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— No! — gemette Leoh.

— Mi… mi spiace davvero — mormorò Hector. — Vengo subito. Aspettatemi.

E mentre Geri interrompeva la comunicazione il sottotenente schizzò fuori dell’ufficio. Il vecchio fissò lo schermo buio per alcuni minuti, poi si stese sul divano e chiuse gli occhi. Si sentiva improvvisamente esausto, fisicamente e spiritualmente. Si addormentò e sognò uomini morti e morenti. Talvolta era Odal ad ucciderli, tal’altra era Leoh stesso.

Lo risvegliò il fischiettare esasperante di Hector. Era notte alta.

— Perché siete così allegro? — lo investì, mentre il giovane piombava nello studio.

— Allegro? Io?

— Stavate fischiettando allegramente.

Hector strinse le spalle. — Io fischietto sempre, signore. Questo non vuol dire che sia allegro.

— Va bene. — Leoh si stropicciò gli occhi e soggiunse: — Come ha preso la morte di suo padre, la ragazza?

— Male. Ha pianto molto. Siamo… insomma, siamo tutt’e due molto scossi.

Il professore lo guardò. — Mi detesta?

— Detestarvi? Ma no, signore. E perché? Detesta Odal, Kanus, i Mondi Kerak, ma non voi.

L’altro sospirò, sollevato. — Bene. Allora, noi abbiamo ancora molto lavoro da sbrigare e pochissimo tempo.

— Che cosa devo fare io?

— Telefonate al Comandante della Guardia Spaziale.

— Al mio ufficiale, su Alfa VI Perseo? Sono cento anni-luce di distanza.

— No, no, no! — Leoh scosse la testa. — Al Comandante in capo, Sir Harold Spencer: Al quartier generale della Guardia Spaziale, o dove altro diavolo si trovi. Non importa la distanza! Mettetevi in comunicazione con lui il più presto possibile.

Trattenendo un fischio di meraviglia, l’ufficiale cominciò a premere pulsanti sull’apparecchio telefonico.

14

Il mattino del duello arrivò. All’ora precisa, Odal, col piccolo seguito di secondi kerakiani, attraversò la porta della sala in cui si trovava la macchina.

Hector e Leoh erano già in attesa.

Con loro c’era un altro tipo che indossava l’uniforme nero e argento della Guardia Spaziale. Era un veterano robusto, dalla faccia larga, i capelli grigi e lo sguardo corrucciato.

I due gruppetti si radunarono al centro della sala, davanti al quadro di comando principale ella macchina. I meditec in tuta bianca entrarono da un’altra porta e rimasero in attesa, di lato.

Odal strinse la mano a Hector, com’era di prammatica. Il maggiore kerakiano fece un cenno all’altro ufficiale della Guardia Spaziale. — È quello che dovrà sostituirvi? — domandò con ironia.

Il meditec capo si intromise. — Dato che voi siete lo sfidato, maggiore Odal, avete la prima scelta delle armi e dell’ambiente. Sono necessarie spiegazioni prima che inizi il duello?

— Credo di no — disse Odal. — Sarà tutto chiarissimo. Ritengo che gli uomini della Guardia Spaziale siano allenati anche alla lotta, non soltanto a risolvere problemi tecnici. Ho scelto una situazione in cui molti guerrieri si sono fatti onore.

Hector non rispose.

— Io — disse Leoh con fermezza — collaborerò con l’équipe al controllo del duello. Naturalmente i vostri assistenti potranno sedere al quadro di comando accanto a me.

Odal annuì.

— Se siete pronti, signori… — disse il meditec capo.

Hector e Odal si avviarono alle rispettive cabine. Leoh sedette davanti al dispositivo di controllo e uno degli uomini di Kerak gli si mise accanto. Gli altri si accomodarono sulla lunga panca curva, di fronte alla macchina.

Seduto nella sua cabina, Hector sentì ogni nervo e ogni muscolo tendersi, malgrado i suoi sforzi per rilassarsi. Piano piano la tensione si allentò, e lui cominciò a provare una certa sonnolenza. La cabina sembrò sciogliersi, sparire.

Sentì uno scalpiccio alle spalle e si voltò di scatto. Sbatté gli occhi, poi guardò fissamente.

