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Ogni parte visibile del corpo di Sawyer, dal collo in giù, era ricoperta di tatuaggi. Le immagini e le scritte si raggrinzivano e si tendevano a ogni movimento dei muscoli.

Tina disse: — Quel drago è vivo!

Lui abbassò gli occhi e vide che la bambola si era arrampicata fuori dalla tasca interna e spuntava fuori dal risvolto del cappotto. — È solo un disegno che si è fatto fare sulla pelle — le disse lui.

— Anch’io sono una bambola, ma non sono solo una bambola.

Joe si era tolto l’accappatoio e Eddie Walsh, che era seduto al posto dell’altra guardia del corpo, lo teneva sulle ginocchia. Quando l’arbitro si avvicinò al microfono che era stato abbassato dal soffitto, W.F. aprì la valigetta bianca e rossa che aveva appoggiato sul ring appena oltre le corde. North stava in piedi da una parte e sembrava del tutto fuori luogo col suo vestito a doppiopetto.

Lara gli sussurrò: — Vuoi leggerla? — E gli porse la confessione di North.

Io sottoscritto, William T. North, dichiaro di avere ucciso il dottor Cecil L. Applewood la mattina del 21 gennaio nel suo ufficio nella galleria del Grand Hotel. Ho agito per autodifesa in quanto temevo che Applewood potesse fare delle rivelazioni alla polizia. Avevo tenuto d’occhio uno del nostro movimento e mi ero accorto che era pedinato da un agente. Questa persona era andata a trovare Applewood che sapeva essere dei nostri, e l’agente aveva ascoltato la loro conversazione. Quando i due si sono allontanati, sono entrato nello studio di Applewood e gli ho sparato due volte al petto poiché sapevo che non sarebbe stato in grado di sostenere un interrogatorio. Poi mi sono recato nella stanza d’albergo con l’intenzione di uccidere anche l’altra persona quando fosse rientrata, ma lui non è rientrato.

William T. North

— Quella persona ero io — sussurrò a Lara.

Lei annuì. — L’avevo immaginato.

Suonò la campana. Joe e Sawyer lasciarono i loro angoli, saltellarono in cerchio e cominciarono a colpirsi. Un suono indescrivibile riempiva l’arena, sembrava il lamento di una belva affamata.

35. L’attrazione principale

Alla fine del primo round lui capì che Joe aveva avuto la peggio, anche se aveva messo a segno dei buoni colpi. Joe era stato sempre sulla difensiva, proteggendosi il viso, schivando i colpi e tenendo Sawyer a distanza. Gli venne in mente quella notte nella stanza di Walsh quando Joe aveva detto che il suo avversario era un pugile esperto, ma che lui aveva un allungo maggiore, o qualcosa del genere. Anche questa volta Joe aveva un allungo maggiore, due o tre centimetri di superiorità sull’avversario, ma a cosa gli servivano quei due o tre centimetri? Come la morte di un genitore o un lavoro estivo fanno di un ragazzo un adulto, o come l’accidentale sollevarsi del sipario rivela i movimenti frenetici degli aiutanti di scena e il sudore dell’attore che sta per interpretare Re Lear o Willy Loman, allo stesso modo le sue riflessioni confuse gli avevano permesso di capire meglio quello che stava succedendo. Fino ad allora aveva sempre pensato che la boxe non fosse altro che uno scontro in cui un tipo forte e coraggioso pesta un altro che lo è meno di lui. Così ricordava, o così almeno le aveva considerate allora, le sue sconfitte nel cortile della scuola.

Ma si sbagliava. Il gioco di Joe e Sawyer era altrettanto complesso di quello degli scacchi e lo affrontavano disponendo di pezzi diversi, forniti a ciascuno di loro dalla natura e dall’esperienza.

Al suono della campana i due sfidanti si alzarono. Per qualche secondo continuarono di nuovo a fare finte e a girare in cerchio. Poi il drago attaccò, avvolgendo Joe nelle sue spire dorate. I due erano così vicini che lui riusciva a percepire il tunf-tunf dei pugni nonostante il ruggito della folla, ma non riusciva a vedere… non vide quello che era successo. Quando i due si separarono e ricominciarono a girare in cerchio, lui vide che sul torace di Joe c’erano delle macchie fiammeggianti e che Sawyer scuoteva la testa come se volesse schiarirsi le idee.

