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— Per ammazzare il professor Leoh — disse lei.

Il tenente si afflosciò sulla panca. — È vero. E io ho il dovere di impedirgli questo delitto.

Geri si voltò, gli strinse la faccia fra le mani e lo baciò. Hector la strinse forte e le ricambiò il bacio. Poi lei si liberò dal suo abbraccio. Lui si protese, ma la ragazza gli afferrò entrambe le mani.

— Lasciami riprender fiato — gli chiese.

Hector sentiva il cuore battere all’impazzata, più forte delle onde che si rompevano contro lo scafo dell’autoscivolo.

— Naturalmente — disse Geri, fredda — sembra che il professor Leoh sappia difendersi bene, nella duellomacchina.

— Ehm… — Hector le si fece vicino.

— Sono rimasta molto sorpresa nel sentire che Lal Ponte aveva sfidato il professore — disse lei, ritraendosi all’estremità della panca. — Ponte è una nullità! Non avrei mai creduto che avesse il coraggio di battersi a duello.

Hector passò un braccio intorno alle spalle di Geri e non disse niente.

— Mio padre diceva sempre che se nell’amministrazione attuale c’era qualcuno che lavorava per Kerak, quello era Ponte.

— Eh?

Al ricordo la ragazza si rabbuiò. — Sì, papà era certo che Ponte fosse alleato di Kerak. Se un giorno Kerak ci conquisterà mi disse una volta quel piccolo vigliacco diventerà il nostro primo ministro.

Il tenente si raddrizzò. — Ma ora lavora con Martine, e certo Martine non è favorevole a Kerak.

— Lo so — convenne Geri. — Forse papà si sbagliava. Oppure Ponte ha cambiato idea. O…

— O forse continua a lavorare per Kerak.

Geri sorrise. — Anche se è così, il professor Leoh saprà prendersi cura di lui.

Hector si appoggiò all’indietro e vide che ragazza si era leggermente allontanata. Le si avvicinò di nuovo.

— Il mio piede! — strillò lei, alzandosi di scatto.

— Oh, scusa. Te l’ho schiacciato. — Anche il giovane balzò dalla panca.

Geri saltellava su una gamba sola nel minuscolo abitacolo, facendo sobbalzare l’autoscivolo ad ogni salto. Hector si protese per sostenerla, ma lei lo respinse e perse l’equilibrio: urtò contro il parapetto basso dell’abitacolo, si rovesciò all’indietro e cadde nell’acqua sollevando alti spruzzi.

Hector, allibito, non esitò un istante. Si tuffò in mare a capofitto dal punto in cui si trovava, la testa in giù e le gambe in su.

Risali sputando acqua, mezzo accecato e senza respiro. Geri nuotava allegramente poco lontano.

— Io… io… io…

Lei rise. — Non preoccuparti, Hector, è colpa mia. Ho perso la testa quando mi hai pestato il piede.

— Ma, io… Sei…?

— È una bella notte — disse Geri. — Visto che siamo in acqua, perché non ci facciamo una nuotata?

— Be’, va bene. Però io non so nuotare — disse il tenente. E cominciò ad affondare piano piano.

Mentre scendeva la rampa della nave spaziale per prendere il sentiero scorrevole che portava al terminal, Odal sentì una strana voglia di ridere.

Era di nuovo in Acquatainia. Il sole caldo, la folla di gente affaccendata, le torri sfavillanti della città! Finalmente era uscito dall’orribile Ministero dei Servizi Segreti. Mentre andava verso il terminal dello spazioporto, scortato da quattro uomini di Kor, il maggiore fu costretto ad ammettere tra sé che Acquatainia aveva un ritmo, una freschezza, un senso di libertà e di gaiezza che non aveva mai trovato in Kerak.

Una volta entrato nel terminal, doveva percorrere cinquanta metri al cospetto di ispettori automatici prima di poter salire sul veicolo che l’avrebbe portato all’ambasciata di Kerak. Se dovevano verificarsi dei guai, si sarebbero verificati lì.

Due componenti della sua scorta entrarono nella linea d’ispezione prima dì lui, gli altri dopo.

