— Quello che voglio io?
— La solita proposta: qualunque cosa desideri.
— Ah — disse Martin.
— Ma ti avverto subito, non ci saranno trucchi. Ti garantisco qualsiasi cosa tu chieda, ma in cambio tu mi prometterai di salire sul treno quando arriverà il momento.
— E se il momento non arriverà mai?
— Arriverà.
— E se io le chiedessi una cosa che mi libererà per sempre dalla promessa?
— Non esiste un desiderio del genere.
— Ne è sicuro?
— Lascia che sia io a preoccuparmi — gli ribatté il Macchinista. — Non importa quello che hai in testa: guarda che alla fine sono io a decidere e non ci saranno possibilità estreme, non ci saranno pentimenti all’ultima ora, non ci saranno bionde fräulein o avvocati di grido per tirarti fuori. Io faccio patti chiari: tu ti prendi quello che vuoi e io mi prendo quello che voglio io.
— Ho sentito che lei truffa la gente; dicono che lei è peggio di un venditore di auto usate.
— Ehi, un momento!
— Mi scusi — disse Martin in fretta. — Resta un fatto, sembra, che di lei non ci si deve fidare.
— D’accordo, lo ammetto. D’altronde, pare che tu abbia trovato la strada per superare questa situazione.
— Ho una proposta a prova di bomba.
— A prova di bomba? Divertente! — L’altro cominciò a sorridere, ma si fermò. — Stiamo sprecando del tempo prezioso, Martin. Torniamo all’affare: che cosa vuoi da me?
Martin tirò un profondo respiro: — Voglio essere in grado di fermare il Tempo.
— Adesso?
— No, non ancora. E non per tutto il mondo: capisco che forse è impossibile, ma voglio essere in grado di fermare il Tempo per me solo, una volta sola, nel futuro. Quando arriverò al punto in cui mi troverò felice e soddisfatto, voglio fermarmi: così continuerò per sempre a essere felice.
— È un desiderio coi fiocchi — scherzò il Macchinista. — Devo ammettere che non ho mai sentito niente del genere, fino a ora… e credimi, ne ho sentite, di stranezze. — Sorrise, rivolto a Martin. — Ci hai pensato bene, eh?
— Per anni — ammise Martin; poi tossì. — Allora, cosa ne dice?
— Non è impossibile, nei termini del tuo senso soggettivo del tempo — mormorò il Macchinista. — Sì, penso che possiamo farlo.
— Guardi che io voglio fermarmi sul serio, non semplicemente immaginarmelo.
— Ho capito. Si può fare benissimo.
— Allora lei è d’accordo?
— Perché no? Te l’ho promesso, no? Qua la mano.
Martin esitò: — Mi farà male? Sa, io non posso sopportare la vista del sangue, e…
— Stupidaggini! Ti hanno raccontato un sacco di baggianate. L’affare è già combinato, ragazzo mio. Volevo semplicemente darti in mano qualcosa: il mezzo e il modo per soddisfare il tuo desiderio. In pratica è impossibile stabilire esattamente in quale momento ti deciderai a valerti del tuo diritto e io non posso mollare tutto per venire di corsa. Quindi è meglio che tu faccia da solo.
— Vuol darmi un arnese per fermare il Tempo?
— L’idea sarebbe quella, appunto. Lasciami pensare un momento a qualcosa di pratico… — Il Macchinista esitò, e poi: — Ah, giusto quello che ci vuole! Ecco, tieni il mio orologio.
Lo tirò fuori dal taschino della giacca: era un orologio da ferroviere, con la cassa d’argento. Ne aprì il coperchio e fece una delicata regolazione. Martin cercò di capire che cosa stesse combinando esattamente, ma le dita si muovevano tanto in fretta che non riusciva a seguirle.
— Ecco fatto — sorrise il Macchinista. — È tutto a posto, adesso. Quando deciderai che è il momento di fermarti, non hai che da ruotare all’indietro il bottone della ricarica, finché la molla sarà tutta scaricata e l’orologio si fermerà. Quando l’orologio sarà fermo, il Tempo si bloccherà per te. È chiaro? — Così dicendo, lasciò cadere l’orologio nella mano di Martin. Il giovane strinse forte le dita sulla cassa. — È tutto qui, allora?