Lara fece un profondo sospiro. — Pensavo che sarebbe andata così — disse. Lui le domandò cosa volesse dire, ma Lara si limitò a scuotere la testa come stava facendo Sawyer.

I due combattenti erano di nuovo avvinghiati l’uno all’altro, questa volta riusciva a vederli meglio. Sawyer, con la testa bassa, muoveva i pugni avanti e indietro come pistoni e Joe lo teneva lontano con la testa e con le spalle mentre assorbiva i colpi con gli avambracci muscolosi. Quando si separarono Joe fece scattare in avanti un braccio e un guantone marrone colpì al mento Sawyer.

Adesso era il campione a indietreggiare e a vibrare colpi a vuoto mentre Joe avanzava saltellando e cambiando direzione tutte le volte che Sawyer tentava di girare in cerchio.

— Guardalo come lavora bene di gambe! — gridò Walsh a Lara. — Mamma mia, com’è bello!

Suonò la campana e Joe tornò all’angolo dove lo aspettava W.F. In quel momento successero tre cose: Walsh balzò in piedi e corse verso l’angolo di Joe; W.F urlò “acqua!”, rivolto a North; e North sollevò tutte e due le mani come un prestigiatore o come una bambina meticolosa che si pulisca le dita sporche sul grembiulino. A quel gesto in ciascuna mano di North apparve un’automatica nera.

Per un momento North rimase in posa, con le due pistole in pugno, come un attore sul palcoscenico, mentre Klamm si gettava a terra e Lara lanciava un urlo. Lui pensò che nessuno dei due avrebbe dovuto aver paura perché North stava puntando le pistole nella sua direzione. I colpi partirono nello stesso momento, assordandolo. Lui si afferrò alle corde, come aveva visto fare a Sawyer qualche minuto prima, fece un balzo maldestro riuscendo comunque a centrare con un piede l’inguine di North.

North barcollò all’indietro mentre da una delle sue pistole partiva un colpo verso l’alto. Joe e Sawyer si erano alzati in piedi nei loro angoli. L’arbitro suonava la campana. Per far riprendere l’incontro, pensò lui, nonostante sul ring ci fosse North.

No, North se la stava squagliando attraverso le corde, impugnando ancora una pistola. Dalla platea gli uomini di Klamm cominciarono a sparare. La pistola di North latrò contro di lui, sputando fiamme e sussultando come un grosso cane rabbioso. Lui vide W.F. scagliare la valigetta bianca e rossa che colpì North a un braccio.

Adesso anche lui aveva in pugno una pistola. La sollevò e fece fuoco. Il lampo quasi lo accecò e il rumore gli fece dolere le orecchie. Con la mascella sanguinante North continuò a colpirlo fino a che lui sentì il naso rompersi con un rumore orribile. Qualcosa gli invase la testa distruggendo quello che c’era dentro. Cercò di respirare, ma sentì in gola il sapore del sangue e sputò. Altro sangue gli scorreva sul viso.

Il pugno guantato di Joe colpì l’orecchio di North e da quel momento North non tentò più di strappargli l’arma di mano. Lui aveva la pistola in pugno ma non sapeva cosa fare… e all’improvviso tutto era finito. Il cadavere di North era disteso sul tappeto, quasi al centro del ring, in mezzo a una pozza rossa che si andava allargando.

— Adesso calmati — gli disse W.F. — ti facciamo un impacco di ghiaccio per fermare l’emorragia.

Scoprì che dietro a lui c’era uno sgabello e si sedette. Voleva dire qualcosa di buffo a proposito di banane e pomodori per scherzare con W.F., ma non riusciva a parlare. Non riusciva a imprigionare dentro sillabe e parole i pensieri che gli saltavano nella mente. Aveva perso i denti e con la lingua esplorava gli spazi vuoti.

Klamm era salito sul ring, faceva segni in direzione della folla e contemporaneamente sussurrava qualcosa ai due pugili che avvicinava a sé con le mani sulle loro spalle. Tutti e due erano più alti di Klamm di una testa.

Poi Joe gli si accovacciò davanti. — Stai bene?