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— A che ora esci per il pranzo?

— A mezzogiorno.

— Sarò lì a mezzogiorno meno un quarto.

— Bene. Grazie, signor Green. Arrivederci.

Un leggero clic mise fine alla conversazione. “Avrei dovuto chiederle dove abita”, pensò. A che sarebbe servito?

Lei non gli avrebbe certo detto la verità.

Tina domandò: — Hai intenzione di regalarmi a una bambina? Non ha già un’altra bambola?

— Non lo so — le disse lui. — Ma non ti preoccupare, non credo che questa bambina esista davvero. Comunque, se ha già una bambola, sicuramente non è una bambola come te.

Riattaccò il telefono, si avvicinò alla cassa e afferrò con tutte e due le mani un’estremità dell’assicella centrale. Gli sembrò che il legno gli ferisse i palmi, poi che la camicia… no, i muscoli della schiena si strappassero e si lacerassero in brandelli per lo sforzo e per il dolore. I chiodi cominciarono a cedere squittendo, come topi tirati fuori dalle loro tane. L’ultimo si arrese all’improvviso, mandandolo quasi a gambe all’aria.

Tina emise un fischio simile a quello di un bollitore in miniatura. — Non immaginavo che tu fossi così forte!

— Nemmeno io — ammise lui. Sbirciò attraverso l’apertura che si era creata. L’oggetto che s’intravedeva all’interno era ruvido, quasi nero.

— Pensi di tirar via tutte le assicelle così?

Lui scosse la testa. — No. Con quella ce l’ho fatta, ma non credo che ci riuscirei ancora.

— Non lasciarla lì — lo avvertì Tina. — Potresti camminare sopra a un chiodo. Appoggia l’assicella contro il muro.

— Hai ragione.

— Dove stai andando?

— In cucina, a prendere un cacciavite.

— Prima voglio farti vedere una cosa. Vieni qui, per favore.

Lui si sedette sul divano accanto a lei.

— Adesso faccio una magia. Metti la mano qui dentro. — Qui era la tasca del cappotto. — Cosa senti?

— Niente — disse lui. — È vuota.

Lei alzò il braccìno in gesto drammatico. — Ora guarda cosa è capace di fare la Meravigliosa Tina! — Si infilò a testa in giù nella tasca, come avrebbe fatto una ragazza normale sotto le coperte del letto. Un attimo dopo uscì di nuovo. — Adesso, metti di nuovo la mano qui dentro.

Lui ubbidì e tirò fuori un sottile pacchetto di banconote. Tina scoppiò a ridere battendo le mani.

— Come hai fatto?

— Be’, tu te ne stavi lì a parlare col fattorino e non potevi mettermi in un altro cassetto, poi mi sono detta che sicuramente avresti avuto voglia di vedere cosa conteneva la posta magica… e anch’io sono curiosa di scoprirlo.

— La posta magica?

— Sì — disse Tina in tono deciso. — La posta magica.

Insomma, non sapevo cosa fare e poi ho visto il tuo cappotto appoggiato sul divano.

Impaziente, lui le chiese: — Ma perché quando ho infilato la mano per la prima volta, la tasca era vuota?

— Guardala bene alla luce e te ne accorgerai.

Lui si spostò all’estremità del divano, vicino alla lampada da tavolo, si mise il cappotto sulle ginocchia e alzò al massimo l’intensità della luce. Osservò l’interno della tasca e si accorse che era doppia.

— È una tasca a doppiofondo — gli disse Tina tutta contenta. — Solo che l’aletta era scivolata all’interno e nascondeva l’apertura posteriore. Quando mi sono infilata dentro, ho sentito che dall’altra parte c’era qualcosa, così ho guardato per vedere di che si trattava.

Lui annuì lentamente. — Me ne sarei dovuto accorgere da solo.

— Tu cercavi qualcosa sul fondo della tasca, non dall’altra parte.

Lui annuì di nuovo. — Grazie, Tina.

— Sono proprio questi i soldi che cercavi?

