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— Io — disse lo scienziato al sottotenente avvicinandosi ad una delle cabine — stringerò in mano il comando di emergenza, in modo da poter interrompere il duello istantaneamente. Tuttavia, ricordate che dovete essere pronto ad agire con rapidità se qualcosa non andasse. Seguite attentamente le mie condizioni fisiche: vi ho già mostrato quali strumenti dovete controllare sul pannello di comando.

— Sì, signore.

— Va bene, allora. — Il professore annuì e inspirò profondamente.

Poi entrò nella cabina e sedette. Hector lo aiutò a sistemare i neurocontatti, poi lo lasciò solo. Leoh si appoggiò all’indietro e attese che si determinasse l’effetto semi ipnotico. Si sapeva che Dulaq aveva scelto l’ambiente della città e la bacchetta cilindrica per arma, ma, ad eccezione di questo, tutto era sigillato ermeticamente nella mente del poveretto, incapace di comunicare. Avrebbe potuto, la macchina, superare quella barriera?

Lentamente, la nebbia immaginaria eppure tanto reale avviluppò Leoh. Quando si diradò, il professore se ne stava fermo su un marciapiede pedonale sopraelevato, nel centro commerciale della città. Per un istante tutto fu immobile.

Ho stabilito il contatto?, pensò Leoh. Con quali occhi vedo? Con quelli di Dulaq o coi miei?

Poi intuì. E provò un senso di meraviglia attonita, quasi divertita, per la realtà dell’illusione. I pensieri di Dulaq!

Libera la tua mente, disse a se stesso. Guarda. Ascolta. Resta completamente passivo.

Divenne uno spettatore che vedeva e udiva il mondo attraverso gli occhi e le orecchie del primo ministro acquatainiano, e che partecipava al suo incubo. Provava confusione, frustrazione, apprensione e terrore sempre crescente scorgendo, di quando in quando, Odal comparire tra la folla… solo per trasformarsi subito in qualcun altro e fuggire.

La prima parte del duello terminò, e Leoh fu improvvisamente sconvolto da tutta una serie di pensieri e stati d’animo confusi. Poi, lentamente, i pensieri si fecero più chiari.

Vide una pianura immensa, completamente vuota. Non un albero, non un filo d’erba: soltanto una distesa rocciosa e nuda che si allargava in tutte le direzioni fino all’orizzonte, sotto un cielo giallo e tormentoso. Ai suoi piedi c’era l’arma scelta da Odal. Una clava primitiva.

Mentre raccoglieva la clava, condivise il senso di terrore che aveva afferrato Dulaq. Lontano, all’orizzonte, poteva vedere l’uomo alto e magro che gli veniva incontro stringendo un’arma uguale alla sua.

Leoh, suo malgrado, si sentiva eccitato. Aveva superato la barriera eretta nella mente di Dulaq! Questi stava rivivendo la parte di duello che aveva causato lo shock.

Avanzò con riluttanza incontro a Odal. Mentre si avvicinavano uno all’altro, la figura del suo avversario sembrò suddividersi e moltiplicarsi. Ora erano in due, tre, quattro, sei. Sei Odal, sei immagini di lui riflesse in uno specchio, tutte armate di clave massicce che avanzavano decise contro di lui! Sei assassini alti e biondi, con sei sorrisi gelidi sulle facce attente!

Inorridito, travolto dal panico, Leoh cominciò a fuggire cercando di sottrarsi ai sei avversari che lo inseguivano con le clave alzate, pronti a colpire.

Le loro gambe, giovani e agili, riducevano rapidamente la distanza. Una botta sulla schiena fece cadere Leoh. Poi uno degli assassini lo disarmò con un calcio.

Un attimo dopo i sei assassini gli furono tutti sopra e sei braccia robuste si abbassarono di scatto più e più volte, senza pietà. Dolore e sangue, un’agonia delirante punteggiata dai terribili tonfi sordi delle clave che colpivano la carne e le ossa fragili, ancora, ancora, all’infinito.

Tutto scomparve.

