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Una donna ossuta con un ciuffetto di barba uscì a passo di marcia dallo studio del dottore, attraversò la sala d’aspetto come se loro fossero invisibili, e se ne andò. La donna dai denti di coniglio, con cui aveva parlato il giorno in cui aveva scoperto che Lara se n’era andata, guardò attraverso la porta, lo vide e disse: — Prego, signor Green, entri pure.

Il ragazzo grasso si alzò in piedi. — Ma insomma, un momento!

La donna dai denti di coniglio gli disse in tono calmo: — Il caso del signor Green è urgente, signor Bodin. Mi riservo il diritto di vedere i miei pazienti nell’ordine che ritengo opportuno.

Lui disse: — Fra un momento, dottoressa, le dirà che ho preso questa penna dalla scrivania della sua segretaria. — Sollevò la penna in modo che lei potesse vederla. — Ho pensato che forse avrei avuto voglia di prendere nota di quello che dicevamo e mi sono accorto di aver dimenticato la mia penna a casa.

— Non si deve preoccupare, signor Green. Vuole entrare?

Lo studio era più piccolo di quello di Drummond e arredato con più semplicità. Aspettò che la donna si sedesse, si accomodò su una sedia e poi disse: — Che mi sta succedendo dottoressa?

— Non lo so, signor Green. È quello che stiamo cercando di scoprire.

— Sono già venuto da lei altre volte?

Lei annuì.

— Spesso?

— Ha importanza?

— Per me sì. Molta. Spesso?

La dottoressa sfogliò i documenti dentro la cartelletta davanti a lei. — Questa è l’ottava volta. Perché è così importante?

— Perché io mi ricordo di essere venuto una sola volta.

Lei corrugò la fronte. — Interessante. E quando? — Il 14 marzo. Si ricorda cosa le ho domandato quella volta?

— Durante le visite prendo sempre appunti. Lei stava cercando una donna di nome Lara Morgan. L’ha trovata?

— No. Ha una foto di Lora Masterman?

— Se l’avessi, signor Green, non gliela mostrerei. La signora Masterman non lavora più qui e non voglio che sia importunata dai miei pazienti.

— Se n’è andata piuttosto all’improvviso — disse lui. — Le ho parlato quando ho telefonato dal negozio. Mi ha tenuto in linea per circa dieci minuti, prima di farmi parlare con lei. Quando sono arrivato qui, se n’era andata.

La dottoressa annuì ancora. — È vero, se n’è andata senza preavviso, signor Green. Comunque le sue dimissioni sono un problema mio, non suo.

— Mi dica una cosa e non le farò più alcuna domanda su di lei. Lora corrisponde alla descrizione che le ho fatto di Lara quando sono venuto da lei in marzo?

— Deve farmi una promessa solenne, signor Green.

— Va bene, le do la mia parola d’onore che se risponde a questa domanda non le chiederò più nulla su di lei.

La dottoressa annuì. — D’accordo, allora. Mi faccia rileggere quello che aveva detto. — Esaminò il foglio che aveva davanti. — Lei ha detto che Lara Morgan aveva i capelli rossi ed era alta un metro e settantacinque. Ha detto anche che aveva le lentiggini. Indossava un vestito verde, di seta o di nailon e gioielli d’oro. No, signor Green, questa descrizione non corrisponde affatto a Lora.

Lui si piegò in avanti sulla dura sedia di legno. — Si tratta solo del colore dei capelli? Perché…

— Signor Green, lei mi ha dato la sua parola che non mi avrebbe fatto più domande qualora le avessi detto se l’aspetto di Lora corrispondeva o meno alla sua descrizione. Io le ho detto che non corrisponde. Il mio tempo è limitato, e ci sono pazienti che stanno aspettando di vedermi… pazienti che stavano aspettando ancor prima che lei venisse qui.

Lui annuì e le porse la penna di Lora Masterman. — Deve farmi un biglietto dove dichiara che sono venuto da lei, altrimenti non mi riprendono al lavoro. Se me lo fa, me ne vado.

