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Cercò di afferrarla, di estrarla, ma non c’era nessuna sporgenza, perché il bordo superiore era a filo delle caselle, gli spigoli laterali erano coperti dalle paretine verticali dello scrittoio e il bordo inferiore aderiva al ripiano.

Prese la lampada da tavolo, l’appoggiò sullo scrittoio e si mise a osservare la fascia di legno uniforme. Era possibile che Tina fosse riuscita a vedere, sotto lo stesso strato di cartone, qualcosa che lui non riusciva a vedere nemmeno alla luce della lampada? Tina poteva solo aver toccato il pannello, ma nel buio pesto in cui si trovava, non poteva aver visto nulla.

Rimise la lampada al suo posto, chiuse gli occhi e passò le dita sul pannello. Non sentì nulla.

Le dita di Tina erano più piccole delle sue, erano quasi sottili come spilli. Prese il coltello e passò leggermente la punta sulla superficie del legno, facendo attenzione a non graffiarlo, o almeno a non graffiarlo più di quanto non lo fosse già dopo due secoli. Per qualche strana ragione i graffi erano più numerosi sul lato sinistro.

Quando la punta del coltello arrivò da quella parte, andò a infilarsi nell’angolo, tra lo spigolo del pannello e la parete verticale dello scrittoio. Lui spinse delicatamente la punta e, più che udire, sentì un clic, mentre il pannello si spostava di mezzo centimetro verso di lui.

31. Pranzo con Lora

Quando la cameriera si allontanò, lui prese Tina dalla tasca e l’appoggiò sulla tovaglia a quadri.

— Una bambola? — Lora Masterman smise di dondolarsi sulla sedia e prese dalla borsa un paio di occhiali cerchiati d’oro per osservarla.

— L’ho comprata perché mi ricordava te — disse lui.

— È molto gentile da parte sua.

— Può camminare, parlare e perfino pensare un po’… quando è in funzione. Ma non sa leggere e non mastica niente di aritmetica. Non è programmata per queste cose e non credo che possa esserlo. Se le domandi quanto fa uno più uno, risponde “due o tre”. Se le domandi quattro più quattro, risponde “un sacco”. — Poi si affrettò ad aggiungere: — Con questo non voglio dire che anche tu sei così.

Lora sorrise. — Sono sicura che la dottoressa Nilson qualche volta lo pensa.

— Ti voglio raccontare di Tina e del mio scrittoio, vuoi? Ti piacciono gli oggetti antichi?

— Sì, ma non ne so molto.

— Io sì — disse lui. — Anche le persone più ottuse possono essere esperte in qualche cosa. Ci hai mai fatto caso? Io lo sono in oggetti antichi e in personal computer. So tutto su questi argomenti. Quando abbiamo vissuto insieme, conoscevo solo i personal computer, ma adesso sono esperto anche in oggetti antichi. I computer sono interessanti, ma gli oggetti antichi lo sono di più, perché ci sono molte più cose da conoscere su questo argomento.

Lora disse dolcemente: — È stato solo per due giorni…

— Lo so, ma io avrei voluto che durasse per sempre. Non ero abbastanza intelligente o abbastanza bello e non guadagnavo un granché. Ti capisco, non ce l’ho con te.

— Ma non è stato per nessuna di queste ragioni. — Lora si tolse gli occhiali e li rimise nella borsa. — Ero io a non essere adatta a te. Tu eri un paziente della dottoressa Nilson e io lavoravo nel suo studio e mi sono resa conto che ti facevo del male. Dopo qualche giorno non ce l’ho fatta più.

La cameriera portò una caraffa d’acqua ghiacciata, un piattino con il burro, una piccola forma di pane italiano appena sfornato e del vino.

— Perché dici che mi facevi del male?