Leoh aprì gli occhi e vide Hector chino sopra di lui.

— State bene, signore?

— Credo… credo di sì.

— L’apparecchio ha raggiunto l’indice di pericolo tutt’ad un tratto. Voi stavate… be’, stavate urlando.

— Lo credo bene — disse Leoh.

Tornò nel suo ufficio, appoggiandosi al braccio di Hector. — È stata una bella esperienza — mormorò, stendendosi sul divano.

— Che cosa è successo? Che cosa ha fatto Odal? Che cosa ha causato quello shock a Dulaq? Come…

Il vecchio lo zittì con un cenno della mano. — Una domanda alla volta, per favore.

Si abbandonò di nuovo sul divano e raccontò dettagliatamente i particolari del duello.

— Sei Odal! — mormorò Hector, appoggiandosi allo stipite della porta. — Sei contro uno!

— Proprio così. E si può capire facilmente come un tipo che si aspetti un duello formale, corretto, possa essere completamente demolito dalla perfidia di un simile assalto. E la macchina amplifica ogni impulso, ogni sensazione. — Leoh rabbrividì.

— Ma come ha fatto? — domandò il sottotenente.

— È quello che mi sono domandato anch’io. Abbiamo controllato più volte la duellomacchina. Non c’è assolutamente modo di farci entrare sei sicari, a meno che Odal…

— A meno che?

Il vecchio esitò. Infine rispose. — A meno che Odal sia un telepate.

— Telepate? Ma…

— Lo so che sembra inverosimile, ma esistono casi di telepatia ben documentati.

— Certo, ne abbiamo sentito parlare tutti — disse Hector, rabbuiandosi. — Telepati naturali. Ma sono così imprevedibili; voglio dire, come può…

Leoh si piegò in avanti e appoggiò il mento sulle mani intrecciate. — Le specie terrestri non hanno mai sviluppato poteri telepatici né qualsiasi altro talento extrasensoriale, tranne in casi eccezionali. Non ne hanno mai avuto bisogno, grazie al sistema di comunicazione tridimensionale e alle navi spaziali. Ma forse gli abitanti di Kerak sono diversi.

— Sono esseri umani come noi — rispose il sottotenente. — E poi, se avessero, ehm, poteri telepatici… be’, non credete che se ne servirebbero abitualmente?

— Naturale! — esclamò Leoh. — Odal sfoggia la sua abilità soltanto nella duellomacchina!

Hector sbatté le palpebre.

— Supponiamo che Odal sia un telepate naturale — spiegò il professore — come decine di terrestri hanno dimostrato di essere. Possiede un talento capriccioso, difficile da controllare. Una capacità, insomma, che in realtà non serve a molto. Poi entra nella duellomacchina e questa amplifica i suoi pensieri. E anche i suoi talenti. Capite? Fuori della macchina, non è niente più di un normale indovino ambulante. Ma la duellomacchina dà ai suoi talenti naturali l’ampiezza e la riproducibilità che non avrebbero mai potuto raggiungere da sé.

— Capisco.

— Così non dovrebbe essergli stato troppo difficile fare in modo che cinque compagni dell’ambasciata di Kerak presenziassero, per così dire, al duello. Può darsi che anche loro fossero telepati naturali, ma non è indispensabile.

— E quelli mettono semplicemente in comune cinque altre menti con la sua? Cinque uomini che compaiono all’improvviso nel duello? Una bella porcheria! — Hector si lasciò cadere sulla sedia dietro la scrivania. — E ora che cosa facciamo?

— Ora? — Leoh ammiccò. Be’, supponiamo che, prima di tutto, si vada all’ospedale a dare un’occhiata a Dulaq.

— Ah, sì, mi ero completamente dimenticato di lei. Anzi, di lui voglio dire!

Il professore formò il numero telefonico e la faccia di Geri apparve, impassibile, sul picco schermo.

— Come sta? — sbottò Hector.

— È stato troppo per lui — disse la ragazza con voce atona. — È morto. I medici hanno cercato di rianimarlo, ma…