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C’erano già più di mille persone presenti. Almeno così calcolò Leoh, dalla porta, lanciando un’occhiata alla folla che vorticava senza peso nell’interno del globo immenso. Gli invitati se ne stavano sospesi, molti capovolti, altri ancora roteavano tranquillamente oppure gesticolavano impegnati in conversazioni animate. Quasi tutti stringevano in mano un contenitore di plastica sigillato da cui usciva una cannuccia per succhiare il liquido interno. Quella gente formava un caleidoscopio vertiginoso: costumi brillanti, gioielli luccicanti, voci, risate scoppiettanti che si intrecciavano lievemente a mezz’aria.

Leoh allungò una mano e si appoggiò a Hector per trovare l’equilibrio.

— Ci deve essere un campo di gravità intorno all’involucro del satellite — disse il tenente staccando a fatica una delle sue scarpe dal pavimento.

— Per chi è debole di cuore, probabilmente — disse Leoh. Gli altri passeggeri del traghetto passarono davanti a loro buttandosi come nuotatori dalla camera stagna e salendo con mosse aggraziate nell’enorme locale.

Leoh diede un’occhiata intorno, vide alcuni tavoli-bar disseminati lungo le pareti e altri che galleggiavano al centro. Si volse a Hector e disse: — Perché non andate a cercate Geri? Io vado in cerca di Harold.

— Preferirei stare accanto a voi, professore. Il mio dovere è…

— Sciocchezze! Non c’è alcun assassino di Kerak, nascosto tra la folla. Andate da Geri.

— E va bene — disse il tenente, ridendo. — Ma vi terrò continuamente d’occhio.

Hector si staccò dal pavimento per unirsi alla folla senza peso. Ma doveva aver fatto male i suoi calcoli perché andò a sbattere contro un acquatainiano vestito dei colori dell’arcobaleno che gli passava davanti fluttuando, con un drink in mano. E così il tenente, l’acquatainiano e il drink cominciarono a vorticare. Il contenitore si ruppe e le gocce di liquido si sparsero dappertutto nell’aria, investendo gli altri invitati e rompendosi in gocciolane sempre più piccole. Una signora gridò, spaventata.

L’acquatainiano si raddrizzò immediatamente, ma Hector non riuscì a fermarsi e schizzò via, fendendo la folla come una biga impazzita ed emettendo tutta una serie di esclamazioni: — Ehi, là… attenzione… accidenti… scusate… attenti…!

Leoh, immobile al suo posto accanto alla camera stagna, guardava incredulo il tenente rotolare, mentre gli invitati fuggivano disordinatamente, alcuni gridando con rabbia, le donne strillando, la maggior parte ridendo. Poi la folla si richiuse, e Leoh non vide più Hector. Ma un terzetto di servitori si lanciò all’inseguimento, tuffandosi nel globo immenso per intercettarlo.

Solo allora Leoh si accorse che un cameriere gli stava accanto, con una specie di cintura in mano. — Ecco uno stabilizzatore, signore. Quasi tutti gli invitati ce l’hanno. È difficile muoversi senza questo, in assenza di peso… Quell’ufficiale lo sta dimostrando.

Leoh si agganciò la cintura e, dato che non poteva fare nulla per Hector in quella confusione, si tuffò agilmente tra la folla. La sensazione di imponderabilità era piacevole: sembrava di nuotare in una vasca piena d’acqua. Il professore si preparò un drink in una delle speciali tazze coperte e succhiò dalla cannuccia mentre si spostava verso un folto gruppo di gente al centro del globo.

All’improvviso Hector gli passò davanti come una palla, mentre due servitori gli nuotavano dietro a tutta forza. Al suo passaggio gli invitati scoppiarono a ridere, poi tornarono alla loro conversazione. Leoh allungò un braccio per fermare il tenente, ma questi era già lontano e scomparve di nuovo in mezzo alla folla.

Il professore aggrottò i sopraccigli. Detestava le riunioni troppo rumorose: molta gente, poca attività. Tutti continuavano a parlare, ma senza dire niente. Mangiavano e bevevano anche se non avevano fame e sete. Se ne stavano per ore ad ascoltare estranei che non avrebbero rivisto mai più. Era uno spreco immane di tempo.

