— Non ci capisco più niente — disse Leoh scuotendo la testa. — Tanto vale che creda alle loro parole. Non sono vicino a una risposta più di quando arrivai cui. Forse avrei dovuto ritirarmi alcuni anni fa, prima di inventare la duellomacchina.
— No!
— Sì, invece. Questo è il primo vero problema intellettuale contro cui mi sono trovato a lottare in tutti questi anni. Trafficare con le macchine non è difficile: si sa dove si vuole arrivare, e basta obbligarle a funzionare correttamente. Ma questo… Credo di essere troppo vecchio per occuparmi di un rebus come questo.
Hector si grattò il naso, sopra pensiero, poi rispose: — Se non siete in grado di risolvere il problema, signore, avremo certamente una guerra. Questione di mesi, di settimane, forse. Kanus non si accontenterà di essersi beccato il gruppo di Szarno. Vorrà prendersi anche l’Ammasso d’Acquatainia… e dovrà lottare per conquistarlo.
— Entrerà in gioco la Guardia Spaziale, allora.
L’altro si protese sulla sedia, nello sforzo di chiarire il proprio punto di vista. — Ma ci vorrà del tempo per mobilitare la Guardia Spaziale. Kanus può muoversi molto più rapidamente di noi. Certo, potremmo gettare nella mischia un gruppo d’assalto. Ma l’esercito di Kerak se lo inghiottirebbe in un battibaleno. Io non sono un uomo politico, ma so che accadrà così. Be’, Kerak si beccherà l’Ammasso d’Acquatainia e distruggerà il gruppo d’assalto della Guardia Spaziale, poi scoppierà la guerra tra la Federazione e Kerak. E sarà una guerra grossa, perché Kanus potrà attingere alle risorse di Acquatainia.
Leoh aprì la bocca per rispondere, poi si fermò, gli occhi fissi all’entrata della sala da pranzo. All’improvviso il chiacchierio sommesso dei commensali si era gelato e i camerieri erano rimasti immobili tra i tavoli. Nessuno mangiava, beveva, conversava più.
Hector si girò e vide Odal sulla porta del locale, nella sua uniforme azzurra.
A poco a poco ciascuno tornò a occuparsi dei fatti propri, evitando di guardare il maggiore kerakiano che, un sorrisetto sulle labbra, si dirigeva al tavolo di Hector e Leoh.
I due si alzarono e gli rivolsero un saluto convenzionale. Poi Odal sedette accanto a loro, senza essere stato invitato.
— Che cosa volete? — domandò il professore, brusco.
Prima che l’altro potesse rispondere, il cameriere incaricato del loro tavolo si avvicinò, voltandosi in modo da girare le spalle al maggiore, e disse con voce ferma: — Il pranzo è pronto, signori. Devo servirlo ora?
— Sì — rispose Hector prima che Leoh potesse aprir bocca. — Il maggiore se ne va subito.
Odal sorrise di nuovo. Il cameriere si inchinò e partì.
— Ho ripensato alla nostra conversazione della scorsa notte — disse Odal al professore.
— Sì?
— Mi avete accusato di essermi battuto in modo sleale.
Leoh inarcò le sopracciglia. — Veramente ho detto che qualcuno si comportava slealmente…
— Un’accusa è un’accusa.
Leoh non rispose.
— Ritirate quello che avete detto o mi accusate ancora di assassinio premeditato? Sono disposto ad accettare le vostre scuse e a permettervi di lasciare Acquatainia indisturbato.
Hector si schiarì la gola rumorosamente. — Questo non è il posto adatto per le discussioni — disse. — E poi… ecco il nostro pranzo che arriva.
Ignorando Hector, Odal tenne fissi i gelidi occhi azzurri su Leoh. — Mi avete sentito, professore? Volete partire? Oppure…
Hector sferrò un gran pugno sul tavolo e balzò su dalla sedia, proprio mentre il cameriere arrivava con un vassoio carico di antipasti e minestra. Si udì un gran fracasso: una zuppiera, due insalatiere, diversi bicchieri, panini, formaggi assortiti e altre ghiottonerie si riversarono sopra Odal.
