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— Una bella botta!

— Che è successo? — Sentiva una pulsazione sorda alla base della nuca.

— È caduto per la strada.

— E ho fatto un sogno terribile — le disse. — Ho sognato che Lara era solo una bamboletta e io l’ho mostrata a un vecchio cinese. Può darmi qualcosa contro il mal di testa?

La donna annuì e tolse il tappo da una bottiglia marrone. — Qui. Annusi questa.

Aveva il profumo della primavera, quando la nuova vegetazione contrasta l’odore della neve che si scioglie nell’aria lavata dalla pioggia. La pulsazione diminuì e quasi scomparve.

— Che cos’era? — le domandò.

— Aspenina. Forse per un po’ di tempo sentirà il naso chiuso. — Si rialzò. — Si sente bene ora?

Lui annuì, risvegliando il fantasma della pulsazione. — Quando potrò uscire di qui?

— Forse domani. Il dottor Pillo-Lin la visiterà di nuovo e può darsi che la dimetta, oppure che decida di tenerla qui ancora per qualche giorno. Se ha bisogno di me, schiacci questo pulsante.

Prima che potesse farle un’altra domanda la donna se n’era andata. Si sedette sul letto con le ossa doloranti.

La stanza era piccola; c’era solo lo spazio per lo stretto lettino da ospedale, una minuscola sedia laccata di bianco e un tavolino da notte bianco. Anche le pareti erano bianche e bianche le piastrelle che rivestivano il pavimento.

Con movimenti cauti mise giù i piedi dal letto.

Probabilmente nell’armadietto c’erano i suoi vestiti e la bambola… Lara-Tina. Scoppiò a ridere.

Un sogno! Era stato un sogno, niente altro: il Centro di Igiene Mentale, l’ospedale delle bambole, lo strano negozio dall’alto soffitto dove vendevano mappe della terra degli elfi, la buffa parata… solo un sogno.

Ma Lara?

Anche Lara era stato solo un sogno? Se era così, non voleva svegliarsi.

No, Lara era reale, una donna reale con la quale aveva parlato e passeggiato lungo il fiume, mangiato, bevuto e dormito, ieri. O forse l’altroieri. Forse aveva perso un giorno, qui in ospedale. Probabilmente ora Lara era preoccupata, nel vecchio appartamento pieno di spifferi.

Doveva chiamarla, doveva rassicurarla.

Eppure, era sicuramente estate quando avevano passeggiato lungo il fiume. Ricordava il profumo dei fiori, delle foglie verdi, ne era certo. Ma adesso non era inverno?

Con passo malfermo si avvicinò alla finestra. Il prato minuscolo davanti all’ospedale era pallido di neve; sagome scure, infagottate in indumenti di lana e avvolte in sciarpe fino agli occhi, camminavano a fatica sul sentiero ghiacciato. La strada era grigia di fanghiglia; anche gli sferraglianti tram rossi erano incappucciati di neve.

L’armadietto bianco era chiuso e non c’era la chiave. Si mise a scuotere la serratura fino a che un uomo di colore in uniforme bianca si affacciò sulla porta a guardarlo.

Lui disse: — Voglio i miei vestiti.

— Li avrà quando potrà uscire di qui. Fino ad allora rimarranno chiusi lì dentro. — L’uomo si avvicinò con fare minaccioso. — Ora si rimetta a letto o a cena non avrà il budino di cioccolato. Vuole che le faccia un’iniezione? Ho qui con me un ago affilato come un’unghia. — Senza nemmeno toccarlo, l’uomo di colore lo costrinse di nuovo verso il letto.

— A chi devo rivolgermi per farlo aprire?

— Al suo dottore. — L’uomo di colore fece un passo indietro per studiare la cartella clinica appesa ai piedi del letto. — Il dottor Pillo-Lin, farà il suo giro di visite domani. Fino a quel momento, lei se ne starà a letto, a meno che l’infermiera non le dirà che può alzarsi.

— Va bene.

— È ricoverato per un cambiamento di sesso, eh?

Lui saltò in piedi.

— Ehi! Che le ho detto?! Mi sono sbagliato. Si tratta solo di un trauma, ematomi vari e così via. Adesso se ne stia buono a letto, se vuole il suo budino.

