Lara scosse la testa. — No, l’ha dipinto la moglie del governatore britannico a Bombay quando siamo sbarcati. Era solo una dilettante, ma molto brava.
— Quanto tempo sei rimasta con lui?
— Fino a quando è dovuto ripartire. Io nel frattempo mi ero ammalata e sono dovuta restare a terra.
— Non credo che tu fossi ancora lì quando è tornato. Tina, sarà meglio che torni al tuo posto. C’è troppa gente che ti sta osservando. — La prese e la rimise nella tasca interna della giacca.
— No — disse Lara. — Cos’è che vuoi da me? Che ti ami? Ma io ti amo, ti amo come so amare io. Se non ti avessi amato, sarei rimasta con te più a lungo. Vuoi che resti con te per tutta la vita? Non posso farlo.
Lui le disse: — Mi sono domandato spesso perché hai scelto il capitano e me. Adesso ho capito: perché non saremmo stati mai creduti. Se avessimo attraversato una porta e poi fossimo tornati indietro, nessuno ci avrebbe creduto. Nessuno crede alle fandonie di un marinaio e, da quanto mi hai detto, Hurst era anche un ubriacone e un attaccabrighe. Io sono un malato di mente ed è questa la ragione per cui hai scelto di fare questo lavoro e ora sei tornata. Cos’è che vuoi da noi?
— Il vostro amore. Voglio essere amata da un uomo che non debba morire per aver fatto l’amore con me. Ti sembra tanto terribile?
Lui scosse la testa. Dopo un momento disse: — Credo che a te piaccia Billy… il nome Billy. Comunque un altro Billy una volta mi ha detto che tu avevi un amante che si chiamava Attis. Dopo il mio ritorno ho visto un programma alla Tv dove dicevano che in biblioteca ci sono persone a cui si possono chiedere informazioni. Sono andato là e ho parlato con una donna che mi ha raccontato di Attis. Poi le ho chiesto dei libri sugli oggetti antichi. Adesso li ho letti tutti, anzi, qualcuno l’ho letto tre o quattro volte, perciò ti sono debitore.
Lara fece un gesto come per dire “figurati!”.
— Attis si è ucciso… si è ucciso per te, perché era questo che volevi.
— No — disse lei.
— Va bene, si è ucciso perché pensava che fosse quello che volevi.
— Io non volevo che lui morisse!
— Certo — disse lui dolcemente.
— Ma tu cosa vuoi da me? Ti ho già detto cosa non posso darti, e ti ho anche detto che hai il mio amore. Ti amo quanto sono capace di amare. Ti amo quanto quella vecchia signora seduta al tavolo laggiù forse ama il suo cagnolino. Che vuoi di più?
Lui capì che Lara cercava di offenderlo, ma lui non si sentiva offeso, anzi, era felice come non lo era mai stato. — Voglio quello che vogliono i cani — disse. — Voglio seguirti tutte le volte che mi è possibile. Voglio aiutarti, tutte le volte che posso esserti di aiuto e voglio sentire la tua voce.
Lara tamburellava con le dita sul tavolo.
Lui restò in silenzio, paziente. Infine lei disse: — Faremo una prova, come facevano anticamente. — Prese il suo bicchiere di vino e glielo porse tenendolo per il bordo, fra l’indice e il pollice. — Prendilo per lo stelo con la mano sinistra.
Lui obbedì.
— Adesso prendi un pezzo di quel pane, non troppo piccolo, e non schiacciarlo. — Prese un pezzetto del panino soffice che stava nel cestino accanto al portacenere. — Adesso fallo cadere nel vino. Se affonda, sarai libero di seguirmi tutte le volte che vorrai. Ma se galleggia…
— Se galleggia… — disse lui — …morirò.
Lei annuì. — Morirai comunque.
Per un momento sembrò che il pezzo di pane restasse a galla. Lara mormorò qualcosa… una preghiera forse, o una maledizione che lui non riuscì ad afferrare. Il vino, rosso come il sangue, impregnò i bordi candidi del pane che affondò come un sasso.
— E così sia — sussurrò Lara lasciando andare il bicchiere che per poco non si rovesciò.
Lui non capì, e mai avrebbe capito come lei riuscì a prendere la pelliccia senza nemmeno avvicinarsi all’appendiabiti. Afferrò il suo cappotto e le corse dietro senza badare a uno dei figli di Mamma Capini che gli urlava dietro infuriato.