Il maggiore balzò in piedi, imprecando con violenza nella sua lingua. E tutto il ristorante scoppiò in una fragorosa risata.
Allora, tornando a esprimersi in un terrestre stentato, Odal urlò: — Stupido idiota maldestro! Testa di rapa di un bastardo, faccia da paesano…
Impassibile, Hector fece schizzar via una fogliolina d’insalata dalla manica della sua tunica, mentre Odal schiattava di rabbia.
— Maldestro può anche darsi — disse il sottotenente, ridendo. — In quanto allo stupido e al resto non sono d’accordo. Mi avete insultato gravemente.
Un lampo di comprensione attraversò lo sguardo di Odal. — Capisco. Non stavo parlando con voi. Chiedo scusa. — E si voltò di nuovo verso Leoh, che pure si era alzato in piedi.
— Eh no, non basta! — disse Hector. — Non… uhm… non mi piace il tono in cui mi avete chiesto scusa. Voglio dire…
Leoh alzò una mano, quasi per raccomandare al giovane di dominarsi.
— Vi ho chiesto scusa — disse Odal, rosso di rabbia. — Mi sembra più che sufficiente.
Hector fece un passo verso di lui. — Potrei rivolgervi una fila di insolenze — chiarì — oppure insultare il vostro Duce o qualcosa del genere… ma questo mi sembra più immediato. — Afferrò la caraffa dell’acqua che stava sul tavolo e la rovesciò sulla testa del maggiore.
I clienti raccolti nella sala scoppiarono in un’omerica risata. Odal impallidì. — Avete deciso di crepare — disse tra i denti, asciugandosi gli occhi gocciolanti. — Ci batteremo prima che la settimana sia terminata. E non avrete salvato nessuno. — Poi si voltò e uscì senza aggiungere altro.
Tutti si alzarono in piedi, applaudendo. Hector scosse la testa e rise.
— Ma vi rendete conto di quello che avete fatto? — disse Leoh, allibito.
— Stava per sfidare voi…
— Mi sfiderà lo stesso, dopo che voi sarete morto.
— Può darsi — rispose l’ufficiale, stringendosi nelle spalle. — Probabilmente avete ragione. Ma, se non altro, avremo guadagnato un altro po’ di tempo.
— Quattro giorni. — Il professore scosse la testa. — Mancano quattro giorni alla fine della settimana. E va bene, venite. Abbiamo molto da fare.
Hector lasciò il ristorante ridendo di cuore. Poi cominciò a fischiettare.
— Si può sapere perché siete così allegro? — brontolò Leoh.
— È per voi, signore. Quando siamo entrati qui, voi eravate quasi sconfitto. Ora avete ricominciato a lottare.
Il professore lo fissò. — A modo vostro, ragazzo mio, valete davvero qualcosa… mi sembra — dichiarò tra i denti.
12
Alla chiamata radio del portiere, il loro veicolo uscì dalla rimessa dov’era stato parcheggiato e salì la rampa che portava all’ingresso del ristorante. Pochi minuti dopo Hector e Leoh sfrecciavano attraverso la città, mentre le ombre della notte si addensavano.
— Un uomo solo — mormorò il vecchio, con aria pensosa — è sopravvissuto a un duello con Odal.
— Dulaq — disse Hector. — Ma è esattamente come se fosse morto, dato che non può fornire alcuna informazione.
— È sempre nelle stesse condizioni?
Hector annuì lentamente. — I meditec — disse — pensano che con l’aiuto dei farmaci, le cure, eccetera… tra qualche mese potrebbero forse rimetterlo in sesto.
— Troppo tardi. Abbiamo solo quattro giorni.
Leoh rimase in silenzio alcuni minuti, poi disse: — Chi è il parente più prossimo di Dulaq? Ha moglie?
— Uhm, credo che sua moglie sia morta. Ha una figlia, però. Molto carina. Mi sono scontrato con lei all’ospedale un paio di volte.
Leoh sorrise nel buio. L’espressione del giovanotto mi sono scontrato con lei probabilmente andava presa in senso del tutto letterale.
— Ci sarebbe un modo per sapere da Dulaq che cosa accadde durante il duello — disse il professore. — Ma è assai pericoloso. Forse fatale.