Odal camminò lentamente tra i due schermi a raggi X e si fermò dinanzi al rivelatore. Poi inserì il suo passaporto e la carta di identificazione dell’ambasciata nella fessura apposita del computer.

In quel momento sentì una voce femminile esclamare nella fila vicina: — È lui! Riconosco l’uniforme, l’ho visto alla tridimensionale!

— Impossibile — rispose un uomo. — Non avrebbero il coraggio di rimandarlo qui.

Odal si voltò di proposito dalla loro parte e sorrise.

— Te l’avevo detto che era lui — insisté la donna.

Kor aveva provveduto a far trovare sul posto qualche giornalista. Mentre Odal recuperava i suoi documenti e la borsa da viaggio, al termine della linea d’ispezione, i fotoreporter cominciarono a fotografarlo. Il maggiore si avviò deciso verso la porta più vicina, per raggiungere l’auto a cuscino d’aria che era fuori in attesa. I quattro della scorta tenevano i giornalisti a debita distanza.

— Maggiore Odal, non credete che sia pericoloso tornare in Acquatainia?

— Credete che l’immunità diplomatica protegga anche gli assassini?

— Non temete che qualcuno vi voglia ammazzare?

I reporter gli correvano dietro, latrando come un branco di cuccioli che inseguono un uomo con una cesta piena di ossa. Odal sentiva l’odio, ora. Non tanto dei giornalisti, quanto della gente che affollava la sala d’aspetto. Lo fissavano tutti pieni di rancore. Prima, quando era l’invincibile guerriero di Kerak, era temuto, quasi invidiato. Ma ora nella folla non c’era che odio per il maggiore kerakiano, e Odal lo sapeva.

Si infilò nel veicolo, rifugiandosi sul sedile posteriore. Le guardie di Kor riempivano il resto dell’auto. La portiera si chiuse con un colpo secco, e il trambusto della folla del terminal rimase tagliato fuori. Per la prima volta Odal ripensò al motivo per cui era tornato in Acquatainia: Leoh. E si rabbuiò al pensiero di ciò che doveva fare. Ma quando gli venne in mente Hector e ricordò che poteva vendicarsi dell’assurda vittoria che il tenente aveva riportato nel duello, si permise di sorridere.

8

Leoh sedeva alla scrivania del suo studio, dietro la sala della duellomacchina. Aveva bisogno di riflettere, e il suo alloggio era troppo comodo per il pensiero creativo.

Attraverso la porta chiusa dell’ufficio ne sentì sbattere una esterna, poi dei passi frettolosi e pesanti e un fischiettare acuto e stonato. Con un sorriso, ordinò al dispositivo di controllo della sua porta di aprirsi. Apparve Hector, in piedi, con il pugno alzato e pronto a bussare.

— Come facevate a saperlo?

— Sono un po’ telepate anch’io — disse il professore.

— Davvero? Non lo sapevo. Credete che questo vi abbia aiutato nel vostro duello con… oh, volevo parlarvi di…

Leoh alzò una mano per chiedergli il silenzio. — Entrate, ragazzo mio, e sedete. Ditemi, avete visto il telegiornale di stamattina?

Avvicinando una sedia al professore, Hector rispose: — No, signore. Io… be’, sono tornato tardi, ieri sera, e mi sono alzato tardi stamattina. Mi è entrata dell’acqua nell’orecchio sinistro, e gorgoglia ogni volta che scuoto la testa.

Con uno sforzo Leoh ritornò in argomento. — Il telegiornale ha mostrato Odal che atterrava allo spazioporto principale. Hector sobbalzò come se qualcuno lo avesse punto.

— È… tornato?

— Adesso non cominciate ad allarmarvi — disse Leoh, con tutta la calma che poteva. — Nessuno ha intenzione di venire qui con la pistola in pugno per assassinarmi.

— Forse… Ma, voglio dire… C’è la possibilità che Odal o altri tentino qualcosa!

— Sciocchezze — grugnì Leoh.

Hector non rispose. Sembrava impegnato in una lotta interiore. Sulla sua faccia. passava una serie di espressioni: preoccupazione, perplessità, decisione.

— Cosa c’è? — domandò Leoh.

— Niente, niente. Pensavo. — La notizia dell’arrivo di Odal vi ha sconvolto più di quanto credessi.