Kor aveva spiegato ad Odal il piano per l’eliminazione di Leoh, prima che il maggiore salisse sulla nave che doveva portarlo ad Acquatainia. Il piano non gli piaceva affatto, ma sembrava attuabile e offriva garanzie sicure per far scomparire il professore dalla scena.
All’improvviso squillò il telefono.
Odal si sporse dalla scrivania e premette l’apposito pulsante. Subito la faccia da luna piena del giornalista si formò sullo schermo.
— Be’? — disse Odal.
— Ha accettato la sfida. Il duello si svolgerà fra tre giorni. E lui vuole che venga registrato e che il nastro sia presentato al pubblico, proprio come avevate previsto voi.
— Ottimo — esclamò il maggiore, teso.
— Sentite, se proprio devo adattarmi a fare la figura del fesso su quel nastro — disse il cronista — voglio un compenso adeguato.
— Io non mi occupo dei particolari economici — rispose Odal. — Parlatene con il contabile dell’ambasciata dopo che avrete dimostrato di saper recitare a dovere la vostra parte nel duello.
— Già — fece l’altro, imbronciato. — Però la mia carriera sarà definitivamente rovinata, quando il nastro verrà dato in pasto al pubblico.
— Ce ne occuperemo noi — promise Odal. E soggiunse, tra sé e sé: E state certo che vi sistemeremo per tutto il resto della vostra vita!
Geri Dulaq uscì in fretta dall’assolato campus universitario ed entrò nell’ombra della sala alta e spaziosa dove si trovava la duellomacchina.
— Mi sembravi così preoccupato al telefono, Hector…
Lui le strinse le mani tra le sue. — E lo sono davvero. Per questo volevo parlarti. È… be’, la faccenda si ripete. Prima Ponte attacca briga col professore, e adesso quel giornalista! Tu pensavi che Ponte lavorasse per Kerak, così… insomma, voglio dire…
— Forse anche il giornalista è un venduto — terminò lei.
Hector annuì. — E, con Odal dietro le spalle, stanno complottando qualcosa.
— Dov’è il professore, adesso?
— È là — disse il tenente, indicando lo studio dietro la duellomacchina. — E non vuole essere disturbato. Credo che lavori a delle equazioni o a qualcosa di simile per le navi interstellari.
Geri parve sorpresa.
— Oh, non che sia preoccupato per il duello — spiegò Hector. — Gli ho riferito quello che mi hai raccontato su Ponte. Ma lui è convinto che ora non è più possibile manomettere gli apparecchi, ed è tranquillo. Dice che ha battuto il ministro con discreta facilità.
Geri si voltò verso la macchina massiccia. — Non sono mai entrata lì dentro. Mi fa paura — mormorò.
— Non c’è niente da temere — disse Hector, sorridendo. — È soltanto un meccanismo, e non può nuocere a nessuno.
— Lo so. È stato Odal ad assumere quei mostri che hanno ucciso mio padre, non la macchina!
La ragazza camminò lentamente lungo il banco di manovra principale, osservando tutti i dispositivi e gli interruttori e passando un dito sul bordo di plastiacciaio.
— Non potresti mostrarmi com’è?
— Cosa??? — chiese Hector sbattendo gli occhi.
— L’interno della macchina — spiegò lei. — Non può essere usata per qualcos’altro, oltre ai duelli. Mi piacerebbe sapere che cosa si prova nel vedere le proprie fantasie che si realizzano.
— Ma tu non sei… Voglio dire che nessuno può farla funzionare senza… Insomma…
— Tu sai farla funzionare, no? — disse Geri, guardandolo dritto negli occhi.
— Be’, sì — rispose lui, deglutendo a vuoto — è naturale.
— E allora perché non la usiamo noi due? Forse potremmo vivere un sogno.
Il tenente si guardò attorno e balbettò.
— Qualcuno deve stare ai comandi per controllare e registrare il duello. Voglio dire…
— Solo per pochi minuti! — Geri gli scoccò il più affascinante dei suoi sorrisi.
