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— Anch’io ne sono sicura — disse Tina. — Adesso va’ avanti a leggere.

— Ben presto Jacob finì il suo racconto. Scrisse l’indirizzo su una busta e quella notte Joseph andò a piedi al villaggio per impostarla. Poi Jacob scrisse un altro racconto e poi un altro ancora, ma dalla Gazzetta della Foresta Nera non arrivò nessuna lettera di risposta. Quando le ultime foglie erano ormai cadute, Joseph comprò quante più provviste poté. Arrivò l’inverno e la neve era alta fino alle ginocchia. Allora Joseph si fece delle racchette da neve e ogni giorno si copriva meglio che poteva e andava a caccia. Uccise così molti daini e il giorno di natale i due fratelli fecero festa con una pernice.

Tina si infilò i jeans che lui le aveva comprato nel negozio di giocattoli. — Adesso sono pulita — annunciò. — Possiamo cominciare con i cassetti, ma tu devi aprirli e mi devi tirare su.

Lui la portò in camera da letto e decise di procedere con ordine, così aprì il primo cassetto a sinistra del cassettone. — Puoi cominciare da qui — le disse. — Ma non credo che troverai altro che fazzoletti.

Lei saltò giù dal palmo della sua mano. — Mi piacciono i tuoi fazzoletti, sono così puliti. Adesso va avanti a leggere.

Lui si mise a sedere sul letto e cercò una posizione comoda. — Ma c’erano giorni in cui Joseph non riusciva a cacciare niente e i due fratelli cenavano con zuppa di piselli e acqua, perché i piselli secchi, l’acqua e la legna da ardere erano le uniche provviste che rimanevano. In quei giorni Joseph riempiva fino all’orlo la scodella di Jacob e per lui prendeva solo qualche cucchiaiata. Ma un giorno, vedendo quanti pochi piselli secchi erano rimasti, decise di darli tutti a Jacob e di non prendere nulla per sé, perché si rimproverava di essere tornato con il carniere vuoto. Prese la scodella di Jacob e un cucchiaio, riempì due tegami di neve e versò tutti i piselli secchi in uno solo, poi li mise sul fuoco. In quel momento Jacob disse “Fratello, sto lavorando sodo a un nuovo racconto, guarda fuori dalla finestra per me”. Joseph guardò fuori e con sua grande sorpresa vide una bella slitta tirata da quattro…

Tina gridò: — Guarda! — Aveva in mano un oggetto sottile, scuro e informe, attaccato a un cordoncino rosso.

— Che cos’è? — domandò lui.

— Non lo sai? L’ho trovato nel tuo cassetto.

Lui prese l’oggetto e l’avvicinò alla luce. — È una radice — disse. Immediatamente davanti ai suoi occhi si materializzò il negozio del signor Sheng, con tutte le sue strane scatole d’incenso, i cavalli di carta, gli anelli di gas azzurrino e le teiere fumanti.

— È un amuleto magico — disse a Tina.

— Veramente magico?

— L’uomo che me l’ha dato ha detto proprio così.

— Può farti diventare piccolo come me?

— Temo di no.

Tina si mise a sedere sul bordo del cassetto dondolando le gambe snelle nel vuoto che per lei rappresentava un abisso. — Non ci speravo veramente, ma possiamo far finta. Ti potrebbe far diventare invisibile?

Lui scosse la testa. — Doveva servire per farmi arrivare posta.

— Funziona?

— Non lo so. Quando sono tornato c’era un sacco di posta, ma ero stato via un mese.

— Potrebbe fare arrivare una slitta con le renne come quella del racconto?

— Non credo che fossero renne. — Dette un’occhiata al libro. — No, erano cavalli da tiro.

— Non capisco, che significa?

Lui ci pensò su un momento. — Sono come i pony — Tina sicuramente conosceva i pony. — Ma sono molto più grossi. No, non credo che l’amuleto riuscirebbe a far apparire una slitta.

— Non te lo metti al collo?

— Veramente non ne avevo proprio l’intenzione.

— È la prima cosa che sono riuscita a trovare… o almeno, la prima cosa vera perché tu non hai nemmeno raccolto la moneta e il bottone. E poi, se non lo indossi, come fai a sapere se funziona?

