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— I padri sono fatti così. — Il fumo azzurrognolo aleggiò morbido nel cielo serale, emettendo un odore di cedro e legno vecchio. — Siete a caccia? — domandò il burocrate.

— In un certo senso — disse l’allampanato. Il gigante emise uno sbuffo.

— Siamo sciacalli — disse il vecchio con tono duro. — E se non vi va bene, ditelo subito e andatevene affanculo. — Lo fissarono tutti e tre, senza battere ciglio.

Nell’improvviso silenzio, il burocrate poté udire l’audio della trasmissione la cui visione aveva interrotto. “Byron, vieni via da quella finestra. Là fuori non c’è proprio niente, a parte l’oceano freddo e cangiante. Vai a prendere un po’ d’aria. Tuo padre dice che…

“Mio padre pensa solo al denaro”.

— Ho una bottiglia di brandy distillato sottovuoto nella mia valigia. — Il burocrate prese la bottiglia, fece un sorso e la offrì. — Se questo potesse convincervi…

— Be’, se non altro è una proposta molto gentile. — La bottiglia fece il giro della compagnia, due volte. — Andate verso il villaggio? — domandò infine l’allampanato.

— Sì, vado a trovare madre Gregorian. Magari voi sapete anche dove si trova la sua casa.

I tre si scambiarono uno sguardo. — Non otterrete nulla da lei — disse il solito allampanato. — La gente del paese racconta strane storie su di lei. È un tipo strano. — Rivolse lo sguardo verso il televisore. — Dovrebbero metterla in questo programma.

— Raccontatemi qualcosa di lei.

— No, non è il caso. — Sollevò un braccio sparuto e indicò la strada. — La strada finisce davanti al fiume. Basta che seguiate il corso del fiume, fino alla quinta…

— La sesta — intervenne il più anziano.

— La sesta strada a destra. Passate accanto alla chiesa, oltre il cimitero, fiancheggiando le paludi. Non potete mancarla, più che una casa è un fottutissimo castello.

— Grazie — disse il burocrate, alzandosi in piedi.

Gli uomini non lo stavano più guardando. Sullo schermo, una bambina albina stava in piedi in mezzo a una discussione furente. Era come un’isola di calma e serenità, i suoi occhi vacui e leggermente autistici. — Quella è Eden, la sorella del ragazzo — commentò l’allampanato. — Non ha detto una parola da quando è accaduto il fatto.

— Che fatto?

— Ha visto un unicorno — spiegò il gigante.

Visto dall’alto, il villaggio assomigliava a un antichissimo e semplicissimo circuito stampato, il genere di circuito che avrebbe potuto usare Galileo per costruire il suo primo radiotelescopio, a meno che non stesse confondendo due epoche diverse. Si trattava di una serie di linee contorte che conducevano verso l’interno partendo dal fiume, viuzze talmente piccole che non avevano bisogno di intersezioni. Le case erano piccole e malconce, ma dalle finestre si intravedeva una calda luminosità e si udiva il mormorio delle voci provenienti dall’interno. Il burocrate incontrò un paio di cani, che con i loro latrati lo tennero a debita distanza dalle barche e dai piccoli cantieri. A parte un oste che gli rivolse un pigro cenno di saluto dalla porta del suo alberghetto, non incontrò nessuno lungo il fiume. Dopo un po’ svoltò sulla via die attraversava la palude, lasciandosi il fiume freddo e argenteo alle spalle. Passò accanto a un campo circondato da muri dove gli scheletri pendevano dagli alberi. Le ossa erano sbiancate, dipinte e legate assieme col fil di ferro; producevano un suono leggero e inquietante nel vento appena avvertibile.

Superato il cimitero, la strada iniziò a salire dolcemente. Il burocrate passò accanto a diverse case nere e massicce che, abbandonate da poco dai loro ricchi proprietari, non erano ancora state razziate. Probabilmente i proprietari erano andati tutti al Piedmont per partecipare al grande boom economico. L’ultima casa della strada, che andava a terminare nelle acque stagnanti della palude, era la sua destinazione.

