— No, no. Non sono sconvolto. Riflettevo. — Scosse la testa, come per liberare la mente da una nebbia. A Leoh sembrò di udire il gorgoglio dell’acqua.
— Ho il dovere di proteggervi — riprese il tenente. — Così dovrò starvi sempre alle costole, in ogni momento. Devo trasferirmi nella vostra stanza e seguirvi ovunque andiate.
Quella dichiarazione fece trasalire Leoh. Però sapeva che, se non lo avesse lasciato fare, il tenente lo avrebbe sorvegliato in segreto. Sarebbe stato peggio per tutti e due.
— E va bene, ragazzo mio, fate come credete. Ma penso che stiate drammatizzano eccessivamente.
— No, devo essere presente quando Odal arriverà — dichiarò Hector. — Comunque, credo che l’ambasciatore terrestre sia un po’ stanco di avermi tra i fedi all’ambasciata. Sembra faccia di tutto per evitarmi.
— Benissimo. Fate fagotto e venite qui da me, oggi stesso — disse il professore reprimendo un sorriso.
— D’accordo. — Poi Hector pensò: Non lo lascerò un solo astante. Così, quando Odal si mostrerà, io potrò difenderlo… e fare quello che mi ha chiesto Geri.
Hector si trasferì nell’alloggio di Leoh, restando sempre a pochi metri di distanza dallo scienziato. Notte e giorno. Quando il professore si svegliava, lo sentiva fischiettare allegramente nella cucina automatica, dove riusciva sempre a far bruciare dagli apparecchi automatici almeno una parte del pasto. Il tenente accompagnava in macchina il professore dovunque questi volesse andare e restava con lui quando arrivavano a destinazione. Infine Leoh si addormentava con il suo allegro chiacchierio nelle orecchie.
Andavano sempre più spesso a pranzo da Geri Dulaq, nella sua villa lussuosa alla periferia della città. Non appena Geri era in vista, Hector cominciava a scodinzolare come un cucciolo troppo emozionato, ma il professore aveva notato che lei era bravissima nel tenerlo sempre a debita distanza, e si accorse subito che la donna voleva ottenere qualcosa dal giovane, qualcosa di cui Hector non voleva parlare. Davvero strano quel ritegno, per un tipo come il tenente!
Una settimana dopo il suo arrivo, Odal non era ancora uscito dall’ambasciata di Kerak. Un giornalista intraprendente, aspettandosi un nuovo duello, chiese un’intervista a Leoh che lo ricevette presso la duellomacchina, con Hector sempre vicino.
Il reporter era un tipo dell’età del tenente, di costituzione robusta, dall’abito trasandato e dal modo di fare piuttosto antipatico.
— Conosco grossomodo come funziona questo apparecchio — disse con aria disinvolta quando il professore cominciò a spiegargliene il funzionamento.
— Oh! Avete seguito un corso di psiconica?
L’atro rise. — No, ma so tutto su questa faccenda della macchina dei sogni.
Poi, avvicinandosi lentamente al banco di manovra in quel momento vuoto, e guardando la mole enorme e complessa della macchina, domandò: — E come si può essere certi che qui dentro non morirà ancora qualcuno? Il maggiore Odal ha ucciso della gente…
— Capisco la vostra preoccupazione — rispose Leoh. — Ma ho aggiunto tre circuiti nuovi alla macchina. Il primo isola psiconicamente i contendenti, impedendo ad Odal e a chiunque altro di mettersi in contatto col mondo esterno mentre la macchina è in funzione.
— Continuate — disse il reporter, aumentando il volume del suo registratore da polso.
— Il secondo circuito — continuò Leoh — registra l’intero duello. Il meditec capo può, su richiesta di una delle due parti, rivedere il nastro con la registrazione e stabilire se alcune norme siano state trasgredite. Così, anche se qualcuno si è comportato in modo sleale, possiamo almeno venirlo a sapere.
— Dopo che la cosa è accaduta, però — osservò il reporter.
— Sì.
— Questo non avrebbe certo aiutato Dulaq e Massan, o gli altri che sono stati uccisi.
