Nella stanza regnava un silenzio di morte.
Il maggiore sedeva rigido e impassibile, ma la sua mente era in pieno movimento.
Kor si serve di questa stanza per intimidire i visitatori pensava. Sa benissimo che assomiglia molto da vicino ad un’antica segreta, e si diverte a terrorizzare la gente.
Odal sapeva anche che le stanze riservate agli interrogatori, ricavate nei sotterranei, erano costruite suppergiù allo stesso modo. Però non avevano feritoie, e le pareti erano spesso macchiate di sangue.
— Il ministro desidera vedervi — disse una voce femminile dallo schermo. Ma il video non si accese. Il maggiore capì che lo avevano sempre tenuto sotto sorveglianza da quando era entrato nel quartier generale di Kor.
Si alzò, e la porta della stanza si aprì automaticamente. Con passo energico e dignitoso, militaresco, Odal percorse il corridoio verso l’uscio di fondo con gli stivali che risuonavano sul pavimento di pietra. Bussò una prima volta al portone di legno massiccio, ma nessuno rispose. Bussò di nuovo, e la porta si aprì da sola.
Kor sedeva in fondo all’ufficio, dietro una scrivania enorme. Il locale era in penombra, illuminato soltanto da una lampada che faceva luccicare la testa pelata del ministro dei Servizi Segreti. Odal richiuse accuratamente la porta, fece alcuni assi sul pavimento ricoperto al tappeto e attese che Kor alzasse lo sguardo. Il ministro, occupato a firmare documenti, ignorò il visitatore.
Finalmente alzò gli occhi. — Sedete — ordinò.
Odal si avvicinò alla scrivania e sedette sull’unica seggiola. Kor mise ancora qualche firma, poi spinse il mucchio di carte verso l’estremità della scrivania.
— Ho passato la mattinata con il Duce — cominciò con voce acuta, irritante. — Inutile dire che era seccatissimo per l’esito del vostro duello con l’ufficiale della Guardia Spaziale.
Odal riusciva ad immaginarsi facilmente la tirata rabbiosa di Kanus.
— Non desidero altro che incontrarmi un’altra volta con Hector, e riparare lo sbaglio — dichiarò.
Gli occhi freddi di Kor si fissarono in quelli del maggiore. — I motivi personali non mi interessano. Quel sottotenente è un idiota, ma è riuscito a distruggere il piano che avevamo ideato per sconfiggere Acquatainia. Ce l’ha fatta soltanto grazie a quel ficcanaso di Leoh. Il nostro bersaglio è lui. È lui che dobbiamo togliere di mezzo.
— Capisco.
— No! Non capite niente — sbottò Kor. — Non avete la minima idea del piano che ora ho in testa, perché l’ho rivelato solo al Duce in persona. E neanche ho intenzione di rivelarlo a nessun altro finché non sarà indispensabile.
Odal non batté ciglio. Non voleva mostrare alcuna emozione, paura o debolezza, davanti al superiore.
— Per il momento sarete assegnato al mio staff personale di collaboratori, e resterete in permanenza in questo edificio del quartier generale. I miei segretari vi diranno giorno per giorno che cosa dovrete fare.
— Benissimo.
— E ricordate una cosa — disse Kor, protendendosi sulla sedia. — Per il vostro insuccesso nel duello il Duce mi ha accusato di incapacità. Non vuole sentire ragioni. Un altro fiasco, e sarà necessario eliminarvi.
— Capisco perfettamente.
— Bene. Tornate al vostro alloggio fino a nuovo ordine. E ricordate: o distruggiamo Leoh, o lui distruggerà noi.
Odal annuì, si alzò ed uscì dall’ufficio. Kor comincia a sperimentare il terrore con cui domina gli altri pensò. Se fosse stato certo di non essere sorvegliato da qualche telecamera nascosta avrebbe sorriso.
2
Il professor Leoh depose la sua mole considerevole tra i morbidi braccioli di un divano ad aria. Era come sedere sul nulla, con la curva metallica e lucente del divano a parecchi centimetri dal suo corpo.