33. Il momento si avvicina
Gli sembrò che lei fosse svanita tra la folla di impiegati che sciamavano fuori dagli uffici; poi intravide i suoi capelli splendenti che, alla luce del tramonto, erano tornati color rame come se li ricordava. Si affrettò per raggiungerla, la perse di vista, la ritrovò e la perse di nuovo. Continuò a correre. Nelle strade un po’ alla volta cominciavano ad accendersi i lampioni.
I lampioni… ma non era appena passata l’ora di pranzo? Superò una chiesa in cui stavano celebrando una funzione religiosa. Si sentiva il rombo dell’organo e i canti dei fedeli; le luci all’interno della chiesa facevano risplendere come gemme le vetrate colorate. Una rappresentava Lara, con una lancia in mano e uno specchio nell’altra. Si fermò un attimo a osservarla, poi riprese a correre.
Qualcuno lo afferrò per una manica. — Dove diavolo sei stato?
Fece per voltarsi e un pugno lo colpì con violenza al rene destro. Era North. Si piegò in due con un gemito. La folla sul marciapiede era così fitta e vociante mentre si accalcava davanti agli sportelli di una biglietteria, che nessuno notò quello che era successo, o se lo notò fece finta di non vedere.
— Questo è per avermi piantato in asso — disse North. Lo afferrò per la cravatta come se fosse un guinzaglio e lo trascinò fuori dalla calca dentro un vicoletto. Lui si divincolò e tentò di colpire North accecato dall’ira. Ma North lo anticipò… un lampo rosso di dolore e si ritrovò seduto sui mattoni sudici a vomitare con le mani strette sul ventre.
Sentì la voce acuta di Tina attutita dalla stoffa della giacca domandare: — Stai male?
Lui sorrise e disse: — Sì. — Felice che il colpo fosse stato troppo basso per far male alla bambola.
— Perché diavolo sorridi?
— Perché sono ancora vivo — rispose barcollando. — Non ti sembra abbastanza?
— Per te forse — gli disse North. Si aprì una porta e un raggio di luce gialla illuminò il vicoletto buio. — Su, vieni. — North lo guidò giù per una rampa di gradini in cemento.
— Dove mi porti? — domandò lui. Faceva fatica a parlare, ma farlo lo distraeva dal dolore.
— A dare spettacolo. — North ridacchiò e aggiunse: — Come l’altra volta.
I gradini portavano a un ampio corridoio in cemento che puzzava di sudore. Un uomo di mezza età, con indosso una maglietta consunta e un paio di pantaloni cachi, li superò correndo con una pila di asciugamani puliti e un secchio d’acqua.
North disse: — Abbiamo un mucchio di tempo. Non sono ancora cominciati gli incontri preliminari. Credo che lui stia in una delle stanze accanto agli ascensori.
Il corridoio piegava ad angolo retto una, due volte, sempre più ampio e illuminato. In fondo, un gruppo di giovani donne compunte armate di taccuino e di uomini che imbracciavano macchine da ripresa, erano in attesa di qualcosa. North si fece largo in mezzo a loro ignorando proteste e minacce. — Seguimi! — lo sollecitò North.
Lui cercò di stargli dietro il più possibile fino a che si fermarono davanti a una grande porta di metallo verde scuro. Sulla porta, ad altezza d’uomo, c’era una targa di cartone con su scritto in bei caratteri: JOE JOSEPH.
North bussò con una violenza tale da far pensare che avrebbe scardinato la porta. E invece venne ad aprirla imprecando un uomo calvo. North entrò a grandi passi lasciando l’ometto da solo a tenere indietro gli uomini con le macchine da ripresa e le solerti ragazze con i taccuini. Prima che l’uomo calvo riuscisse a chiudere di nuovo la porta, un flash illuminò la stanza nuda come il lampo di un fulmine silenzioso. Solo quando si ritrovò al centro della stanza, lui si rese conto che l’ometto calvo era Eddie Walsh. Il campione di Eddie, Joe, grosso come un armadio, stava seduto sul lettino del massaggiatore con indosso un paio di calzoncini da pugile bianchi e azzurri, una vestaglia azzurra di satin e scarpe da ginnastica.