— Cominciavi a peggiorare. Ti eri dimenticato, voglio dire avevi rimosso, di essere in terapia, e questo non andava bene. Ti eri perfino dimenticato che ci eravamo conosciuti nello studio della dottoressa Nilson. Hai cominciato a dire che ci eravamo incontrati nel parco, solo perché quella volta avevamo fatto una passeggiata. E ora… — La voce di Lora si era fatta incerta, sembrava che stesse per scoppiare in lacrime. — Ho paura che stai ricominciando da capo. Ti stai creando un sistema allucinatorio che ruota intorno a me.

— No, non è vero. Sei troppo grande per farti stare dentro la mia mente.

— L’hai già fatto una volta.

Lui scosse la testa. — Allora eri irreale come lo sei adesso. Avevi cambiato il tuo aspetto, solo un po’; dicevi di chiamarti Lara Morgan e hai fatto in modo che ti incontrassi nel parco. Ma su una cosa hai ragione: io non volevo ammettere di essere in cura da uno psichiatra, non volevo ammetterlo nemmeno con me stesso. Ero convinto che un tipo simile non fosse adatto a te.

“Anche il posto in cui mi sono trovato quando ho attraversato la porta era reale. Ho incontrato persone reali, ho mangiato del vero cibo e ho comprato questa bambola. Ho perfino conosciuto un uomo che veniva dal nostro mondo e che un tempo aveva lavorato per Nixon.

Lora cercò di prendere Tina, ma lui la tirò indietro. — Pensi che voglia romperla — disse Lora. Era un’affermazione, non una domanda.

Lui annuì.

— Se uscissi di qui e seguissi la strada fino a un negozio di giocattoli, potresti comprarne una…

Mamma Capini si fermò tutta sorridente al loro tavolo. — Ehi, voi due! Siete tornati insieme? Bene, bene.

— Io sì, sono tornato — le disse lui. — Adesso sto cercando di far tornare Lara insieme a me.

— Avete già ordinato?

Lui scosse la testa.

— Prendete i frutti di mare. Oggi sono proprio buoni.

— Va bene — disse lui.

— Lo dico io alla cameriera. — Mamma Capini si allontanò impettita.

Lora disse: — Si ricorda ancora di me. Sono passati anni.

— Tu non sei cambiata molto. E poi chi ti può dimenticare? Io non ho comprato Tina perché temevo di dimenticarti. Sapevo che ti avrei ricordato sempre. L’ho comprata perché volevo possedere una piccola parte di te. Se non si può avere una persona, si desidera avere almeno la sua immagine, e tu sei stata la modella a cui si sono ispirati per fabbricare Tina. Ne sono sicuro.

Lei cominciò a protestare, ma lui la zittì con un gesto. — Va bene, è solo un caso se Tina ti somiglia come una goccia d’acqua. Non litighiamo per questo. Comunque… una persona che io consideravo un’arpia, mi ha mandato lo scrittoio perché aveva capito quanto ci tenessi. Così ho scoperto che in fondo è una santa.

— Qualche volta succede il contrario — gli disse Lora.

Lui annuì ancora. — Vuoi dire che io penso che tu sia un angelo, ma che in realtà sei un demonio, un angelo caduto? Va bene, ti seguirò all’inferno se è lì che stai andando.

Rimase in silenzio, pensieroso, ma Lora non disse una parola.

— C’è un arazzo vittoriano… la scena mostra un cavaliere e una dama. Lo sfondo dietro il cavaliere è il solito, un mucchio d’erba e alcuni alberi; ma dietro alla dama, il paesaggio è davvero isolito. È la rappresentazione di un poema, La belle dame sans merci, di John Keats. Quella dama sei tu, vero? Mi è venuto in mente solo ora, perché quella dama non ti somiglia molto. Non credo che Keats ti abbia veramente visto. Forse si è ispirato a qualche antica leggenda, o forse no.

Lora sorrise. — Questo mi piace di più della bambola parlante. Ho sempre desiderato apparire su un arazzo.