— Non glielo farò, almeno non subito. Lei, come mi ha promesso, non ha più domande da farmi, almeno per quanto riguarda Lora, ma io ne ho molte da fare a lei. La prima è: perché è venuto da me oggi? Ma a questa mi ha appena risposto. La seconda è: perché devo farle questo biglietto? Non è andato a lavorare durante gli ultimi tempi?

Lui scosse la testa. — No. L’ultima volta è stato il 13 marzo, il giorno prima di venire qui.

— E in tutto questo tempo lei è stato alla ricerca, mi pare infruttuosa, di questa Lara Morgan?

— Sì.

— Capisco. — La dottoressa Nilson annotò qualcosa sul suo taccuino. — Mi dia la prova che Lara Morgan esiste, signor Green.

— Va bene, gliela darò se prima lei mi dà la prova che esisteva Lora Masterman.

La dottoressa Nilson lo fissò per qualche secondo poi un leggero sorriso le piegò le labbra. — Lei è molto migliorato o molto peggiorato, signor Green, e le giuro che non so nemmeno io quale delle due ipotesi sia quella giusta. Lei è un’indovinello nascosto in un enigma. Mi sembra di ricordare che Winston Churchill si espresse così a proposito della Russia.

— Può darmi questa prova?

— Sì, certo. E si dà il caso che possa farlo con una certa facilità. C’è un avvocato che lavora qui da poco a tempo pieno. Circa due settimane fa, ha comprato una nuova macchina fotografica e per provarla si è messo a scattare fotografie. Quella che ha fatto a Lora e a me è venuta così bene, almeno secondo lui, che ce ne ha fatta una copia ciascuna. — La dottoressa Nilson aprì un cassetto della scrivania. — La mia copia è ancora qui.

Gli porse una busta marrone dodici per diciotto con la scritta CANDID CAMERA SHOPS.

— No!

— No, che cosa, signor Green?

Lui non rispose.

— Non vuole vedere la foto?

— Non c’è nessuna foto lì dentro — disse lui. — O se c’è non è di Lara. Lora. — Non si rendeva conto di come facesse a saperlo, ma lo sapeva.

— Lei ha ragione quando dice che non è la foto di Lara Morgan, ma è quella di Lora Masterman. Anzi, la stavo guardando solo qualche minuto fa, dopo che Lora se n’è andata così all’improvviso. Era la migliore segretaria che avessi mai avuto.

Tirò fuori dalla busta una fotografia e gliela mostrò. Si vedeva la dottoressa nella sala d’aspetto con un braccio intorno alle spalle di una ragazza bruna e sorridente seduta alla scrivania. Su una semplice targhetta di plastica, appena visibile sul lato destro della foto, si leggeva LORA MASTERMAN.

— Ecco qui, signor Green. Niente lentiggini, pochi gioielli, nessun vestito verde di seta… o almeno io non gliel’ho mai visto… e nessuna pelliccia. Capelli castani, e non rossi. Occhi castani, non verdi.

Lui annuì lentamente. — È Tina.

— Tina?

— Tina è uno dei nomi che lei usa. Quando ha questo aspetto, si fa chiamare Tina.

— Capisco. — La dottoressa Nilson pronunciò le parole in tono indifferente. — Può spiegarmi perché cambia nome?

— No — disse lui. Poi aggiunse: — Qualcosa posso spiegare, ma poco. Ho pensato molto a lei.

— L’avevo capito.

Lui disse lentamente: — Ha mai guardato il cielo di notte, dottoressa?

— Sì, spesso. Ma non tanto quanto avrei voluto. La città è così illuminata che le stelle si vedono raramente. Ma lo scorso inverno c’è stato un oscuramento improvviso… forse se lo ricorda… e io sono rimasta sulla terrazza fino a quando ero quasi congelata.

— E lei sa quanto sono lontane.

— Vagamente. Non sono un’astronoma.

— Una volta alla televisione ho visto Carl Sagan che diceva che molte stelle sono così lontane che ci vogliono milioni di anni perché un raggio di luce arrivi fino a noi, e la luce è la cosa più veloce che ci sia. Si è mai domandata perché Dio le ha messe così lontano?

— Credo che tutti se lo siano domandato, signor Green.