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Il burocrate si schiarì la gola. — Non voglio andare molto lontano. Solo un po’ più a valle lungo il fiume e ritorno. — Tentò di colpire una mosca cirripede, che fece ugualmente in tempo a pungerlo sul braccio.

— No, anche i cuscinetti delle ruote si stanno bloccando. L’unico posto in cui si può trovare del lubrificante al giorno d’oggi è da Gireaux, e il vecchio Gireaux ha le mani un po’ troppo lunghe ultimamente. Cerca sempre di strappare almeno un bacino, o qualcosa del genere. Se volessi farmi dare una tanica di grasso da lui così, senza preavviso, come minimo dovrei mettermi in ginocchio e fargli un lavoretto di mano!

Gli uomini scoppiarono a ridere come una muta di cani. Puoffe, invece, scosse il capo ed emise un sospiro. — Tutto questo mi mancherà — disse con tono greve. In quel momento, il burocrate notò per la prima volta gli spinotti-interfaccia sui suoi polsi, grigi per la corrosione. Ai suoi tempi, doveva aver scontato una condanna su Caliban. Quell’uomo doveva avere una storia interessante alle sue spalle. — Tutti gli amici ti dicono che si manterranno in contatto anche quando si saranno trasferiti al Piedmont, ma io so che non sarà così. Chi credono di prendere in giro?

— Oh, falla finita — sbottò Aniobe. — Un uomo ricco come te avrà sempre amici, ovunque vada. Non è che hai bisogno di avere una personalità, o roba del genere.

Quando fu caricata l’ultima trave, Aniobe spense il motore del camion e ripiegò la gru. Gli operai rimasero in attesa di essere congedati. Uno in particolare, un giovanotto dall’aria spavalda con una cresta di capelli neri, vagò verso il porticato e si chinò con aria casuale su un vassoio di piume colorate; feticci, forse, o magari esche per la pesca. Chu lo osservò attentamente.

Stava nuovamente raddrizzandosi quando Chu gli afferrò il braccio.

— Ti ho visto! — Chu fece girare l’uomo e lo sbatté contro lo stipite della porta. Con il volto esangue per lo choc, l’uomo la fissò esterrefatto. — Cos’hai nascosto in quella camicia?

— I… io nulla! — balbettò l’uomo. — C… cosa… — Aniobe assunse una posizione rigida, appoggiandosi le mani ai fianchi. Gli altri operai, il burocrate e il negoziante rimasero perfettamente immobili e silenziosi, osservando l’evolversi della situazione.

— Toglila! — sbottò Chu. — Adesso!

Sconvolto e impaurito, l’uomo ubbidì. Si tolse la camicia e gliela porse, per dimostrare che non vi aveva nascosto dentro nulla.

Chu la ignorò. Fece scorrere lentamente il suo sguardo su e giù per il corpo dell’uomo. Aveva un torso sodo e muscoloso, con un lungo taglio madreperlaceo che attraversava l’addome e un ammasso scuro di peli ricci sul petto. Chu sorrise.

— Carino — disse.

Gli operai, il loro capo e il negoziante scoppiarono tutti in una fragorosa risata. La vittima di Chu divenne completamente paonazza in volto e abbassò il capo con un impeto di rabbia, limitandosi a stringere i pugni.

— Avete notato il modo in cui prendeva in giro gli uomini quella rossa? — commentò Chu mentre si allontanavano. — Che puttanella provocatrice. — In fondo alla strada che stavano percorrendo vi era un edificio dall’aspetto desolante, con il colmo del tetto incurvato verso il basso e la metà delle finestre rappezzate alla meglio con vecchi cartelli pubblicitari tagliati a misura. Il legno della struttura era scuro e marciscente, rattoppato con frammenti di parole e immagini che aprivano piccole porte su un mondo assai più luminoso; tre lettere, ZAR, una coda di pesce, un pezzo di corpo umano, che poteva essere un seno o un ginocchio, altre tre lettere, KLE, e un naso puntato dritto verso l’alto, come se il suo proprietario volesse catturare nelle narici qualche goccia di pioggia. Sopra la porta d’ingresso vi era un cartello con una scritta sbiadita, TERMINAL HOTEL. Attorno, vi erano i resti di una cancellata. — Anche mio marito è fatto così.

