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Uscendo dall’ascensore e infilando il corridoio che portava al suo appartamento, Leoh disse al tenente: — Devo assolutamente trovare il tempo per fare degli esperimenti sul vostro balzo. Possiamo servirci del nastro di…

Ma Hector non lo ascoltava, gli occhi fissi alla porta d’ingresso. Era aperta e le luci erano accese.

— Un altro corrispondente, ci scommetto — disse Leoh, stanco.

— Adesso gli dico di tornare un’altra volta — rispose il giovanotto. E precedette il professore verso la porta.

Seduto sul divano ad aria, al centro del soggiorno, c’era Odal.

— Voi!

Il maggiore si alzò sorridendo con ironia, mentre prima Hector e poi Leoh entravano e si fermavano interdetti.

— Buona sera — disse Odal. — Entrate pure. Dopo tutto, siete in casa vostra.

— Come siete potuto entrare?

— Be’, non è stato difficile. Sono qui, per sistemare un affare lasciato in sospeso. Professore, qualche tempo fa mi accusaste i essermi servito della macchina in modo sleale. Stavo per sfidarvi, quando è intervenuta la vostra guardia del corpo. Vi sfido ora.

— Ehi, aspettate — cominciò Hector. — Non potete…

— Già fatto. Professore, accettate la mia sfida?

Leoh se ne stava a tre passi di distanza dalla porta, immobile e silenzioso.

— Permettetemi di ricordarvi — disse Odal con calma — che ormai avete dimostrato largamente agli acquatainiani che la vostra macchina è innocua e sicura. La manomissione della duellomacchina è ormai assolutamente impossibile. Sono parole di uno dei vostri numerosi discorsi alla tri-di. Se però rifiutate di battervi con me, sembrerà che voi pensiate che la macchina non è poi tanto sicura… quando l’avversario sono io.

— E, naturalmente, vi incarichereste di rendere noto pubblicamente il mio rifiuto — concluse Leoh.

Odal annuì, sorridendo. — Voi siete molto famoso. Sono certo che la notizia si spargerebbe immediatamente.

— Non accettate professore — disse Hector. — È un trabocchetto. Non accettate di battervi con lui. Io…

— Voi, tenente, mi avete già sconfitto una volta — disse Odal, mentre il sorriso spariva. — Non potete chiedermi di battervi ancora con voi. Sarebbe sleale.

— Accetto la sfida — rispose Leoh — se però acconsentirete a mostrarne pubblicamente la registrazione.

— Benissimo — disse il maggiore. — Ci incontreremo fra tre giorni, come è consuetudine.

— Facciamo una settimana — disse Hector. — Dateci la possibilità di controllare la macchina e di assicurarci che…

— Assicurarvi che i mostri di Kerak non l’abbiamo manomessa? — Odal rise. — Benissimo, una settimana da oggi.

Si diresse alla porta, passando tra Hector e Leoh, e se ne andò. L’uscio si richiuse alle sue spalle.

Hector staccò lo sguardo dalla porta chiusa e lo posò su Leoh. — Non avreste dovuto accettare. C’è sotto un trucco, lo so.

Il professore aveva l’aria assorta. — Ah, sì? Oppure Odal… o Kanus, o qualcun altro, si trovano alla disperazione? Ho saputo dimostrare al popolo acquatainiano che non c’è mente di pericoloso nella duellomacchina. Potrebbero ricominciare a vederci il simbolo del terrore.

Hector scosse la testa.

— Ma io batterò Odal in un duello leale — proseguì Leoh. — In fin dei conti finora li ho vinti tutti, no? E voi avete battuto Odal. Se l’è cavata soltanto quando ha ricevuto aiuto dall’esterno. Sono certo di farcela. Sinceramente, ne sono convinto.

Hector non rispose e si limitò a guardare il vecchio con aria incredula.

Il padiglione che ospitava la duellomacchina era circondato da una grande folla di gente e il mormorio giungeva fino dentro la sala, di solito molto silenziosa. La galleria riservata alla stampa, in alto sopra la macchina, era stipata di giornalisti.