— Va bene — disse Hector. — Credo di poterlo fare. Solo per un attimo, però.
Accompagnò la ragazza in cabina e l’aiutò a sistemare i neurocontatti. Poi tornò al banco di manovra principale e, con mani sudate e tremanti, sistemò la macchina. Controllò due volte, girò gli ultimi interruttori e si precipitò nell’altra cabina, inciampando sulla porta e sbattendola rumorosamente. Sedette, trafficò in fretta coi neurocontatti, poi fissò lo schermo.
Non accadde niente.
Per un attimo il giovanotto si sentì prendere dal panico. Poi lo schermo cominciò a illuminarsi debolmente. I colori si fondevano in un verde morbido e fresco, venato di azzurro…
Infine Hector si ritrovò a nuotare in un mondo illuminato da una luce che filtrava, morbida, dall’alto.
— Ciao — disse Geri.
Lui le sorrise. — Salve.
— Mi ero sempre domandata che effetto facesse vivere sott’acqua, senza maschera e bombola d’ossigeno, come le sirene.
Hector vide centinaia di pesci che nuotavano pigramente lì attorno. Quando i suoi occhi si abituarono alla luce soffusa, notò anche bellissime sculture di corallo e tinte che non aveva mai visto prima.
— È il nostro castello — disse Geri, nuotando lentamente verso uno dei pinnacoli corallini e scomparendovi dentro.
Lui la seguì con la massima facilità. Sembrava che l’acqua non offrisse alcuna resistenza ai suoi movimenti. Si sentiva completamente rilassato, a suo agio. Finalmente la rivide, davanti a sé, che fluttuava con grazia e le si fermò accanto. Un grosso pesce d’argento passò loro davanti, e alghe dai colori luminosi ondeggiarono dolcemente.
— Non è bello? — mormorò la ragazza. — Un mondo tutto nostro, senza preoccupazioni, senza pericoli.
Il tenente annuì. Era difficile ricordare che si trovavano seduti in due cabine, distanti una trentina di metri una dall’altra. Difficile credere che esisteva un altro mondo dove covava una guerra, e che Odal se ne stava in attesa di compiere un altro delitto.
Una forma scura uscì da dietro le rocce che si alzavano di fronte a loro. Geri strillò.
Era Odal. Snello, vestito di nero, sembrava una maschera di morte.
— Hector, non permetterglielo! Hector, aiutami!
Tutto si oscurò.
Hector aprì gli occhi. Era seduto nella cabina accanto a Geri e la circondava con le braccia in un gesto di protezione. Lei rabbrividiva.
— Come ha fatto…
— È stata colpa mia — disse lei, senza fiato. — Ho pensato ad Odal.
La porta della cabina si spalancò. Leoh comparve sulla soglia, con un’espressione mista di sorpresa e imbarazzo.
— Cosa state facendo? Si sono spente tutte le luci e si è avuta un’interruzione di corrente in tutto l’edificio.
— Scusate — disse il tenente.
— È stata colpa mia! — chiarì Geri. E spiegò che cosa era accaduto.
— Ma perché siete qui tutt’e due nella cabina? — domandò Leoh, perplesso.
Hector cominciò a spiegare, poi un lampo gli illuminò il cervello.
— Io, io ero dall’altra parte!
— Ma la cabina è vuota — disse il professore. — Ci ho guardato dentro prima, quando è mancata la corrente. La porta era chiusa.
Il tenente guardò Geri, poi ancora Leoh. — Devo esserne balzato fuori, per precipitarmi qui. Ma, voglio dire, non ricordo di averlo fatto.
Il meditec capo entrò correndo nella sala, e il rumore dei suoi passi rimbombò sul pavimento. — Ma cosa succede, qui? Chi ha staccato la corrente?
— Tutto a posto — disse Leoh, voltandosi. — Solo un piccolo esperimento non riuscito.
L’uomo diede un’occhiata ai comandi, nella luce crepuscolare della sera, mentre Hector e la ragazza uscivano dalla cabina. Brontolò qualcosa, fulminandoli con un’occhiata.