Leoh si sentiva crescere dentro l’ira. — Però, dopo il primo duello, avremmo scoperto il trucco e avremmo potuto fermare Odal!
L’altro non rispose.
— Infine abbiamo aggiunto un dispositivo automatico all’attrezzatura per il controllo medico, cosicché, se uno dei duellanti mostra il minimo segno di pericolo fisico, l’incontro viene sospeso automaticamente.
— E se a qualcuno venisse un attacco di cuore? — chiese il giornalista. — Potrebbe morire prima che voi abbiate il tempo di aprire la porta della cabina, anche fermando il duello immediatamente.
— E se si verificasse un terremoto? — sbottò Leoh, furente. — Entrambi i duellanti, e la maggior parte della città, verrebbero distrutti. Giovanotto, non esiste un modo per rendere il mondo un posto del tutto sicuro!
— Può darsi — fece il reporter, evidentemente poco convinto.
Parlarono per un altro quarto d’ora, e Leoh mostrò l’attrezzatura dei tre nuovi circuiti di sicurezza, cercando di spiegare come funzionavano. Il cronista aveva l’aria scettica e disincantata che si conveniva alla sua professione. L’esasperazione di Leoh continuava ad aumentare.
— Per essere sincero, professore, avete fatto un’infinità di chiacchiere scientifiche. Ma in realtà non abbiamo alcuna garanzia che la macchina non ucciderà altra gente.
— La macchina non ha mai ucciso nessuno! — gridò Leoh, rosso di rabbia. — Un uomo ha ucciso deliberatamente il suo avversario, ecco che cosa è successo.
— Già, ma nella macchina.
— Sì, ma non accadrà più.
Stringendosi nelle spalle, il reporter disse: — Quanto a questo, dobbiamo semplicemente credervi sulla parola.
— La mia reputazione di scienziato ha un certo valore, direi.
Hector lo interruppe. — Se il governo acquatainiano si è convinto che la duellomacchina è completamente sicura…
— Ma anche la prima volta che è stata installata qui, il governo e il professore ne erano convinti! — disse il cronista ridendo. — Eppure due uomini sono morti in questa trappola, e chissà quanti atri sono stati uccisi a Szarno, e in altri posti.
— Ma questo…
Rivolto a Leoh, l’uomo domandò: — Quanta gente ci ha rimesso la pelle nella duellomacchina, nella Federazione?
— Nessuno.
— Ne siete sicuro? Posso sempre controllare, sapete?
— Mi state dando del bugiardo?
— Sentite: voi ci avevate garantito che la macchina era sicura, eppure due personaggi molto importanti per la nostra nazione sono morti. Ora ci ripetete ancora che è sicura… — E lasciò sospesa l’implicazione.
— Fuori! — sbottò Leoh. — Uscite di qui o, per tutti gli dèi antichi, anche se sono vecchio…
Il cronista fece un passo indietro. — Supponiamo che io dubiti di voi. Non della vostra buona fede, ma del vostro ottimismo sulla sicurezza della macchina. Supponiamo che io dica che voi non siete certo della sicurezza della macchina, ma che sperate semplicemente che sia…
Hector si mise tra i due. — Aspettate. Se non potete…
— Supponiamo — continuò l’altro, scansando il tenente — supponiamo che io vi sfidi a duello.
— Ho già usato la macchina molte volte — disse Leoh.
— Lo so, ma io vi sfido di nuovo.
All’improvviso, Leoh ritrovò la calma. — Benissimo. Accetto la sfida. E voi potrete fare tutto quello che vorrete, durante l’incontro, per dimostrare le vostre affermazioni. Ma io insisto su una condizione: il nastro con la registrazione del duello deve essere reso noto al pubblico subito dopo la fine dell’incontro.
— Perfetto — rispose il giornalista.
E il professore capì che era proprio quello che l’altro desiderava.
9
Odal se ne stava nella sua stanza-cella dell’ambasciata kerakiana, in attesa del messaggio telefonico. La camera era stretta e arredata austeramente, con mobili funzionali. Un letto, una scrivania, una sedia e uno schermo. Niente decorazioni alle pareti grigie e nude, nessuna finestra.