Per tutto il week-end, la tri-di aveva pubblicizzato senza sosta il duello Leoh-Odaclass="underline" il bene contro il male. Risultato fortemente dubbio: il professore vecchio e grasso contro il killer di professione, snello e scattante.

Hector e Leoh se ne stavano in piedi davanti alla macchina, mentre i meditec si affaccendavano a ultimare i controlli finali. Sull’altro lato della sala erano sistemate alcune file di sedili per i membri del governo, i capi di gruppi sociali, gli uomini d’arme, i poliziotti e un piccolo contingente di addetti all’ambasciata di Kerak. Geri Dulaq sedeva in prima fila, vicino alla sedia vuota riservata ad Hector.

— Non mi va, questa storia. Non mi va — sussurrò il tenente a Leoh.

Percorrendo con lo sguardo la sala dove gli spettatori attendevano nervosi e i meditec si affaccendavano intorno alle attrezzature, Leoh rispose: — Calmatevi, ragazzo mio. Abbiamo controllato tutto minuziosamente. Il peggio che mi può capitare è di essere sconfitto. Alla più piccola irregolarità medica, la macchina si arresterà automaticamente. E inoltre, sono ancora convinto di riuscire a batterlo. Sceglierò ancora l’ambiente che ho usato nell’incontro con quello studente universitario. Non può sopraffarmi, lì.

Dalla folla riunita all’esterno si alzò un urlo.

— Ecco che arriva — disse Hector.

Le porte principali si aprirono. In mezzo a due file di poliziotti in divisa comparvero Odal e i due secondi, tutti nell’uniforme azzurra di Kerak. Odal si ripuliva nervosamente la tunica.

— Evidentemente — osservò Leoh — l’immunità diplomatica non basta a proteggerlo dalla folla.

Le presentazioni, i controlli medici, le istruzioni, la scelta dell’arma e dell’ambiente, sembrarono richiedere ore invece che minuti. Finalmente tutto finì e Hector si diresse al suo posto.

Sedette accanto a Geri, mentre Leoh e Odal entravano nelle rispettive cabine. Vide i meditec disporsi ai banchi di manovra e le luci dei pannelli perdere il color ambra e farsi verdi. Il duello era cominciato.

La folla si agitò, inquieta. Un mormorio riempiva tutta la stanza. Non c’era altro da fare che attendere.

Geri si appoggiò al suo braccio e domandò con dolcezza: — Hai portato una pistola?

— Eh? Per cosa?

— Per Odal — bisbigliò lei. — Ne ho una piccola in borsetta.

— Ma, ma…

— Me l’hai promesso! — Il bisbiglio era quasi aspro, ora.

— Lo so, ma non qui. C’è troppa gente. Se si incomincia a sparare, qualcuno potrebbe rimanere ferito.

Lei ci pensò un momento. — Forse hai ragione — disse. — Però, se uccide il professore là dentro, uscirà di qui, salirà a bordo di una nave di Kerak e non lo rivedremo mai più.

Hector non trovò una risposta e se ne stette lì seduto, al colmo della desolazione.

Rimasero in silenzio. Quando il tempo massimo fu scaduto, tutte le luci della macchina si fecero color ambra. Dalla folla partì un sospiro di sollievo. Hector si lanciò verso la cabina di Leoh, mentre i secondi di Odal si dirigevano a quella del maggiore.

Il professore uscì dalla cabina con aria pensosa.

— State bene? — domandò Hector.

— Cosa? Sì, bene, grazie. Ci siamo battuti secondo le regole. — Lanciò un’occhiata ad Odal che sorrideva, gelido, calmo e sicuro, poi soggiunse: — Si è battuto bene, benissimo. Un paio di volte ho creduto che mi finisse. E non l’ho mai messo veramente nei guai.

Il meditec capo stava facendo cenno ai due contendenti di avvicinarsi al banco di manovra principale. Il tenente vi accompagnò il professore.

— La prima ripresa del duello è terminata con un pareggio — disse l’uomo. — Ora potete scegliere tutt’e due se ritirarvi per un giorno o continuare adesso.