L’esterno dell’edificio era pieno di bolle e di gusci di crostacei, e la luce che filtrava nel mondo esterno attraverso le massicce imposte era ben poca cosa. Tuttavia, sotto le incrostazioni delle crisalidi, le assi di legno erano intagliate in maniera squisita e perfettamente in linea. Il burocrate si fermò davanti all’imponente ingresso e premette il campanello. Udì una voce dall’interno. — Ospiti, padrona. — Poi la voce si rivolse a lui, da dietro la porta. — Vogliate attendere un attimo, per cortesia.

Un attimo dopo, la porta si aprì su un volto esangue e sparuto. Nel vedere il burocrate, il volto manifestò un’espressione di stupore, che tradì un istante di paura prima di ricomporsi in un atteggiamento normalmente circospetto. La donna sollevò il mento in aria di sfida, tanto che i suoi occhi sembrarono scostarsi simultaneamente da lui. — Credevo foste il perito.

Il burocrate sorrise. — Madre Gregorian?

— Oh, lei. — La donna si voltò. — Forse è meglio che entriate. — Il burocrate la seguì attraverso un corridoio che ricordava un esofago, tappezzato con uno stampo floreale reso marrone dal tempo, fino allo stomaco, un salotto affollato, dove venne fatto accomodare su una poltrona scura dai piedi leonini. Era un oggetto assai massiccio, ricoperto di tessuto felpato, con i margini inferiori frangiati e i braccioli imbottiti. Muoverla sarebbe stata un’impresa.

Un’altra donna fece il suo ingresso nella stanza, tutta trafelata. — È il perito? Fagli vedere il cristallo, io… — Si fermò.

Toc. Un metronomo, incastrato fra due campane di vetro impolverate, giunse alla fine del suo percorso oscillatorio e iniziò il lungo, lentissimo viaggio di ritorno, scandendo in maniera grave e laboriosa i lenti secondi della mortalità. Dal soffitto di stagno moltitudini di teste di bestie imbalsamate lo scrutavano con occhi di vetro grigio, verde e arancione. Notò in quel momento che la stanza era piena di facce. Sonnecchianti, con le bocche spalancate o con espressioni di disapprovazione, i volti erano intagliati nelle gambe, lungo i bordi e sulle basi di scrittoi, tavoli, credenze e armadietti che lottavano fra loro a spallate per conquistarsi il loro spazio. Persino i pezzi in mogano biondo erano stati intagliati con grande eleganza. Il burocrate si domandò che fine avessero fatto i trucioli avanzati; certamente non erano stati buttati via. Quella stanza aveva un valore enorme, e sarebbe stata decisamente più confortevole se non vi fossero stati affollati tutti quei mobili. Toc. Il metronomo si fece sentire nuovamente, e le donne continuarono a osservarlo, come se non avessero più intenzione di profferire alcunché.

— Non vorrei apparire insistente, Ambryn, ma dovrò forse aspettare in eterno prima che tu mi presenti questo tuo amico?

— Non è amico mio, è venuto per la mamma.

— Un motivo in più per dimostrargli un minimo di cortesia e di ospitalità. — La donna protese una mano, e il burocrate si alzò in piedi per stringergliela. — Piacere, sono Lingore Gregorian — disse. — Emse! Dove sei?

Apparve allora una terza donna, con indosso un vestito color marrone, che si stava asciugando le mani con uno straccio. — Se è il perito, ricordatevi di dirgli che Ambryn ha rotto il… — Si interruppe. — Scusate. Non sapevo che vi fosse un ospite. — Non disse più nulla, ma rimase dov’era, a guardare.

— Non essere sciocca, Emse. Questo signore è venuto a vedere mamma. Portagli un bicchiere di birra.

— Oh, ma non è necessario…

— I Gregorian hanno sempre tenuto all’ospitalità — disse la donna con fermezza. — Vi prego, accomodatevi. Al momento la mamma è con il dottore, ma se avrete la pazienza di attendere, sono sicura che potrà ricevervi, almeno per qualche minuto. Vi prego però di non emozionarla troppo, poiché è molto malata.

— Sta morendo — intervenne Ambryn. — Non vuole che la portiamo al Piedmont, dove si trovano gli ospedali migliori. Si è messa in testa di rimanere in questo tugurio decadente fino alla fine dei suoi giorni. Credo che si aspetti di essere trascinata via dalle maree. Naturalmente, le autorità addette all’evacuazione non glielo permetteranno. — I suoi occhi assunsero un’espressione distante. — E quello sarà l’affronto finale, essere cacciati via come dei poveri indigenti.