bevendo il tè col signor Sheng e suo nipote, quando all’improvviso su dalle scale è arrivato un razzo che ha colpito la parete di fronte ed è entrato nella stanza dove ci trovavamo. Eravamo terrorizzati. Poi credo che abbiano preso fuoco altri razzi, perché l’unica cosa che ricordo è che stavo seduto in mezzo alla strada con le orecchie che mi pulsavano e un poliziotto e un infermiere curvi sopra di me. Mi hanno detto che avevano portato il signor Sheng all’ospedale su un’autoambulanza, ma…
Drummond entrò nella stanza, fece un cenno a Ella poi, vedendolo, sollevò un sopracciglio e sorrise.
Ella disse: — Buongiorno, signore.
Drummond entrò nel piccolo ufficio dietro la scrivania di Ella e chiuse la porta.
Ella sussurrò: — Adesso vado da lui e gli parlo. Tu aspetta qui, d’accordo?
Lui annuì e rimase a osservarla mentre entrava nell’ufficio di Drummond. Era più in carne di Fanny, pensò.
Meglio così, se non altro. Aveva i capelli castani, Fanny invece li aveva neri, ne era sicuro. Naturalmente nessuna donna era o poteva essere come Lara, e lui non avrebbe mai scambiato nessuna per lei. Si era accorto subito che Marcella era Lara, anche se Marcella era bionda, o almeno così sembrava. Infatti, non si può mai essere sicuri quando si tratta di immagini in bianco e nero o di ritratti fatti da un artista di seconda categoria.