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Il suo avversario girò la scacchiera. — A te la prima mossa.

Lui annuì e mosse un pedone a caso. Il pedone della regina nera avanzò di due caselle. Lui mosse il suo alfiere. — Ma noi ci conosciamo? — domandò.

— Non credo.

— Forse ci siamo conosciuti un po’ di tempo fa — disse, e aggiunse: — Fuori di qui — anche se non ne era proprio sicuro.

— Forse — disse il suo avversario. — Mi hanno fatto l’elettroshock, capisci di cosa parlo? Ti fa dimenticare un sacco di cose. — Sollevò tutte e due le mani per mostrargli i segni rossi sulle tempie. — E a te?

— Non ancora.

— Ma te lo faranno, eh?

— Credo di sì.

— Non fa male. Molti pensano che faccia male, ma non è vero. Di’ un po’, ma tu mi pare di vedere che i segni ce li hai già.

Quando finirono di giocare, il suo avversario si mise al piano e suonò una vecchia canzone. “Il vero amore”, cantando la melodia stonata con una voce rauca e gradevole. Fu solo la sera, sdraiato nel suo stretto lettino da ospedale con le mani dietro la nuca, che identificò nel suo avversario il paziente che lo aveva mandato da Walsh a raccontargli di un tipo e di una tipa che avevano fatto una certa cosa. Ma non riuscì a ricordare i nomi.

C’era una donna con i capelli tinti e una faccia lunga che era molto interessata a sapere cosa lui pensava del sesso. Poi c’era un indiano che gli spiegava perché fosse tanto più facile guarire per le persone che credevano negli spiriti. C’era uno stanco dottore di mezza età, di cui qualche volta riusciva a ricordare il nome, e c’era la dottoressa Nilson, che a volte dimenticava come si chiamava.

Poi c’era l’erba da tagliare e il giardino da ripulire dalle erbacce, i prati da rastrellare, le foglie color ruggine, marrone e dorate da bruciare e c’era la neve da spalare. Per fare tutti questi lavori gli avevano dato una giacca calda e un paio di guanti, dono di una persona gentile che aveva lasciato un bossolo calibro 22 nelle tasche della giacca.

A volte, di notte, si domandava che cosa era successo all’ospedale dove lo avevano portato con il furgone e certe volte era sicuro di trovarsi di nuovi ai Riuniti. Una volta domandò a un coreano glabro notizie dei Riuniti e del dottor Pillo-Lin; il coreano glabro, cioè il dottor Kim, si limitò a ridacchiare.

C’era un inserviente che era gentile con lui, ma un giorno che si trovavano dietro la caldaia nel locale dell’impianto di riscaldamento, voleva fargli fare qualcosa che lui non voleva fare. Fu quel giorno che, mentre tornava da solo verso l’edificio principale, gli venne in mente che si trovava lì per un ricordo che, forse, dopotutto, era solo un sogno.

Durante il colloquio seguente, domandò al dottore indiano se avevano scoperto che cosa gli era successo mentre era fuori.

— Ma non lo sa? — gli chiese l’indiano. — Perché non ce lo racconta lei?

Lui scosse la testa e disse che vedeva solo il vuoto. Osservò soddisfatto il dottore indiano annotare qualcosa sul suo taccuino con espressione altrettanto soddisfatta.

Aveva perso il suo appartamento, ma il negozio gliene aveva procurato un altro migliore. Il suo vestiario e i suoi mobili erano stati messi in un magazzino e fu piacevole vedere le sue vecchie cose sorridergli mentre le tirava fuori dagli scatoloni e le disponeva nei nuovi locali e, poiché era estate, lasciò alcuni indumenti invernali negli scatoloni. L’affitto dell’appartamento comprendeva anche la possibilità di usare un locale seminterrato: mise le etichette sugli scatoloni secondo le istruzioni dell’amministratore della casa che lo aiutò a portarli nel seminterrato e a chiudere la porta a chiave.

Alcune delle persone che lavoravano al negozio erano andate via, altre c’erano ancora. Sollecitati dal signor Capper — come venne a sapere in seguito — alcuni colleghi organizzarono una cena di benvenuto in suo onore, un martedì sera dopo l’orario di lavoro. Lui era l’ospite d’onore, gli altri pagarono la loro quota e parte della sua. Non erano in molti, oltre a lui circa dodici persone, ma lui era contento ugualmente, anche perché scoprì che riusciva a ricordare i nomi della maggior parte di loro.

