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Invece di essere piena di attrezzature per la ginnastica la stanza era piena di pulegge con funi, di piani inclinati, di sfere metalliche di ogni dimensione, dal diametro di pochi centimetri a due volte l’altezza di un uomo. Leoh stava in piedi su una piattaforma circolare, leggermente alzata da terra, con un piccolo dispositivo di comando in mano.

Lal Ponte aspettava all’altra estremità della stanza voltando le spalle al muro, e guardava seriamente preoccupato quella giungla di attrezzature sconosciute.

— Questa è una specie di laboratorio di fisica elementare — gli gridò Leoh. — Nessuno degli oggetti che si trovano qui dentro è un’arma vera e propria, ma molti possono diventare pericolosi se si sa come usarli… o se non si sa come usarli.

— Ma questo è illogico — disse Ponte.

— Niente affatto — rispose allegramente il professore. — Vi accorgerete subito che tutti gli oggetti sono distribuiti in modo da formare una specie di labirinto. Voi dovrete attraversarlo per raggiungere la piattaforma e trovare qualcosa da usare come arma contro di me. Però, ci sono dei trabocchetti sul percorso. Dovrete evitarli. E questa piattaforma, in realtà, è una tavola girevole… ma ne parleremo più tardi.

Ponte si guardò attorno. — Siete pazzo!

— Può darsi.

L’acquatainiano fece alcuni passi a destra e sollevò una sbarra leggera, di metallo. Tenendola in mano si diresse verso il professore.

— È una leva — disse questi. — Naturalmente potete usarla come clava, se volete.

Un groviglio di funi tagliava la strada a Ponte. Invece di aggirarlo l’acquatainiano cercò di attraversarlo.

Leoh scosse la testa, premendo un pulsante sul dispositivo di comando. — Avete commesso un errore, credo.

Le funi si misero in moto, sollevando il pavimento sotto i piedi di Ponte. Questi cadde in ginocchio e, all’improvviso, si ritrovò su una piattaforma alta dieci metri. Abbandonata la leva si aggrappò alle funi: una di queste dondolò, libera, e lui vi si appese con un balzo, aggrappandovisi con le braccia e le gambe.

— Il pendolo — gridò Leoh. — Attento alla…

La fune a cui stava appeso l’acquatainiano si allontanò dondolando, poi tornò indietro verso la piattaforma a mezz’aria. Il poveraccio batté la testa contro orlo delle tavole, lasciò andare la presa e cadde con un tonfo sul pavimento.

— Il pavimento è imbottito disse Leoh — ma disgraziatamente ho dimenticato di imbottire anche l’orlo della piattaforma. Spero che non vi siate fatto troppo male.

Ponte si sollevò a sedere, boccheggiando. La testa gli girava vertiginosamente. Fece tre tentativi prima di riuscire a levarsi in piedi e infine ci riuscì, barcollando.

— Alla vostra destra c’è un piano inclinato, come quello usato da Galileo, però molto più grande. Dovrete affrettarvi per non lasciarvi raggiungere dalla palla…

Il dito del professore sfiorò un altro pulsante sul dispositivo di comando, e un’enorme sfera di metallo cominciò a rotolare giù per il piano inclinato. Ponte udì il rombo, si voltò a guardare terrorizzato e fece appena in tempo a balzare di fianco. La sfera rotolò per tutto il pavimento e andò a sbattere rumorosamente contro la parete.

— Forse è meglio che vi sediate qualche minuto, per riprendere lena — suggerì il professore.

Ponte ansava come un mantice. — Voi siete il diavolo in persona, un diavolo sorridente. — balbettò.

Poi si chinò a raccogliere una piccola sfera, ai suoi piedi. Mentre si rialzava per lanciarla, Leoh toccò di nuovo il dispositivo di comando e la piattaforma girevole su cui si trovava cominciò a rotare lentamente. Così la palla, gettata goffamente da Ponte, mancò il bersaglio di un metro buono.

— Posso regolare la velocità della piattaforma — spiegò il professore, mentre il ministro gettava parecchie altre sfere senza mai colpire nel segno.

