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Lui sogghignò tristemente. — Sapevo che quando l’avessi vista non ci sarebbe stato bisogno di dirti una parola, Jason — annuì. — Pompiamo da una riserva profonda una decina di metri, ma l’acqua che vi affluisce dall’esterno è unicamente lo strato di superficie.

— Uno stratagemma intelligente — mi complimentai. — Ma questa rete non vi dimezza le possibilità di manovra?

— Diciamo pure che le annulla — confessò lietamente. — Ma non abbiamo bisogno di muoverci finché riusciamo a mandar giù le tubature per l’assorbimento dell’acqua fredda oltre il bordo di questo bassofondo. Il guaio è che in profondità non abbiamo la bassa temperatura che vorrei. — Poi chiese: — Dimmi, Jason, voi cosa usate contro le incrostazioni organiche?

— Lo stesso vostro sistema, suppongo. Ogni dieci giorni invertiamo il flusso, assorbendo sabbia come detergente. Questo ci costa un bel po’ d’energia, tuttavia. — Il mare è pieno di piccole forme di vita che cercano qualcosa a cui abbarbicarsi… e sfortunatamente qualsiasi superficie va loro bene. L’interno delle tubature è dunque un posto buono quanto un altro. Il problema non esiste con quelle che assorbono acqua fredda, poiché nell’alto fondale non c’è vita organica di quel genere. Ma con le tubature di superficie è un’altra faccenda.

— Stiamo usando il cento per cento dello strato superiore — esclamò. — È tutto intrappolato in quest’infossatura e tiriamo dentro molta sabbia per ripulire le incrostazioni.

— Ottimo lavoro, certo. Ma cosa farete quando i vostri filtri saranno intasati? — dissi. Lui rise e mi portò al bar per offrirmi un drink, quasi per premiarmi d’aver individuato la falla nel loro stratagemma.

Nei tre giorni che restammo lì mi lasciai offrire da bere molte volte. Non avevo nessuna disposizione d’animo negativa verso gli ufficiali e gli equipaggi di Betsy, però non potevo dire lo stesso dei suoi amici. E non mi andava giù che a May piacessero alcuni di loro. Tutte le ospiti di sesso femminile proclamavano d’essere attrici o fotomodelle, raccontando fandonie con assoluta disinvoltura. Anche gli uomini spacciavano balle, alcuni per il semplice fatto di autodefinirsi uomini. Basti dire che fra i più sopportabili c’era Simon Kelleway di Las Vegas, un tipo strisciante, al momento ospite di Betsy a causa di una condanna per omicidio rilasciatagli in contumacia da un tribunale del Nevada. E c’era Dougie d’Agasto di Miami Beach, alto e bello, il più potente proprietario di bordelli della costa atlantica. Era quasi tutta gente di Chicago, Los Angeles e New Orleans, e si comportavano come se fossero ricchi esponenti del jet-set a un party elegante, ma dal primo all’ultimo avevano ottimi motivi per stare lontani dalle grinfie della legge.

Quello che mi restava maggiormente sul gozzo era proprio d’Agasto, il più attraente e il più vanesio di tutti. E mi restava sul gozzo perché May sembrava non disprezzare affatto la sua compagnia. La prima sera, a cena, seduti l’uno accanto all’altro avevano parlato molto. Ci voleva poco a capire che andava a letto con Betsy. Probabilmente tutti i suoi ospiti avevano conosciuto il suo letto, perché dopo la morte di Ben era diventata molto più avvicinabile e disponibile alle avventurette, o addirittura aggressiva verso chi solleticava i suoi appetiti. Con mia enorme sorpresa fece un tentativo perfino con me, quando alle due del mattino bussò alla mia porta per annunciarmi che non aveva voglia di dormire. Quando la informai educatamente che invece io quella voglia l’avevo, lei scosse le spalle e sogghignò: — Be’, probabilmente da un vecchio pitocco come te non ci cavarei niente comunque. Aspetti la tua May da tanto tempo che ormai devi esserti fossilizzato. — Se ne andò senza dire altro, e io desiderai più che mai di non aver accettato il suo invito.