— Perché vi siete comportata a quel modo con quell’operaio? — domandò il burocrate.

Chu non fece finta di non capire. — Oh, ho dei progetti per quel giovanotto. Ora si farà qualche birra, cercando di dimenticare l’accaduto, ma naturalmente i suoi amici e colleghi non glielo permetteranno. Quando mi sarò sistemata in camera, mi sarò rinfrescata e avrò tutti i miei bagagli con me, lui sarà già mezzo ubriaco. Allora, andrò a cercarlo. Lui mi vedrà, e si sentirà un po’ accaldato, un po’ incerto e un po’ imbarazzato. Mi guarderà, e nemmeno lui saprà che sensazione sta provando. A quel punto, gli darò la possibilità di esprimere i suoi veri sentimenti.

— Il vostro metodo mi colpisce e mi lascia un po’… come dire, incerto, per quanto riguarda l’efficacia.

— Fidatevi di me — disse Chu. — Non è la prima volta che lo faccio.

— Aha — disse il burocrate con tono poco interessato. — Allora perché non andate avanti voi e prenotate le camere, mentre io vado a vedere se riesco a trovare la madre di Gregorian?

— Credevo aveste intenzione di interrogarla domani mattina.

— Ho detto così? — Il burocrate girò attorno a un mucchio di vecchi pneumatici marciscenti. Si trattava di un’informazione che aveva dato a Bergier di proposito, per sviarlo almeno in questo. Non si fidava affatto di Bergier. Non poteva assolutamente scartare a priori la possibilità che il vecchio comandante mandasse qualcuno nel corso della notte dalla madre di Gregorian per avvertirla di non dargli nessun genere di informazione.

Ma questo era solo un piccolo frammento di un puzzle ben più complicato, nel quale la parte più difficile da risolvere, almeno per il momento, era come e dove il falso Chu avesse ottenuto le informazioni necessarie per la sua piccola impresa. Non solo aveva saputo che nome usare, ma era anche riuscito a lasciare il velivolo un attimo prima che facesse la sua comparsa il vero tenente Chu. Inoltre, cosa ancor più rilevante, era anche stato a conoscenza del fatto che il burocrate non sapesse che il suo ufficiale di collegamento fosse una donna.

Evidentemente vi era qualcuno fra coloro che lavoravano con lui, o all’interno del governo planetario o addirittura facente parte della Technolgy Transfer stessa, che in realtà lavorava per Gregorian. E anche se non doveva trattarsi necessariamente di Bergier, il comandante dell’aereonave rimaneva comunque un ottimo sospetto.

— Ho cambiato idea — disse infine.

3. Il ballo degli eredi

Tramonto. L’audace Prospero era un galeone pirata che navigava verso la notte. Toccò l’orizzonte, appiattendosi in una forma ovale mentre appiccava il fuoco a continenti di nubi. Sotto gli alberi, le ombre svanivano per trasformarsi in aria azzurrognola. Il burocrate arrancava lungo la strada che costeggiava il fiume, passandosi la valigetta da una mano all’altra, imprecando fra sé per il dolore ai palmi e alle dita.

Ai margini estremi del villaggio, tre uomini vestiti di stracci avevano preparato un fuoco sulla strada e vi stavano arrostendo delle patate dolci. Un gigante scuro stava seduto, inzuppando grosse foglie in una bacinella d’acqua e avvolgendole una per una attorno ai tuberi. Un uomo dall’aspetto grigio e allampanato li infilava nel fuoco, e il terzo, il più attempato, rimestava le braci. Infilati nella sabbia vi erano due televisori, uno con l’audio spento e l’altro, voltato dalla parte opposta, che vomitava immagini sul sentiero deserto. — Dolce serata — disse il burocrate.

— Altrettanto — disse l’uomo allampanato. Attraverso i buchi nei suoi pantaloni, si intravedevano ginocchia ossute. — Accomodatevi. — Si fece da parte, e il burocrate si accucciò al suo fianco, piegando le ginocchia e stando attento a non sporcare i suoi pantaloni bianchi. Sullo schermo vi era l’immagine di un uomo appoggiato al davanzale di una finestra che fissava il mare con aria malinconica. Dietro di lui vi era una donna, che teneva la mani appoggiate sulle sue spalle. — Il vecchio non riesce a credere che ha visto una sirena — spiegò il tipo allampanato.