L’acquatainiano, rosso di rabbia, si precipitò verso la piattaforma girevole e vi balzò sopra, dalla parte opposta a Leoh. Aveva ancora due piccole sfere in mano.

— State attento — ammonì Leoh, mentre l’avversario barcollava e per poco non cadeva dal piedestallo mobile. — La forza centrifuga può giocare brutti scherzi.

I due avversari rimasero un attimo in piedi, immobili: Leoh attento, in guardia, Ponte con lo sguardo lampeggiante d’ira. La stanza sembrava girare intorno a loro.

Poi il ministro lanciò con tutte le sue forze una delle palle, ma questa sembrò allontanarsi dal professore con una curva.

— La forza di Coriolis — spiegò Leoh, in tono leggermente cattedratico. — È un fenomeno naturale su sistemi rotanti, lo stesso che fa girare i venti attraverso la superficie rotante di un pianeta.

La seconda sfera passò, fischiando, non più vicino della prima.

— Vi avverto ancora che questa piattaforma è costituita da sezioni alterne di materiale magnetico e no. — Leoh indicò il mosaico colorato del pavimento. — Le vostre scarpe contengono parti metalliche. Se voi restate sulle sezioni magnetizzate, quelle rosse, vi potrete muovere senza difficoltà.

Toccò di nuovo il dispositivo di controllo e la piattaforma aumentò di velocità. Adesso la stanza sembrava ruotare pazzamente attorno a loro. Leoh si chinò in avanti.

— Naturalmente — continuò — se doveste metter piede sulle sezioni non magnetizzate alla velocità a cui stiamo girando…

Ponte cominciò ad avanzare caparbiamente, gli occhi fissi sul pavimento colorato, cercando di raggiungere Leoh. Questi si allontanava mantenendo sempre la stessa distanza. Ponte si muoveva più in fretta, guardando ora Leoh ora il pavimento. Poi si fermò bruscamente e puntò in direzione del professore, tagliando attraverso il centro della piattaforma.

— Attento!

Ad un tratto perse l’equilibrio. Cadde supino, percorse slittando la piattaforma girevole fino all’orlo, fu lanciato attraverso la stanza e andò a sbattere con i piedi contro un grosso blocco di metallo.

— La mia gamba — gemette. — La mia gamba si è rotta. Leoh fermò la piattaforma, scese e si avvicinò all’acquatainiano che aveva la faccia contratta per il dolore.

— Mi sarebbe facile, ora, finirvi — disse piano — ma non ho alcuna voglia di farlo. Avete già avuto una buona lezione.

La stanza cominciò a sbiadire e Leoh si ritrovò seduto nella cabina della duellomacchina, gli occhi fissi allo schermo già spento.

La porta si spalancò e apparve la faccia sorridente di Hector.

— L’avete battuto!

— Sì — disse Leoh, sentendosi all’improvviso molto stanco. — Ma non l’ho ucciso. Posso provare di nuovo con le armi di sua scelta, se crede.

Ponte li vide avvicinarsi, pallido e tremante. I suoi secondi gli si affollavano intorno, facendo domande. Il meditec capo stava dicendo: — Potete continuare ora, se volete, oppure rimandare la seconda parte del duello a domani.

Ponte crollò la testa, guardando il professore. — No, no. Mi ha sconfitto. Non posso lottare ancora.

Il meditec capo annuì. — Il duello è finito, allora. Ha vinto il professor Leoh.

Questi tese la mano al suo avversario.

Il ministro la strinse nella sua, tremante e sudata.

— Spero vivamente che diventeremo amici, ora — disse il professore.

Con aria desolata, l’altro rispose: — Sì, certo. Grazie.

6

Quando Ponte, i suoi secondi e i tecnici tutti se ne furono andati, Leoh, Spencer e Hector rimasero soli nella sala della duellomacchina, passeggiando su e giù per la stanza enorme.

— Devo andarmene ora, Albert — disse Spencer. — La mia nave avrebbe dovuto partire mezz’ora fa. Penso che il mio aiutante stia già imbottendosi di tranquillanti. È un bravo figliolo, ma estremamente nervoso.