Così trascorsi tutto il mio tempo evitando con cura Betsy e i suoi amici. Presi ogni pasto con il comandante Havrila, alla mensa ufficiali, e parlammo di bottega apertamente e con molta franchezza, scambiandoci informazioni anche abbastanza riservate sui fatti accaduti. La più parte di quel che dicemmo, tuttavia, non era segreto. Sapevo che Betsy stava diversificando la sua produzione, perché ciò che vendeva sulla terraferma diventava di pubblico dominio sin da quando firmava un contratto. Non ero invece al corrente del suo progetto di manifatturare prodotti finiti, sia in acciaio sia nell’elettronica. — Le navi che arrivano qui sono comunque in zavorra — disse Jim Mordecai, il direttore alle Vendite. — Perciò potrebbero portarci la materia prima… e noi abbiamo l’elettricità. Inoltre produciamo molto ossigeno extra, che stiamo già buttando via per non far crollare il prezzo con un’eccessiva immissione sul mercato. E c’è da considerare l’inquinamento.

— Inquinamento? Qui nell’oceano? — chiesi.

— È proprio qui che possiamo fare a meno di preoccuparcene, Jason, in mare. Sulla terraferma dovremmo montare costosi impianti di depurazione. Anche se… — ebbe un sogghigno, — non so se la gente alle Hawaii sarebbe d’accordo con me. — Tacque, volgendosi a interrogare il comandante con un’occhiata. — Comunque abbiamo una specie di problema d’inquinamento — disse, e Havrila dovette segnalargli il suo assenso perché continuò: — Stiamo pompando su tanta acqua dal fondale che il residuo di anidride carbonica non si dissipa abbastanza in fretta. Superiamo già le cinquecento parti per milione.

— Davvero? Io non avevo notato niente.

— Naturalmente! — esclamò il comandante Havrila. — Da quanto possiamo dire non c’è alcun rischio per la salute. Anzi, miss Betsy dice che le piace: fa crescere meglio le piante del suo giardino! E ora che ne dici di un brandy, Jason?

Dissi che mi andava. Me ne sarei lasciato offrire anche un altro, ma avevano del lavoro da fare e non volevo trattenerli. Così mi offrii volontario per portare Jimmy Rex a fare una passeggiata e ne approfittai per dare un’occhiata al grande giardino. C’erano siepi di buganvillee, orchidee, rose, e le aiuole erano fiorite e lussureggianti.

Alle persone sensibili piace cogliere fiori, e a Jimmy Rex piaceva. Solo che la sua sensibilità era diversa: li coglieva a manciate, scaraventandoseli dietro le spalle mentre avanzava lungo le aiuole. Visto che ce n’erano fin troppi lo lasciai fare, limitandomi a seguirlo e pensando ai fatti miei, finché d’un tratto udii delle voci e alzando gli occhi vidi che stava cercando d’infilarsi fra i cespugli. — Torna indietro, James Reginald! — gridai. Con mio stupore ubbidì subito, mogio mogio. Sentii dei sussurri oltre le frasche, poi qualcuno si allontanò mentre qualcun altro aggirava invece i cespugli per vedere chi fossi.

Era Dougie d’Agasto. Indossava pantaloncini corti e scarpe da tennis, slacciate, e la camicia di seta l’aveva in mano. Se la gettò su una spalla nuda e abbronzata. — Oh, sei tu, Jason — sorrise. O almeno, la smorfia poco amichevole che mi diresse intendeva sembrare anche un sorriso. — Già, quando ho visto Jimmy Rex mi son detto che tu non dovevi essere lontano. È un bene che non siate capitati qui dieci minuti prima!

A me non interessava affatto sapere con chi andava a rotolarsi fra i cespugli. Poggiai una mano su una spalla di Jimmy Rex — di fronte agli estranei aveva imparato a mostrarsi docile — e dissi: — Stavamo giusto per rientrare.

Lui annuì distrattamente, sbadigliò, si grattò il torace e spazzolò la camicia, ma i suoi occhi restarono fissi su di noi. — Ho notato che non perdi mai d’occhio il Piccolino, eh? — disse.

— Certo non posso lasciarlo avvicinare alla balaustra — borbottai. D’Agasto mi osservò come se avessi parlato in una lingua straniera.

— Per l’amor del cielo, è solo di un incidente che hai paura? Io sto parlando di un rapimento, un sequestro. — Il suo sorriso si allargò, facendosi ancor meno amichevole. — Hai un’idea di quel che vale il piccolo?