L’animale aveva quattro zampe e portava una sella sul dorso. E, sopra la sella, c’era un mucchio di cose che, a prima vista, sembrarono oggetti di scarto. Hector si avvicinò e guardò attentamente. Allora gli oggetti di scarto si rivelarono per quello che erano: una lunga lancia, varie parti di una corazza, un elmo, una spada, uno scudo, un’ascia da combattimento e una daga.

Ho scelto una situazione in cui molti guerrieri si sono fatti onore, aveva detto Odal.

Hector rimase perplesso davanti a quell’assortimento di armi. Uscivano direttamente dall’Alto Medioevo di Kerak. Probabilmente il maggiore si era esercitato con esse per mesi, forse per anni. Può darsi che non abbia neanche bisogno dei cinque aiutanti pensò il sottotenente.

Stancamente, si infilò l’armatura tropo larga e tentò inutilmente i stringere le gambiere nel modo voluto. L’elmo gli stava in testa come una vecchia latta d’olio, appiattendogli le orecchie e il naso, e obbligandolo a torcere gli occhi per sbirciare attraverso la stretta fessura. Finalmente riuscì ad appendere la spada e trovò gli attacchi per le altre armi. Lo scudo era troppo pesante, poteva appena alzarlo. Faticò ad issarsi in sella con tutto il peso che doveva portare.

Poi rimase lì, come seduto in trono, e cominciò a sentirsi un po’ ridicolo. E se piovesse? pensò. Ma, naturalmente, non poteva piovere.

Dopo un’attesa interminabile apparve Odal, sopra un’altra cavalcatura. La sua armatura era nera come lo spazio, e così pure l’animale che montava. Logico, pensò Hector.

Odal salutò gravemente con la lunga lancia, dall’altra estremità del campo. Hector ricambiò il saluto e ci mancò poco che la lancia gli cadesse di mano.

Poi Odal abbassò l’arma, puntandola, così almeno sembrò al sottotenente, diritta verso le sue costole. Poi diede un colpo di sprone all’animale. Hector lo imitò, e il suo cavallo ruppe in un galoppo disordinato. I due guerrieri si lanciarono uno contro l’altro dalle due estremità del campo. Hector faticava a tenersi in sella.

All’improvviso non una, ma sei figure nere si precipitarono urlando verso il sottotenente.

Lui sentì un crampo allo stomaco e cercò istintivamente di far deviare la sua cavalcatura. La bestia si rifiutò di cambiare direzione. I guerrieri kerakiani arrivavano al galoppo, le sei lance puntate minacciosamente su di Hector.

Ad un tratto Hector udì il rumore di altri zoccoli accanto a sé e, attraverso una fessura della visiera, scorse altri cinque guerrieri che caricavano insieme a lui contro il gruppo di Odal.

Il gioco di Leoh aveva funzionato. Il ricetrasmettitore che aveva permesso a Dulaq di mettersi in contatto con la duellomacchina dal suo letto d’ospedale, aveva dato modo a cinque ufficiali della Guardia Spaziale di raggiungere il loro collega, pur restando fisicamente seduti in una nave stellare che orbitava sopra il pianeta.

Ora le forze erano pari. I cinque ufficiali erano stati scelti tra i più rudi, duri e aggressivi specialisti nel combattimento corpo a corpo che la Guardia Spaziale fosse stata in grado di fornire con un solo giorno di preavviso.

Così, dodici possenti guerrieri si scontrarono con un fracasso assordante. Le lance spezzate mandavano schegge da tutte le parti. Uomini e cavalli piombavano al suolo.

Hector vacillò sulla sella ma riuscì a non cadere, anche se non riacquistò perfettamente l’equilibrio. Le armi balenavano nell’aria piena di polvere. Una spada passò fischiando accanto alla sua testa e rimbalzò sullo scudo.

Con uno sforzo supremo, il sottotenente sfoderò la spada e tirò un fendente al cavaliere più vicino. Solo allora scoprì che si trattava di un compagno d’arme: per fortuna la lama rimbalzò sull’elmo, senza danneggiare l’uomo.

C’era una confusione terribile. Gli animali giostravano nitrendo, tra nuvole di polvere. Gli uomini urlavano, infuriati. Un cavaliere dall’armatura nera caricò Hector roteando un’ascia da guerra. Colpì violentemente il suo scudo che si spezzò. Un altro colpo… Hector cercò di scartare e scivolò definitivamente di sella rotolando a terra, mentre l’ascia tagliava l’aria nel punto preciso in cui un attimo prima si trovava la sua testa.