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Leoh stava per rispondere, quando la porta si aprì e Odal entrò nella stanza. Indossava un’uniforme militare azzurra, con i distintivi del grado sulle spalle e la Stella di Kerak sul petto.

— Professore, sono davvero onorato — disse con un inchino. — E il signore…?

— Sottotenente Hector, della Guardia Spaziale — rispose lui con un’incisività che sorprese Leoh.

— È qui per aiutarmi — spiegò il professore. — Tiene il collegamento con il Comandante Spencer.

— Capisco — commentò Odal. E fece cenno ai due visitatori di accomodarsi. Hector e Leoh sedettero su un divano di velluto, mentre Odal prendeva una seggiola rigida e si piazzava di fronte a loro. — Allora, perché siete venuti?

— Desidero che rimandiate il duello che dovrebbe aver luogo domani col ministro Massan — rispose Leoh.

La faccia di Odal s’illuminò di un sorriso tirato. — Massan ha acconsentito?

— No.

— E allora perché dovrei farlo io?

— Per essere franco, maggiore, ho il sospetto che qualcuno stia manomettendo la macchina usata nei vostri duelli. Per il momento diciamo pure che voi non ne sapete niente. Vi chiedo soltanto di rimandare qualsiasi incontro fino a quando non saremo venuti a capo di questa faccenda. Le duellomacchine non devono diventare strumento di assassinio politico.

Il sorriso di Odal svanì. — Spiacente, professore, ma non posso accontentarvi. In quanto a manomettere gli apparecchi vi posso assicurare che né io, né alcun cittadino dei Mondi Kerak, ci siamo mai permessi di toccarli senza la debita autorizzazione.

— Forse non afferrate bene la situazione — insisté Leoh. — La settimana scorsa abbiamo controllato minuziosamente la duellomacchina qui in Acquatainia, e abbiamo capito che le sue prestazioni possono essere molto influenzate dalla personalità e dall’atteggiamento dei contendenti. Voi avete duellato parecchie volte, e l’esperienza acquisita vi dà un deciso vantaggio sui vostri avversari. Per di più siete anche militare di carriera. Nonostante tutto sono convinto che nessuno possa uccidere un uomo nella duellomacchina… in circostanze normali. L’abbiamo dimostrato con i nostri esperimenti. Se l’apparecchio non viene manomesso, non può causare un danno fisico reale. Però voi avete già ucciso un uomo e ne avete rovinato un altro. Dove finirà questa storia?

Odal rimase impassibile, ma un lampo si accese nel suo sguardo. Quando parlò la sua voce era pacata ma tagliente come una lama d’acciaio affilata. — Non mi si può rimproverare il fatto di avere più esperienza di altri — replicò. — E io non ho assolutamente manomesso la macchina.

La porta della stanza si aprì e comparve un tipo piccolo e tarchiato, con la testa tonda come una palla da biliardo. Indossava un abito da passeggio scuro per cui fu impossibile, ai due visitatori, indovinare che mansioni espletasse all’ambasciata.

— I signori desiderano qualcosa? — domandò l’individuo.

— No, grazie — disse Leoh.

— Del vino Kerak, forse?

— Be’…

— No, grazie. Credo che sia meglio di no, signore — disse con fermezza Hector. — Grazie lo stesso.

L’uomo si strinse nelle spalle e sedette accanto alla porta. Odal si girò verso Leoh. — Signore, ho anch’io i miei impegni — disse. — Massan e io ci batteremo domani. Impossibile rimandare.

— Benissimo — replicò il professore gentilmente. — Mi permetterete, almeno, di mettere un apparecchio speciale nella vostra cabina, per controllare l’incontro? Faremo lo stesso con Massan. Lo so che in genere i duelli sono strettamente privati e che voi avreste tutto il diritto di rifiutare la mia richiesta, però moralmente…

Sulla faccia di Odal tornò il sorriso. — Volete controllare i miei pensieri, registrarli e vedere come mi comporto durante l’incontro? Interessante.

L’uomo alla porta si alzò e disse: — Se i signori non desiderano nulla…

Odal si girò verso di lui. — Grazie, non ci occorre niente — dichiarò.

