Damon Knight
Dio
I
È mezzogiorno. In alto il cielo scintilla di calore come un grande catino argenteo, e il chiarore si riverbera sulla sabbia gialla; in lontananza, la superficie dell’oceano è una danza di luce infuocata. Emergendo dal sottosuolo, Dio il Progettista ammicca per un istante nel biancore abbagliante; sente il calore come una cappa soffocante e la barba, iridescente nel sole, tende ad incresparsi.
A poca distanza si trovano cinque persone, uomini e donne, i loro corpi rosei che spiccano sulla sabbia. Il resto del paesaggio marino è completamente spoglio; la striscia di sabbia sembra estendersi per miglia e miglia, deserta e bruciante. Non c’è neppure un gabbiano nell’aria. Tre di quelle figure sono uomini; stanno correndo e si lanciano un pallone da spiaggia, con grida lontane. Le due donne sono semisdraiate e il loro sguardo è rivolto agli uomini. Tutti e cinque hanno una muscolatura superba, con ampi toraci arcuati; la pelle è liscia, gli occhi scintillanti. Dio guarda le proprie braccia: c’è forse una traccia più scura? È apparsa qualche ruga?
Si libera dell’unico indumento e si avvia verso il gruppo. Per un istante, la carezza della sabbia sotto i suoi piedi è dolorosa; poi la pelle si adatta e non sente più nulla. Con scarso interesse, i cinque si voltano mentre lui si avvicina. Sono tutti giocatori, non studenti, e due di essi gli sono sconosciuti. Si sente a disagio e vorrebbe non essere mai venuto. Non va bene che giocatori e studenti si incontrino casualmente; ciascuno dei due gruppi è fin troppo consapevole del benevolo disprezzo dell’altro. Dio cerca di immaginarsi come un giocatore che si sforzi di essere gentile con uno studente e, come sempre, fallisce nell’intento. La distanza che li separa è incolmabile. Il mondo ha bisogno di entrambi, studenti per ricordare e creare, giocatori per consumare e godere; ma le classi non dovrebbero confondersi.
Anche senza abiti, questi sono giocatori; i grandi occhi innocenti che brillano di entusiasmo o tradiscono un improvviso fastidio; le bocche irrequiete che possono essere di volta in volta gaie o imbronciate.
Ora egli fissa deliberatamente la donna bionda, Claire, e sul suo viso vede gli stessi inconfondibili segni. Ma contro ogni logica e consuetudine, la dolce curva delle sue labbra è di superba bellezza; il profilo della testa dai capelli biondo cenere che sfuma nella linea possente del collo toglie il respiro. È una cosa illogica, quasi inaudita, forse anormale: ma lui la ama.
I suoi occhi grigi lo fissano con la stessa intensità di due agate marine, e il sorriso accattivante che affiora per un attimo sulle sue labbra lo riscalda e lo lusinga. — Sono così contenta di vederti. — Gli prende la mano. — Naturalmente conosci Katha e Piet. Questo è Tanno, e quello laggiù è Mark. Siediti a parlare con me. Non riesco a muovermi, fa così caldo.
I lanciatori di palla riprendono allegramente a giocare. La brunetta, Katha, comincia immediatamente a parlare dei cori di Bethany: Dio li ha sentiti? No? Ma deve assolutamente andarci: le voci sono supende, il direttore del coro è bravissimo; erano secoli che non si sentiva nulla disimile.
La parola «secoli» viene pronunciata con indifferenza. Quanti anni ha Katha? Ottocento, mille? Di recente, in un giornale di trecento anni fa, Dio si è sorpreso di trovare un riferimento a Katha. Ci sono così tante persone; è impossibile ricordare. È per questo che gli studenti tengono degli annuari, e i giocatori no. Forse aveva già incontrato Claire, e poi se n’era dimenticato… — No — risponde educatamente. — Sono stato piuttosto occupato con un progetto.
— Dio è un Progettista Architettonico — dice Claire, prendendosi gioco di lui con quel termine altisonante; eppure, nella sua voce risuona di una curiosa sfumatura di orgoglio a rovescio. — Te l’ho detto, Kat, lui è studente tra gli studenti. Ricostruisce questo settore ogni anno.