— Ecco che cosa desideravo da tanto tempo — disse a Hector. — Una vera vacanza, con tutte le comodità. Proprio quel che ci vuole per la felicità di un vecchio.
Hector se ne stava in piedi accanto alla vetrata contemplando la città che si stendeva sotto di lui. — Non c’è niente da dire, vi hanno dato un bell’appartamento.
La stanza era lunga e spaziosa, con una intera parete a vetri. Le decorazioni erano programmate in modo da cambiare colore e profumo a seconda delle ore del giorno. In quel momento avevano sfumature brune e dorate, e l’aria sapeva leggermente di spezie.
— Le due cose più consolanti — disse Leoh, allungandosi pigramente sul divano — sono che la duellomacchina ora è sistemata in modo da non permettere ad alcun telepate di farvi entrare qualcuno che l’aiuti, senza azionare un segnale d’allarme, e che io sono in vacanza fino all’inizio del nuovo anno accademico di Carinae. Può anche darsi che non torni laggiù. Visto che gli acquatainiani vogliono trattarmi regalmente, perché non dovrei passare qui un paio d’anni? Potrei fare molto lavoro di ricerca, e magari dare qualche lezione all’università di qui, di tanto in tanto.
Hector cercò di sorridere alle divagazioni del vecchio, ma aveva l’aria preoccupata. — Forse sarebbe meglio che non vi tratteneste in Acquatainia troppo a lungo. Voglio dire, be’… che i kerakiani potrebbero tornare a occuparsi di voi. Odal aveva intenzione di sfidarvi, prima che… insomma…
— Prima che mi salvaste.
— Be’, veramente non intendevo… non era… — balbettò il sottotenente, arrossendo.
Leoh scoppiò a ridere. — Non emozionatevi tanto, ragazzo mio. Voi siete un eroe. Geri certamente vi considera tale.
— Oh sì, credo di sì.
Leoh cambiò argomento. — Com’è il vostro alloggio? Comodo, spero.
— Certo — annuì Hector. — L’ambasciata terrestre è sciccosa quasi come questo appartamento.
— Non c’è male, per un giovane ufficiale.
Hector si staccò dalla finestra e andò a sedersi sull’orlo di una seggiola a rete, accanto al divano.
— Siete preoccupato per la visita di Sir Harold? — domandò Leoh.
— Pre… preoccupato? Nossignore. Terrorizzato.
— Non prendetevela tanto — disse il professore, ridendo. — Harold è un vecchio gallo piuttosto simpatico, anche se fa del suo meglio per non lasciarlo capire.
Hector annuì senza troppa convinzione e si alzò nuovamente, dirigendosi verso la vetrata.
— È… è arrivato! — balbettò, senza fiato.
Leoh si affrettò a raggiungerlo. Un’auto lunga con le insegne della Guardia Spaziale era ferma davanti all’ingresso dell’edificio, scortata da una fila di automobili ufficiali acquatainiane.
— Probabilmente sta già salendo — disse Leoh. — Ora cercate di rilassarvi e calmatevi.
Il computer dell’ingresso annunciò in tono metallico e monotono: — Gli ospiti attesi sono qui.
— E allora aprite — ordinò Leoh.
La porta si aprì, rivelando due uomini della Guardia Spaziale con lo sguardo di acciaio, una mezza dozzina di guardie d’onore acquatainiane e, in mezzo a loro, il panciuto Sir Harold Spencer vestito di grigio.
Il Comandante in capo della Guardia Spaziale si permise uno dei suoi rarissimi sorrisi. — Albert, vecchio manigoldo, come state?
Leoh si precipitò a stringere la mano a Spencer.
— Harold, credevo proprio che non ci saremmo visti mai più, in carne ed ossa intendo.
— Considerata la massa di carne che formiamo noi due messi insieme, forse stiamo violando qualche legge fondamentale dell’universo, trattenendoci contemporaneamente nella stessa stanza!
Risero cordialmente ed entrarono. La porta si richiuse lasciando fuori le guardie. Hector se ne stava impietrito accanto alla vetrata.