A un certo punto della cena, quando quasi tutti avevano terminato la pietanza e i camerieri aspettavano che anche gli altri finissero per servire il dolce, una donna, che poteva essere Lara, apparve nell’atrio uscendo da una saletta privata. Fu tentato di dire qualcosa o di chiamarla, ma non lo fece. Più tardi, si scusò e andò in bagno. Tenne gli occhi aperti, ma non osò guardare dentro le altre salette private e non vide nulla.

Il giorno seguente fece il suo rientro effettivo al lavoro. Era stato trasferito dal Reparto Personal Computer — dove le vendite in quel periodo erano diminuite — al Reparto Arredamento ed Elettrodomestici dove aveva già lavorato. Continuò a sentirsi un po’ insicuro fino a quando la sua prima cliente comprò un divano e un tavolo da tè. Da quel momento si sentì completamente a suo agio.

Il capo del Reparto Arredamento ed Elettrodomestici, che era quindi anche il suo capo, si chiamava Bud van Tilburg. Lui lo chiamava “signor van Tilburg” e gli rivolgeva sempre la parola con un sorriso. Solo alcune settimane dopo collegò il suo trasferimento al fatto che il signor van Tilburg era amico del signor Drummond. Allora entrò nell’ufficio del signor van Tilburg e gli chiese da uomo a uomo di dirgli se considerava il suo rendimento sul lavoro soddisfacente. Il signor van Tilburg richiamò al computer le cifre che riguardavano le vendite effettuate da ciascun commesso del reparto e gli dimostrò che lui aveva superato tutti e aveva distanziato il secondo in classifica di più di mille dollari. — Anche lei qui è stato il colpo migliore che abbia fatto negli ultimi due anni — disse il signor van Tilburg.

Da quel giorno cercò di fare ancora meglio. Quando aveva lavorato in quel reparto per la prima volta, non si era reso conto che nel campo dell’arredamento si potevano imparare un mucchio di cose come nel campo dei computer e dei videogames.

Eppure era proprio così. C’erano tanti tipi diversi di tappezzerie, di imbottiture, di rifiniture e di metodi di fabbricazione. Per non parlare degli stili: Chippendale, Regina Anna, Vecchia America, Classico, Giacobita, Rinascimento Italiano, Ottocento Italiano, Enrico IV, Luigi XIII, Rinascimento Francese e così via. Li imparò tutti, consultò i libri della biblioteca, osservò con attenzione le immagini e memorizzò quello che dicevano gli esperti. Imparò a distinguere il rovere rosso da quello bianco, il rovere bianco dall’acero, l’acero dal noce, il noce dal noce americano, il noce americano dal teck e perfino il legno di rosa falso dal vero legno di rosa del Brasile.

Venne il giorno in cui, mentre tornava a casa a piedi, si rese conto di essere riuscito a vendere qualcosa a ogni cliente che si era rivolto a lui. Questa scoperta gli dette una sensazione di felicità che durò fino al momento di andare a letto e di cui c’era ancora traccia il mattino dopo mentre si preparava il caffè e mangiava la brioche.

Per raggiungere il suo nuovo appartamento doveva attraversare il parco, ma per quanto lo riguardava esistevano solo due stagioni: la primavera, quando il reparto esponeva l’arredamento per giardini e terrazze, e naturalmente il periodo natalizio. A volte nel parco c’erano le giunchiglie, a volte i crisantemi. A volte c’era la neve (nessuno spalava i sentieri) e lui indossava gli alti stivali imbottiti che aveva comprato con lo sconto al Reparto Calzature Uomo e Donna e portava le scarpe da lavoro in una borsa di carta.

Passarono così tre periodi natalizi che cominciavano in ottobre e finivano ai primi di dicembre. Un giorno di febbraio parlò per quasi un’ora con un uomo grasso di circa sessant’anni che sembrava interessato a uno scaffale per libreria. L’uomo grasso se ne andò senza aver comprato nulla, e appena fu uscito arrivò trafelata Bridget Boyd del Reparto Piccoli Elettrodomestici. — Sai chi era quello?