— Certamente. Ma ricordati: potrai fermare il tempo una sola volta, quindi sarà bene che tu faccia molta attenzione; assicurati di essere davvero soddisfatto, quando sceglierai il momento di arrestarti. Ti avverto in tutta franchezza: stai attento a fare una buona scelta.
— Lo farò. — Martin sorrise. — E dato che lei è stato onesto, lo sarò anch’io, perché c’è una cosa che lei sembra aver dimenticato. In realtà, non è affatto importante il momento che sceglierò, perché una volta che io fermerò il Tempo, resterò dove sono per sempre, non invecchierò; e se non invecchierò, non morirò; e se non morirò non prenderò mai il suo treno.
Il Macchinista si volse altrove. Le sue spalle sussultavano convulsamente, come se stesse piangendo. — E poi hai il coraggio di dire che io sono peggio di un venditore di auto usate — singhiozzò con voce strangolata.
Poi scomparve nella nebbia, e il fischio del treno urlò impaziente; d’un colpo si mosse velocemente sulle rotaie, sferragliando via nell’oscurità.
Martin restò immobile, sbattendo gli occhi davanti all’orologio d’argento che teneva in mano; se non fosse stato perché lo vedeva e lo sentiva, se non fosse stato per quell’odore inconfondibile, avrebbe pensato di essersi immaginato la storia dall’inizio alla fine: il treno, il Macchinista, l’affare e tutto il resto. Ma aveva l’orologio e riconosceva benissimo l’odore lasciato dal treno scomparso, anche se non ci sono molte locomotive in giro che utilizzino come combustibile lo zolfo.
Non aveva dubbi sull’affare fatto: era la logica conclusione di pensieri a lungo covati. Uno stupido avrebbe chiesto la ricchezza, la potenza, o Kim Novak. Il suo vecchio si sarebbe venduto per una bottiglia di whisky. Martin sapeva di aver fatto una scelta migliore. Migliore? Era assolutamente a prova di errore: tutto quello che lui doveva fare era di scegliere il suo momento.
Ripose in tasca l’orologio e riprese la via lungo i binari. Fino a quel momento non aveva mai avuto in testa una mèta, ma adesso sì: adesso era in cerca di un momento di felicità.
Ora il giovane Martin non era del tutto un ingenuo, e si rendeva perfettamente conto che la felicità è una cosa relativa e che ci sono diverse condizioni e gradi di soddisfazione, i quali variano nel complesso dei fatti della vita. Quando era stato un vagabondo, si era spesso contentato di un po’ di cibo caldo mendicato, di una comoda panchina in un parco o di una lattina di Sterno confezionata nel 1957 (una buona annata). Più di una volta aveva raggiunto uno stato di momentanea felicità grazie a queste povere cose, ma sapeva benissimo che ne esistevano altre, migliori, ed era ben deciso ad averle.
Due giorni dopo raggiunse la grande città di Chicago. Puntò difilato alla West Madison Street e là cominciò a muovere i primi passi sulla via del miglioramento della sua vita. Diventò un fannullone di città, un accattone girovago. In una settimana era arrivato al punto in cui un vero pasto su di un piatto di cartone, una brandina da due soldi in qualche taverna e un’intera bottiglia di moscatello erano una felicità.
Giunse quindi la notte in cui Martin, dopo essersi goduto appieno tutti questi tre lussi, pensò di togliere la carica dell’orologio, essendo al colmo della soddisfazione. Ma poi ricordò le facce della brava gente cui aveva allungato una mano mendica: certo, erano dei borghesi, però traspiravano prosperità; vestivano bene, avevano buoni impieghi, guidavano belle auto e per loro la felicità doveva essere più eccitante ancora… mangiavano in buoni ristoranti, dormivano su materassi a molle, bevevano whisky di qualità.