— Credo di sì. — Il fascio di banconote era tenuto fermo da un elastico ormai indurito. Lui lo tolse e lo gettò in direzione del cestino della carta straccia, con gli occhi fissi sulle banconote. Erano cinque biglietti da cento, tre da cinquanta, uno da dieci e due da uno, del tutto simili a quelli a cui era abituato, ma i volti raffigurati erano di donne. Nel portafoglio aveva una banconota da cinquanta, la tirò fuori e la confrontò con quelle appena ritrovate. I disegni ornamentali e lo stile dei caratteri erano leggermente diversi. Sul biglietto da cinquanta con l’immagine del generale Grant si leggeva: BANCONOTA DELLA RISERVA FEDERALE. Invece sugli altri c’era scritto: CERTIFICATO AUREO — VALORE NOMINALE CONVERTIBILE A VISTA E AL PORTATORE.

Mise giù i soldi, colpito da un’idea improvvisa. — Riusciresti a infilarti in quella cassa come hai fatto nella tasca del cappotto?

Lei guardò dubbiosa la cassa. — Penso di sì.

— Ma certo che ce la farai. Prima forse no, ma adesso che ho tolto un’assicella, lo spazio per entrare c’è.

— Va bene — disse Tina in tono deciso. — Tirami su.

Lui rimise la banconota da cinquanta con l’immagine di Grant nel portafoglio e appoggiò le altre sul tavolo, poi sollevò Tina fin sul bordo della cassa vicina all’apertura. Lei disse: — Com’è buio lì dentro! Non hai una torcia elettrica o qualcosa del genere?

— No, ma posso avvicinare la lampada da tavolo in modo che illumini l’interno.

Lei fece un cenno con la testa: — Penso che sarebbe meglio.

Mentre Tina si calava dentro la fessura lui notò che la sua pelle era di plastica, liscia e lucida. “È solo una bambola meccanica”, pensò. “Sto giocando con una bambola programmata”.

Eppure, appena Tina scomparve dalla vista, lui sentì la sua mancanza.

30. La fortezza segreta di Tina

Tina poteva dirgli cosa c’era dentro la cassa, ma lui doveva comunque aprirla da solo, a meno che non decidesse di aspettare la sera seguente per farlo fare dal custode. Senza dubbio questa era la decisione più ragionevole.

Scoprì, però, che non aveva nessuna intenzione di essere ragionevole e non gli ci volle più di un minuto per capirne il motivo. Avrebbe visto Lara il giorno dopo e voleva poterle raccontare tutto sulla cassa e sul suo contenuto, di qualunque cosa si trattasse e comunque non voleva essere obbligato a raccontarle che non era stato capace di aprirla da solo. Che cosa avrebbe pensato Lara di un uomo che non sapeva aprire una semplice cassa di legno?

Andò in cucina e si munì del cacciavite di cui aveva appena parlato a Tina e di un grosso coltello da cucina. Osservò la terribile lama ricurva e cercò di ricordare se l’avesse mai usato prima. Probabilmente no; sembrava più adatto a dare il colpo di grazia a grossi animali pelosi. Non poteva certo cominciare a menare fendenti sulla cassa, con Tina lì dentro.

— Tina! — gridò. — Va tutto bene?

Non ci fu nessuna risposta. Appoggiò un orecchio su una fessura, sicuro che, se Tina si fosse mossa, lui l’avrebbe sentita. Dopo qualche secondo, riuscì a distinguere il ronzio della sveglia elettrica e il rumore di qualcuno che si preparava ad andare a letto nell’appartamento accanto, ma non sentì nessun suono provenire dalla fessura. Silenzio di tomba.

— Tina, vuoi farmi uno scherzo?

Afferrò un’altra assicella e cercò di tirarla via, ma quella non si mosse di un centimetro. Forse era inchiodata troppo saldamente o forse lui si era stancato troppo a tirar via la prima.

Eppure si vedeva una leggera crepa. Infilò la lama nella sottile fessura e la mosse avanti e indietro. La fessura si allargò fino a raggiungere il bordo dell’assicella e ad allentare la presa di un chiodo. Inserì la lama sotto l’estremità dell’assicella e fece leva. Aveva sentito dire che era una cosa da non fare, ma scoprì che non gliene importava niente. Anche se la lama si fosse spezzata, avrebbe continuato con quello che ne restava.