Oppure ti secca domandò Leoh a se stesso perché qui nessuno ti ha riconosciuto? A quanto pare si divertono senza pensare al famoso inventore della duellomacchina.

Si avvicinò alla parete trasparente del satellite e osservò la superficie illuminata del pianeta, enorme sfera solida avvolta dalla luce del sole. Poi si voltò e galleggiò senza fatica finché non riuscì a vedere bene le stelle. L’Ammasso d’Acquatainia era uno scrigno pieno di gemme lucenti, rosse, oro, arancione, così fitte che era quasi impossibile distinguere lo sfondo nero dello spazio.

Quanta bellezza nell’universo! pensò.

— Professore!

Strappato bruscamente dai suoi sogni, il vecchio si girò e vide un uomo calvo e con la faccia da luna piena che ondeggiava accanto a lui, tendendogli la mano in segno di saluto.

— Sono Lal Ponte — disse lo sconosciuto mentre gli stringeva la mano. — Onoratissimo di fare la vostra conoscenza.

— Onorato sono io — rispose Leoh, adeguandosi alla tipica formalità acquatainiana.

— Probabilmente voi state cercando Sir Harold, e io so che il primo ministro sarebbe lieto di vedervi. Poiché quei due si trovano insieme, volete che vi conduca da loro? — La voce di Ponte aveva un acuto timbro tenorile.

Leoh annuì. — Grazie. Fatemi strada.

Ponte si accinse ad attraversare il satellite, avanzando tra capannelli di persone di cui molte a testa in giù. Il professore lo seguì. Come una nave da carico trainata da un rimorchiatore pensò Leoh, guardando la propria mole voluminosa fendere la folla di acquatainiani.

Lal Ponte: il nuovo ministro degli Affari Interni. Improvvisamente Leoh ricordò. Fino a poche settimane prima, era stato un membro insignificante di quell’amministrazione. Ma, durante la votazione frenetica per l’elezione del primo ministro con quattro candidati possibili che dividevano gli elettori in quattro gruppi uguali, Ponte era uscito dall’ombra portando una dozzina di voti decisivi dalla parte del generale Martine. Come ricompensa, aveva ricevuto un posto nel gabinetto.

Il ministro planò diritto in un enorme assembramento, quasi al centro del satellite. Leoh lo seguì pesantemente, facendosi largo a gomitate, incassando occhiatacce e brontolii e scusandosi come un ultimo arrivato costretto a camminare sui piedi di molti spettatori per raggiungere il proprio posto in teatro.

— Ma chi è quel vecchio? — sentì dire da una voce femminile in un sussurro.

— Ah, Albert, eccovi qui! — gridò Spencer, quando raggiunsero il centro del gruppo. Tutti si ritirarono per far posto a Leoh, e i brontolii presero un tono diverso.

— Generale Martine — disse Spencer al nuovo primo ministro. — Certo conoscete Albert Leoh, l’inventore della duellomacchina: è uno degli scienziati più famosi della Federazione.

Un mormorio di ammirazione corse tra la folla.

Martine era alto e snello, e indossava un’uniforme militare bianca e oro che accentuava la sua magrezza. La faccia era seria e lunga, gli occhi tristi e il naso prominente, da aristocratico. Annuì, concedendosi un sorriso misurato. — Certo che lo conosco. È l’uomo che ha sconfitto l’assassino di Kerak. Lieto di rivedervi, professore.

— Grazie per avermi invitato — rispose Leoh. — E congratulazioni per la vostra elezione.

Martine annuì gravemente. — Ho cercato di convincere il primo ministro — disse Spencer, con voce di circostanza — che Acquatainia trarrà grande beneficio entrando nella Federazione. Ma, a quanto pare, non ne è molto convinto.

Martine alzò gli occhi per guardare oltre la folla, attraverso l’involucro trasparente del pianeta, il mondo dorato che stava là fuori.

— Acquatainia è, per tradizione, indipendente dalla Federazione — disse. — Non abbiamo bisogno di speciali vantaggi commerciali o di alleanze politiche. Siamo un popolo ricco, forte, felice.