— Oh — dice Katha spalancando gli occhi, — davvero affascinante. — E un istante dopo, senza pause, sta già parlando del nuovo circo aereo di Littlam… Molto plebeo, ma divertentissimo. I pagliacci aerei! Gli acrobati! Quei deliziosi animali!
Il volto levigato di Claire, aureolato dal sole, è vicino al suo, e il riverbero della sabbia io illumina dal basso. Le palpebre socchiuse sono morbide e delicate, appena illividite dal sole: le pupille sono contratte e nelle ampie iridi grigie si intrecciano complicati disegni. Un frammento affiora nella sua mente; qualcosa che ha letto a proposito della struttura dell’iride: muscoli che si dilatano a raggiera connessi ad un organo circolare che si contrae, con tracce di melanina. Per qualche ragione quel pensiero è disgustoso e cerca di scacciarlo. Si sente un po’ scombussolato: ha lavorato troppo.
— Stanco? — chiede lei con voce dolce.
Lui si rilassa un po’. La brunetta, Katha, continua a parlare; è una di quelle persone che non smettono mai di parlare nonostante gli altri non la stiano a sentire. Lui risponde. — Questo è il periodo in cui siamo più occupati. Tutti i progetti vengono sottoposti al controllo finale prima di essere immessi nell’integratore principale. È l’ultima possibilità che abbiamo per scoprire eventuali errori.
— Mi spiace, Dio — dice lei con voce contrita. — So che non avrei dovuto chiedertelo. — Solleva le sopracciglia; lo guarda ansiosa. — Però dovresti riposare.
— Sì — dice Dio.
Il palmo morbido della sua mano gli accarezza la nuca — Riposa, allora. Riposa.
— Ah — sospira Dio stancamente, lasciando scivolare la testa fra le sue braccia. Sotto la sabbia su cui è sdraiato, si trovano diciassette livelli, tre dei quali sono di sua diretta competenza in quel momento, su di un settore che va da Alban a Detroy. Da due settimane lavora quasi senza aver chiuso occhio. Si parla di iniziare un diciottesimo livello nella prossima stagione; questo significa sollevare ancora la superficie, e tutti i piani di forza dovranno essere modificati. Dietro i suoi occhi chiusi, sfilano i dettagli, a migliaia, schemi architettonici, cianografie, specifiche, codici.
— Tesoro — gli sussurra la sua voce carezzevole all’orecchio, — sai che comunque sono felice che tu sia venuto, anche se non volevi. Perché tu non volevi venire. Lo capisci questo?
Lui la scruta socchiudendo un occhio. — Una sensazione di potere? — suggerisce ironico.
— No. Piuttosto un modo per rassicurarsi. Lo sai che ero gelosa del tuo lavoro?… E lo sono ancora, molto. Mi sono detta; se abbandonasse il suo progetto, oggi, ora…
Lui rotola su di un fianco e alza lo sguardo, lanciandole un sorriso obliquo. — Eppure tu non distingui un giorno dall’altro.
Il sorriso di lei è rapido e timido. — Lo so, è terribile da parte mia: ma tu ci riesci.
Mentre si guardano in silenzio, egli è di nuovo conscio della distanza che li separa. Essi hanno bisogno di noi, pensa, per cambiare ogni anno il loro mondo, per mantenerlo nuovo e brillante, per nascondere il passato, ma essi ci odiano, perché sanno che tutto quello che loro dimenticano, noi lo conserviamo e lo ricordiamo.
La sua mano trova quella di Claire. Una tristezza irragionevole e profonda lo avvolge: si chiede in silenzio: perché dovrei amarti?
Non ha parlato, ma vede il viso di lei contrarsi in un sorriso doloroso e mesto; e le sue dita lo stringono più forte.
Sopra di loro, le grida dei giocatori si sono mutate in proteste chiassose. Dio solleva lo sguardo. Piet, l’uomo con la testa lanuginosa, sovrasta ridendo gli altri due. Ridiscende adagio e lancia la palla: la partita continua. Ma un attimo dopo Piet è di nuovo in aria: gli altri gridano con rabbia e Tanno balza verso l’alto per affrontarlo. La palla cade, rimbalza lontano. Le due figure avvinghiate si girano e rotolano a mezz’aria. Alla fine, l’uomo con la testa lanuginosa riesce a trascinare l’altro sulla sabbia. Entrambi si risollevano, ridendo.