— Oggi il postino è già venuto — le fece presente lui.

— Allora, se ti arriveranno altre lettere o qualche altra cosa, capirai che è veramente un amuleto magico.

Non gli capitava spesso di avere intuizioni improvvise, ma in quel momento ne ebbe una, e cioè che stava discutendo di una radice magica con una bambola. Si arrese con un cenno di assenso e si legò l’amuleto intorno al collo.

— Joseph guardò fuori dalla finestra e con sua grande sorpresa vide una slitta trainata da quattro pony bianchi. “Cosa vedi?”, gli chiese Jacqb. “Vedo una magnifica slitta”, rispose Joseph. “È tutta scintillante di oro ed è ornata di campanelli tintinnanti”. “Ah, continua ti prego!”, disse Jacob. “Raccontami ancora, fratello caro”. “Un cocchiere imponente con un cappello di pelo e una pelliccia marrone, fa schioccare una lunga frusta nera sulla groppa dei pony. Accanto a lui siede un valletto con una giacca scarlatta… sembrano l’orso e la scimmia di un circo. Sulla slitta c’è una donna con una pelliccia bianca”. “Splendido!”, esclamò Jacob, e la sua penna danzò sulla carta così in fretta che lui non sembrò sentire il tintinnio dei campanelli della slitta che si fermava davanti alla loro casetta.

— Apri quest’altro cassetto — gli ordinò Tina. — E quando io salto giù, puoi richiudere il primo. Secondo me è la redattrice della Gazzetta della Foresta Nera.

Lui aprì il cassetto dove stavano i suoi calzini. — Forse. — disse.

— Joseph capì che la donna era una principessa e s’inchinò fino a terra “Sei tu Jacob?”, domandò lei. “L’editore del nostro giornale mi ha mandato tutti i tuoi racconti perché sa che sono proprio il genere di storie che mi piacciono. Io gli ho ordinato di non dirti nulla fino a quando non ti avessi ricompensato”. “No, altezza”, rispose l’onesto Joseph. “È mio fratello che scrive i racconti. Se aspettate un momento, lo porterò fuori perché vi presenti i suoi rispetti”. “Non è necessario”, disse la principessa. “Sarò io a presentare i miei rispetti a lui”. Ma quando Joseph si affrettò ad aprire la porta, si accorse che Jacob era già sulla soglia. “Altezza”, disse Jacob, “quello che vi ha detto mio fratello non è del tutto vero. È lui che inventa le mie storie. Io, come potete vedere, sono cieco e non faccio altro che metterle sulla carta”.

— È una storia triste — disse Tina. — Certe volte le favole somigliano troppo alla vita reale. Però mi è piaciuta molto.

Lui annuì e chiuse il libro. — Anche a me.

Si sentì bussare alla porta.

29. Magia!

Si sentì bussare di nuovo e una voce, attutita dallo spessore della porta, annunciò: — Servizio postale.

— Subito! — disse lui e aprì.

Il fattorino era un uomo basso e scuro e sembrava irritato. — Questo è l’interno 7C?

Lui fece cenno di sì.

— Ecco. Vuole che gliela lasci qui fuori o che gliela porti dentro? — Parlava di un’enorme cassa su un carrello a mano.

— È per me? — domandò lui.

— Questo è l’interno 7C? La cassa è per l’interno 7C.

— Ma io non aspettavo…

Il fattorino ringhiò: — Si chiama Green?

— Sì, ma…

— Vuole che la scarichi dal mio carrettino e gliela lasci nel corridoio?

Lui scosse la testa. — Penso che sia meglio se la porta dentro.

Il fattorino afferrò i manici del carrello e con visibile sforzo li piegò all’indietro, in modo che il centro di gravità della cassa fosse perpendicolare all’assale. — Doveva vedermi caricare questo maledetto coso sull’ascensore. Sarebbe morto dal ridere. In genere per roba come questa ci vuole un montacarichi.

Lui chiese: — Chi la manda?

— Accidenti, non lo so. C’è scritto da qualche parte sulla cassa.