Quando l’uomo di colore fu uscito, esaminò la possibilità di andarsene di lì. Sembrava che non ci fosse nulla da fare. L’armadietto era chiuso a chiave, e non aveva niente per tentare di aprirlo. La chiave era sicuramente in qualche cassetto della scrivania delle infermiere. Però poteva telefonare a Lara per dirle che era vivo e non era ferito gravemente.

Sul tavolino da notte non c’era telefono. Cercò il pulsante per chiamare l’infermiera e scoprì il comando a distanza di un piccolo televisore installato in alto, in un angolo della stanza. Schiacciò il bottone, ma non successe nulla.

Il pulsante per chiamare l’infermiera dondolava appeso a un cordino bianco sulla testata del letto. Lo schiacciò e sentì un suono indistinto, come un tintinnio di campane da una riva distante, avvolta nella nebbia. Disse a se stesso che aveva fatto tutto quello che era possibile al momento e si sdraiò di nuovo con l’orecchio teso allo scampanio, le mani intrecciate dietro la testa.

Sullo schermo del televisore era apparso un chiarore grigiastro, tremolante, che andava e veniva, quasi indugiando, prima di illuminarsi definitivamente. Apparve una tempesta di neve attraversata da righe diagonali dietro le quali fluttuò il volto di Lara, come l’immagine di una fotografia sovraesposta, poi scomparve.

“…e nella capitale la presidente — come aveva minacciato di fare — ha posto il veto contro la legge…”

Cercò il pulsante per regolare il volume.

“…sulla famiglia in base alla quale sarebbe stato possibile sterilizzare, contro la loro volontà, donne già madri di venticinque o più figli. Un portavoce della…”

Era sicuro di aver visto Lara, forse su un altro canale che trasmetteva sulla stessa frequenza. Questo era il primo canale. Provò sul secondo e sul terzo. Niente. Quando ritornò sul primo, due squadre miste stavano giocando una complicata partita che prevedeva il rapimento dei giocatori della squadra avversaria.

Continuò senza sosta a passare da un canale all’altro, ma tutto quello che riuscì a vedere fu un insegnante che teneva una conferenza e gli innamorati di una soap opera nel pieno del solito dialogo reso vivace dal moderno ribaltamento dei ruoli.

“Non capisci, Beverly? Io voglio che il sentimento che proviamo l’uno per l’altra duri in eterno. Voglio che il nostro amore percorra l’infinito sentiero del tempo e dimostri a tutta la dannata razza umana, chiusa nel suo egoismo, che ci sono valori più alti dell’individuo.”

“No, Robin. Tu così vuoi che il nostro amore finisca per sempre.”

All’improvviso gli fu chiaro che si trovava in un’altra città. Nella sua ci sarebbero stati otto canali. Cambiò canale e tornò alla partita dal gioco complicato.

L’infermiera entrò affannata nella stanza portando un grande vaso colmo di rose. — Che fortuna! Lei mi ha chiamato proprio quando stavo per portarle queste. Ho preso due piccioni con una fava. Non sono belle?

Lui annuì. Rose rosse, gialle, bianche e rosa, rose screziate di mille colori, cinabro macchiato di bronzo, oro antico con un tocco fiammeggiante, che sembravano sul punto di saltar fuori dal vaso e spargersi per tutta la stanza.

— Nel Reparto Arredamento c’è un tavolo da gioco che sul ripiano ha un’immagine simile a questa — disse lui. — Non ho mai visto un mazzo di rose così in vita mia! In genere sono tutte dello stesso colore.

L’infermiera aveva un’espressione maliziosa. — A quanto pare, la sua amichetta non ama le cose tradizionali. Ha voluto qualcosa d’insolito. Naturalmente con tutti i soldi che ha… — Appoggiò il vaso sul tavolinetto bianco a pochi centimetri dalla sua testa. Da una delle anse del vaso pendeva un minuscolo biglietto appeso a un cordoncino dorato.

Lui disse: — Mi stavo chiedendo se poteva portarmi un telefono. Devo chiamare una persona.

— Ahh! — Appoggiandosi le mani aperte sui seni poderosi, l’infermiera aspirò a pieni polmoni. — Non hanno un profumo meraviglioso? Ma certo che deve chiamarla. Le porto subito un telefono. Sa, non avremmo mai immaginato che lei conoscesse una persona simile.