Gli sguardi dei due uomini si incrociarono per un istante: il tipo dalla testa pelata fece un cenno impercettibile ed uscì.

Il maggiore rivolse nuovamente l’attenzione a Leoh. — Spiacente, ma non posso accettare un controllo del genere.

— Ma…

— Mi spiace di dover rifiutare. Ma, come avete osservato voi stesso, non c’è alcuna legge che possa obbligarmi ad acconsentire alla vostra proposta. Devo rifiutare. Spero che capirete.

Leoh si alzò lentamente dal divano. — No, non capisco. Ve ne state lì seduto a discutere di leggi mentre tutti e due sappiamo benissimo che avete deciso di assassinare Massan domani. — Con voce piena d’ira trattenuta, il professore continuò: — Avete trasformato la mia invenzione in un’arma mortale, ma avete anche trasformato me in un nemico! Scoprirò quello che avete fatto e non avrò pace fino a quando voi e quelli della vostra razza non sarete finiti nell’unico posto che fa per voi: sul pianeta dei pazzi.

Hector andò alla porta e l’aprì. Poi lui e il professore uscirono, lasciando Odal solo nella stanza. Dopo pochi minuti tornò l’uomo vestito di scuro.

— Ho appena parlato col Duce, alla tridimensionale, e ho ottenuto il permesso di alterare leggermente i nostri piani.

— Alterare, signor Kor?

— Nel prossimo duello, non quello di domani, vi batterete contro il professor Leoh — disse Kor. — È il primo che deve morire.

10

La nebbia turbinava profonda e impenetrabile intorno a Fernd Massan, che scrutava inutilmente attraverso la visiera del casco.

Non avrei mai creduto che un’allucinazione potesse sembrare tanto reale, pensò alzando lentamente un braccio e sistemando con cura sulla fronte il rivelatore a raggi infrarossi.

Dopo la sfida di Odal il mondo vero gli era sembrato del tutto inconsistente. Per una settimana aveva compiuto le solite azioni, ma si era sempre sentito come in disparte, come una mente che guarda il proprio corpo da una certa distanza. Gli amici e i collaboratori, che la notte prima del duello si erano radunati in un silenzioso e funereo gruppo, gli erano sembrati fuori della realtà.

Ora, invece, in quel sogno artificiale si sentiva vivo e vibrante. Ogni situazione era solida, stimolante. Sentiva il sangue pulsargli nelle vene. In un luogo imprecisato, tra la nebbia, c’era Odal nascosto. E il pensiero di doversi scontrare con l’assassino lo riempiva di uno strano piacere.

Massan serviva da molti anni il suo governo sui pianeti ad alta gravità, ricchi ma inospitali, dell’Ammasso d’Acquatainia. E si era scelto proprio quell’ambiente: una gravità schiacciante, con pressioni mortali. Un’atmosfera composta di ammoniaca e di idrogeno legata da radicali liberi di zolfo e da altre sostanze chimiche mortali. Un terreno solido, fatto di ghiaccio, che si erodeva e si sbriciolava rapidamente. Venti furiosi e impetuosissimi, capaci di sollevare una montagna di ghiaccio e di lanciarla lontano, attraverso il pianeta. Oscurità, insidia, morte.

Massan era incapsulato in un apparecchio protettivo monoposto: per metà tuta corazzata, per metà veicolo. Un sistema interno, a sospensione liquida, rendeva sopportabile la gravità quattro volte superiore a quella normale; tuttavia la protezione era ingombrante e permetteva di muoversi soltanto lentamente, anche con l’aiuto di servomotori.

L’arma che Massan aveva scelto era di una semplicità incredibile: una capsula di ossigeno da tenersi in mano. Ma in un’atmosfera composta di idrogeno e ammoniaca l’ossigeno poteva esplodere da un momento all’altro.

I duellanti portavano molte di queste bombe assicurate agli scafandri. La difficoltà stava nel gettarle alla distanza giusta. Non era facile riuscirci senza avere anni di esperienza.